Sallusti in galera (forse sì, forse no)

par Fabio Della Pergola
sabato 29 settembre 2012

Che Sallusti sia antipatico è come dire che la terra è tonda. E' così antipatico che la prima reazione alla notizia che sarebbe stato carcerato è stata di (non nobile) sollievo. Perché è arrogante e sprezzante.

Ed ha anche quella sua faccia da Kinski nei panni di Nosferatu (mi pare che sia il nomignolo che gli hanno affibbiato) che certo non aiuta. Ma, come dire, non è colpa sua; è che lo hanno disegnato così. Come se non bastasse è anche il compagno di quella donna di plastica della Santanchè, il che a me sembra un'aggravante.

Ma è soprattutto quel suo modo di interloquire, massacrando il dibattito e l’interlocutore, con un’aria da "killer" lucido che non parla mai della cosa in sé, dell’argomento della discussione, ma ne sposta sempre il centro su altro, a piccoli passi, senza fretta e inesorabilmente, in modo che l’altro scivoli pian piano nella trappola predisposta nel terreno a lui più congeniale; dove può finalmente azzannare alla gola e affondare gli incisivi nel colpo letale. Un vero predatore.

Quando poi scrive stabilisce la strategia e la persegue con calma lucida, pianificando a tavolino quello che vuole ottenere e come ottenerlo. Sembra essere il caso della sua prossima, presunta incarcerazione (ma ci crederò quando lo vedrò).

Il fatto è noto: nel febbraio 2007 una ragazzina tredicenne, adottata e dalla vita molto, molto travagliata, con alle spalle storie sordide di abusi e di alcool, rimane incinta ed accetta poi - convinta o indotta dalla madre, il padre non si sa dove fosse - ad abortire. Poi, forse pentita, forse stremata dalla vicenda, più probabilmente già profondamente segnata nella psiche dal suo passato, ha un crollo e viene ricoverata nel reparto di neuropsichiatria infantile.

Il giudice tutelare di Torino, che aveva autorizzato l’aborto prendendo atto della volontà della ragazzina, finisce nel mirino di Libero, il quotidiano di Paolo Berlusconi, a quei tempi diretto da Alessandro Sallusti. Il pezzo incriminato, in cui sostanzialmente si accusa il giudice di aver “obbligato” la ragazza ad abortire, invoca per lui (e per genitori e medici) nientemeno che la pena di morte.

Già dal titolo si capisce chi è sotto accusa: “Il giudice ordina l’aborto. La legge più forte della vita”. L’articolo poi sviluppa una serie di elementi che fanno capire dove il giornale voleva andare a parare. I figli lasciati liberi di amoreggiare perché “è vietato vietare” per questi genitori permissivi, ma se poi la ragazza rimane incinta ecco spuntare l’aborto come violento metodo anticoncezionale: “L’aborto come soluzione di un impiccio”. E che “la magistratura e la medicina siano complici ci lascia sgomenti”. Qualcosa di simile, si dice, avvenne “nei lager nazisti e nei gulag comunisti”.

Il messaggio veicolato dal giornale berlusconiano è articolato. Il caso è perfetto per amalgamare ideologia e interessi politici, strategia di lungo corso e tattiche contingenti.

E’ evidentemente miele per le orecchie vaticane un pezzo, piuttosto lacrimoso, teso a difendere la "vita" di un feto - in questo caso la donna incinta non sarebbe la colpevole ma la vittima innocente - e a criminalizzare l’aborto, trattandolo non già come un intervento finalizzato alla salvaguardia della salute psico-fisica della madre, come stabilisce la legge 194, ma derubricandolo a strumento anticoncezionale, quindi tanto più riprovevole perché “ucciderebbe” una vita in nome - addirittura - di una inammissibile e amorale libertà sessuale.

