Santiago: tutto ciò che accade mentre si è intenti a camminare

par Anna M. M.
mercoledì 23 settembre 2015

Il cammino di Santiago rappresenta oggi un viaggio alternativo, un percorso avventuroso per gli audaci, un itinerario storico culturale per gli appassionati, una rotta spirituale per i fedeli.

Chi lo percorre sa che è molto di più.

 

La “ruta”o rotta da il senso di un cammino da percorrere di cui già si ha in mente il tracciato, di una direzione da seguire in cui, sebbene non si conoscano, si intuiscono o si prevedono le difficoltà; le stesse che si avvertono nella vita quotidiana quando si decide di essere rigorosi ed esigenti con se stessi per raggiungere un obiettivo alto e lontano.

Trasmettere a parole il senso del cammino è difficile ma potrei partire da quali sono state le circostanze che mi hanno portato a farlo, sperando, attraverso la mia esperienza, di offrire un piccolo raggio di luce che emana la ruta di San Giacomo.

Una curiosità che viene da lontano: è un desiderio che ha radici profonde, nasce come il sogno di qualcosa che “chissà se farò mai nella vita” e cresce a poco a poco negli anni, mantenendosi latente per poi uscire fuori con tutta la forza quando arriva l’opportunità.

La casualità: l’accenno fatto ad un amico sul sogno di fare un giorno questa esperienza e poi, una settimana dopo, il poster visto per caso, che invitava a partecipare al cammino con un gruppo di missionari, infine, le date che coincidevano con gli impegni lavorativi.

 La consapevolezza che è il momento giusto per farlo: a prescindere dal valore spirituale o religioso che ciascuno può dargli, di sicuro si tratta di un viaggio impegnativo e meditativo che richiede non solo una pianificazione pratica degli impegni contingenti ma una preparazione profonda, dell’anima, legata ai nostri percorsi personali familiari, sentimentali, lavorativi di lunga data e a come i dolori, gli affetti, i sacrifici e le delusioni ci abbiano scalfito e formato facendoci sentire pronti ad una sfida del genere.

Il mio cammino è iniziato così: pieno di speranze e paure, con grandi aspettative. A volte ci si attende una svolta o un evento eclatante che cambi la vita. Forse la forza del cammino è di cambiarti in maniera silenziosa, senza colpi di scena in stile cinematografico.

Potrei raccontare molto della vita da campeggio fatta con gli altri, degli aneddoti divertenti, gli imprevisti pratici, gli intoppi, le amicizie nate, gli acciacchi fisici e difficoltà del percorso, che pure hanno riempito le nostre giornate, ma questo cammino ha con se qualcosa di più in cui la fatica e il sacrificio si accompagnano ad una serenità e una pace circondate da un’aurea di letizia insolita.

Due parole, quasi sconosciute oggi, danno il senso pieno di quello che ho vissuto: “mistica” e “contemplazione”. Io stessa non pensavo minimamente a ciò prima di partire. A queste si aggiunge la “forza”, il coraggio di scoprire, raggiungere e provare a superare i propri limiti.

Per quanto riguarda la Mistica ho scoperto che è il rapporto personale con Dio, proprio dell’uomo, a prescindere da qualsiasi religione o ateismo dichiara di appartenere. Ho imparato dalle parole di Fernando Rielo qualcosa che qualsiasi persona aperta alla ragione non può non condividere: la mistica è una caratteristica propria dell’essere umano in quanto tale. Se l’uomo è un animale sociale per le dottrine politiche, e homo economicus razionale per gli economisti allora si può parlare di uomo mistico in una visione filosofica esistenziale assoluta.

La contemplazione si può spiegare con le semplici parole di una poesia donata da una ragazza spagnola: ammirare in silenzio senza domandarsi perché. La natura, l’arte, la cultura prodotta dall’uomo, insomma la pienezza della vita e il suo mistero: Dio.

Dante scriveva “fatti non foste per viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza”. Così come Ulisse superava le colonne d’Ercole andando oltre i limiti del mondo conosciuto anche noi seguiamo nella vita quelle mete che ci fanno crescere, e crescere non vuol dire altro che superare i propri limiti. Questa è la forza di cui si ha bisogno per raggiungere Santiago, la forza di aprirsi alle sfide della vita per crescere e migliorare.

Ecco le lezioni che porto con me :

L’obbligo morale di perseguire una vita virtuosa, avere una meta e provare a raggiungerla camminando a testa alta e affrontando gli ostacoli con forza, impegno e cuore. I circa 20 km giornalieri di marcia sono stati duri per tutti ma molte persone intorno a me hanno sofferto più di me a causa dell’età, della costituzione fisica o del cattivo equipaggiamento, eppure non hanno abbandonato il cammino e hanno seguito con tenacia la meta.

Non dimenticarsi di osservare e prestare attenzione alle piccole cose, a ciò che accade intorno a noi, senza perdere il cammino ne perdersi nel cammino, ed evitare che la meta ci faccia perdere di vista l’essenza. Ho portato con me un souvenir, un segnalibro con impressa la frase: “la vita è tutto ciò che accade mentre sei impegnato a fare altri progetti”.

Infine, ricordarsi che si ha bisogno degli Altri. I primi giorni di marcia sono stati molto duri per me, mi concentravo sul cammino isolandomi dal gruppo e pensando di dovercela fare da sola, cercando le forze in me, invece facevo il doppio della fatica. Mi sono resa conto che camminando con gli altri, parlando, confrontandosi e ascoltando il tempo passava in fretta e la fatica non si sentiva più. 

Giovanni Paolo II nel 1982 parlava del Cammino di Santiago come luogo in cui nascono le radici cristiane d’Europa. Papa Francesco l’anno scorso al Parlamento Europeo ha detto: I «Padri fondatori dell'Unione europea», che erano cristiani, volevano fondare una nuova Europa sulla «fiducia nell'uomo, non tanto in quanto cittadino, né in quanto soggetto economico, ma nell'uomo in quanto persona dotata di una dignità trascendente». 

Il cammino di Santiago è un cammino trascendentale e mistico che rivela alla nostra coscienza una sensibilità spirituale, ci ricorda la nostra identità europea e ci chiama ad essere cittadini-cristiani del mondo.


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