Stato, un falso valore

par Nereo
mercoledì 4 novembre 2009

Il senso dello Stato è il senso del materialismo arimanico dove ogni deficiente impera. Ciò che Giacomo Leopardi e Rudolf Steiner chiamavano Arimane, che per Goethe era Mefistofele, per Paolo di Tarso Belial, per gli evangelisti Satana, e per Gesù "mammona" (termine aramaico simile all’ebraico moderno "mimen", che significa "finanziare"), io chiamo appunto compagnia dove ogni deficiente impera, o dodi&c.

Con questo acrostico sintetizzo il gregarismo degli accidiosi portatori di "pensiero" debole, che in realtà è sentire, emotività, agitazione, ritenuti pensare. In altre parole, il "pensato" è sentito come Stato perché il participio passato di un essere, vale a dire ciò che partecipa ma solo in parte alla sua natura, e che non è presente nel qui ed ora, ma è "passato" - appunto - nell’oggetto, percepibile materialmente in ciò che lo rappresenta come pezzo di carta, offre - ma solo alle inconsce paure dei materialisti - più sicurezza dell’affermazione "io sono".

Infatti ancora oggi questa affermazione esige (ed è impensabile senza) l’oggettivazione di che si è. Io sono che cosa?

Dire "io sono" come fece Gesù di Nazaret durante il suo processo intendendo "io lo sono" in riferimento a Yhwh (nome impronunciabile di Dio, che solo Dio poté dire di sé a Mosè sul Sinai annunciando "Io sono l’io sono") comporta - come è rilevato da recenti studi giuridici del processo di Gesù - la condanna per le "aspirazioni criminali di Gesù: predicazione (blasphemia) e regalità (lesa maiestas)" (Massimo Miglietta, "Gesù e il suo processo nella prospettiva ebraica").

Oggi, la "lesa maiestas" dovrebbe essere la sovranità del popolo, dato che non c’è più Cesare; ma nella nostra democrazia tale sovranità è di fatto un enunciato meramente formale.

L’affermazione dell’io in quanto vera divinità è infatti di massimo disturbo per lo spirito arimanico dello statalismo della dodi&c. Cosa comporta ciò? Comporta che l’antitesi Dio-Cesare nel "dare a Cesare quel che è di Cesare, "spesso interpretato come dimostrazione e fondamento della lealtà dei cristiani verso l’autorità civile" (ibid.), possa essere letto in senso non più positivo (e quindi impositivo di imposte di Stato) ma negativo come di "non dare a cesare Ciò che è di Dio" (C. Cohn, Processo di morte di Gesù. Un punto di vista ebraico in M. Miglietta, "Gesù e il suo processo...", op. cit.), vale a dire dell’io umano nel senso di cristiano.

Questa visione delle cose non può non portare al diritto individuale di epicheia, cioè di equità a discrezione dell’io (Dio) nel non pagare o nel pagare i tributi a Cesare o il signoraggio ai signori creatori dal nulla della moneta odierna.


Che le cose stiano così, e cioè che il materialismo e la correlativa accidia che lo sostanzia nella tendenza a "non volerne sapere" di impiegare maggiore giudizio critico nel proprio "pensiero" debole, lo si può osservare anche nel dogma del materialismo, consistente nel non riconoscimento della concretezza spirituale dell’idea. Il materialismo è infatti incapace di fraternizzare, dato che non riesce a fraternizzare neanche con la parte idealistica di sé (l’idea della materia non è riconosciuta dal materialismo). Pertanto può solo fingere la fraternità, dogmaticamente costringendo verso la propria monovalente dialettica qualsiasi pensiero altrui, o qualsiasi richiesta di coerenza logica col proprio principio (principio che tutto fonda sulla materia). Anche quando il materialismo è dotato di capacità analitiche raffinatissime, non può non essere dogmatico, perché ignorando l’incorporeo movimento del "pensiero materialista" (il cui soggetto non può non essere l’idea per quanto da esso ignorata come realtà), o la propria interna verità, attribuisce verità a ciò che è fuori di sé, e che da fuori impone assolutezza come eterodirezione di sé.

Ecco allora, da tale imporre provenire, come cosa buone e giusta, le imposte, le tasse, le leggi, la carta: rimasugli di imperialismo romano, o del faraone ritenuto Dio, o del Signore della giurisdizione territoriale, o dell’apparato statale sovieticamente inteso!

Ecco perché il materialismo è un "pensiero" che concepisce, piuttosto che la comprensione, l’eliminazione di coloro che lo contraddicono, e che perciò tende a fare della propria impotenza una forza fratricida: fingendo la fraternità, un simile "pensiero" costringe l’organizzazione dei singoli ad una forma esteriormente fraterna, meccanicamente sociale.

Di conseguenza serpeggia fra i singoli, al posto del collegamento interiore, la corrente del sospetto e dell’odio. Segno questo che indica l’esigenza di una via diversa dalla partitocrazia del "participio" o del senso di Stato, i quali non possono non essere non coercitivi.

Un ordine sociale senza coercizione è però possibile.

E ciò è stato ampiamente trattato per esempio da Carlo Lottieri in "Il libertarismo non è un’utopia" (Dipartimento di scienze storiche, giuridiche, politiche e sociali, Università di Siena), da Randy E. Barnett, che in "The Structure of Liberty: Justice and the Rule of Law" evidenzia come solo un sistema con giurisdizioni decentrate e competitive possa dare risposte adeguate e risolvere in modo adeguato i problemi concernenti l’uso della conoscenza in una società, da Murray N. Rothbard in "Power and Market. Government and the Economy", e moltissimi altri fra cui l’amico musicista ed editore Leonardo Facco.

Concludendo, i vari punti di vista sopra citati, mostrano come il senso dello Stato non sia altro che il senso satanico dei conati di succubanza fantozziana ad un anacronistico cesaropapismo, che l’individualismo etico dell’uomo moderno non può che stornare da sè. In base a ciò credo di poter dire che il cristiano odierno (senza alcun riferimento ai nati cattolici senza essere divenuti mai cristiani) dovrebbe essere in grado di "vedere" (sovrasensibilmente) come coloro che oggi parlano di "senso dello Stato" non siano altro che, nel migliore dei casi, mascherati manipolatori di capitali, e nel peggiore, i loro reggicoda, che Gesù avrebbe chiamati tutti "sepolcri imbiancati".


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