Ed è probabilmente miele per le orecchie dei benpensanti l’ironia con cui il quotidiano sfotte il permissivismo dei genitori, “Dunque, divertitevi, amoreggiate. Noi non eccepiamo. Noi siamo moderni”; libertà giovanili che non sono mai state né perdonate né digerite da quella zona grigia di pasdaran da Family-day, che si scatena e scende addirittura in piazza (siamo esattamente nello stesso periodo dell'articolo contestato) contro l’ipotesi per quanto vaga di un riconoscimento delle coppie di fatto, in nome della sacralità della famiglia e che vede(va) in Berlusconi (individuo noto in tutto il mondo per la sua continenza) il suo rappresentante politico riconosciuto.

Dopo aver lisciato il pelo alla Chiesa ed alla Vandea di casa nostra, con parole di contenuto e sdegnato dolore per la “madre lacrimosa” vittima della lucida follia della modernità, l’autore non può farsi sfuggire il tema principe di ogni pensiero d’area berlusconiana: l’attacco alla magistratura.

Quale occasione migliore di uno spietato assassino in veste di magistrato da sbattere in prima pagina (e anche seconda e terza, in questa occasione) come il mostro del famoso film. E’ finalmente dimostrabile che i giudici sono dei pazzi criminali, gente mentalmente disturbata, come già il Capo aveva detto a chiare lettere.

Ideologia, cultura cattolica, perbenismo borghese, sacralità della vita, magistrati assassini. Tutto insieme in un unico, favoloso caso. Un’occasione da non perdere. Basta avere un tot di pelo sullo stomaco, che da quelle parti certo non manca.

Peccato però che il giudice in questione non ci stia a farsi massacrare e passi alle vie di fatto querelando il direttore reponsabile dell’articolo, pubblicato con uno pseudonimo. A distanza di cinque anni si arriva alla fine dell’iter e Sallusti viene condannato a qualche mese di galera in via definitiva.

In conclusione arriva il colpo di teatro - ma fuori tempo massimo come fa notare Mentana - e viene fuori che l’anonimo articolista altri non è che Renato Farina, agente sotto copertura dei Servizi Segreti, radiato per questa sua attività parallela e illecita dall’Ordine dei Giornalisti. Che quindi non poteva firmare i suoi articoli se non con uno pseudonimo (sotto copertura anche come giornalista perciò).

Quello scelto è casualmente "Dreyfus", nome preso a prestito da un poveruomo perseguitato e condannato per spionaggio (come Farina), anche lui un mostro da sbattere in prima pagina (come Farina ritiene di essere stato), ma poi riconosciuto innocente (al contrario di Farina, reo confesso) vittima del clima di intolleranza antisemita dell’epoca (così, per assonanza, si liscia il pelo anche alla comunità ebraica).

Detto questo, resta il fatto che un direttore di giornale, benché non gli sia affatto riconosciuta la libertà di diffamare chi gli pare, non può andare davvero in galera, non scherziamo (magari una bella legnata di quattrini da pagare sarebbe ben più dolorosa e sarebbe un miglior deterrente per il futuro). Anche se la parte politica cui Sallusti si onora di appartenere ha esplicitamente approvata l'idea che prevede il carcere per quei giornalisti (e direttori) che dovessero pubblicare nuove intercettazioni telefoniche.

E quella stessa parte politica, seduta al governo per una quantità di anni che preferisco dimenticare, non ha mai pensato di alleggerire le pene previste per i giornalisti, sempre sentiti come parte avversa. Oggi la questione gli si ritorce contro e Sallusti la usa, cinico com’è, per passare da capro espiatorio, da vittima portata al macello, da novello Isacco sacrificato al dio vendicativo della Legge. Facendoci scordare (se gli riesce) che l’infamità contro un innocente giudice tutelare l’ha commessa lui - e quell’infame (parole di Mentana) dell’agente Betulla - manipolando la verità e alterandola, ben sapendo di farlo.

Dopo un bel can-can e un giro di valzer su ogni quotidiano e ogni rete televisiva, il buon Sallusti, freddo come un'aringa secca, probabilmente, proprio come Isacco, non sarà affatto sacrificato. E tornerà a fare liberamente il suo mestiere di mordace cane da guardia della destra più violenta e arrogante. Purtroppo per noi.


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