Rossana Rossanda lascia il Manifesto

par Emanuele Midolo
lunedì 26 novembre 2012

Preso atto della indisponibilità al dialogo della direzione e della redazione del manifesto, non solo con me ma con molti redattori che se ne sono doluti pubblicamente e con i circoli del manifesto che ne hanno sempre sostenuto il finanziamento, ho smesso di collaborare al giornale cui nel 1969 abbiamo dato vita. A partire da oggi (ieri per il giornale), un mio commento settimanale sarà pubblicato, generalmente il venerdì, in collaborazione con Sbilanciamoci e sul suo sito www.sbilanciamoci.info.

Con questa nota, che verrà pubblicata domani sul giornale, il suo giornale, Rossana Rossanda ha annunciato il suo congedo da quello che dal 1969 - l'anno in cui lei, Luigi Pintor, Luciana Castellina, Lucio Magri e Valentino Parlato fondarono il mensile destinato a diventare il quotidiano - è stato il punto di riferimento dell'ultrasinistra italiana (ma più semplicemente della Sinistra tout court); perché "la vera sinistra esiste solo sulla carta", come recita una loro vecchia campagna pubblicitaria. 

La prima domanda non è di «di chi è» ma «che cosa è» il manifesto. Anche per ragioni economiche. Un giornale è nel medesimo tempo una merce, se lettori non lo comprano fallisce. Occorre chiedersi perché da diversi anni abbiamo superato il limite delle perdite consentito ad una impresa editoriale, mentre i costi di produzione salivano. Direzione, Cda e redazione + tecnici hanno sottovalutato questo dato, pur reso regolarmente noto, illudendosi che avremmo recuperato lettori aumentando le pagine e i servizi con un restyling dopo l'altro. E' stato un errore imperdonabile. Se il giornale è di chi lo fa, il suo fallimento è di chi lo ha fatto. Cioè noi.

Scriveva così, a inizio di questo mese, la Comune di Parigi, com'è soprannominata in redazione al manifesto, con il suo stile inconfondibilmente polemico e incommensurabilmente lucido, malgrado sia quasi alla soglia dei 90 anni. E' una "ragazza del secolo scorso", la Rossanda, un pezzo di storia del nostro paese che da qui, da Parigi, vede le cose molto più chiaramente di tanti giornalisti italiani schierati in italianissime trincee. Ed è proprio sulla Francia e sulle elezioni del suo paese adottivo che era scoppiata, qualche mese fa, l'ennesima querelle. Non sembrava dover essere l'ultima, come non sembrava avere un tono finale il suo contributo al dibattito che infuria nel giornale ormai agonizzante, in liquidazione coatta da febbraio e che non pare avere più un futuro.

Mi pare indubbio che il manifesto, qualora resti in vita, debba lavorare sulla base di questa analisi e insistere sul riportare il fattore umano - occupazione e servizi sociali, redistribuzione delle imposte sui ceti più favoriti e sulla finanza - al centro di qualsiasi programma politico che si dica di sinistra. Argomentando modi e tappe e battendosi per spostare i vincoli europei che vi si oppongono. L'inquietudine è grande in vari paesi del continente, e il nostro giornale potrebbe darle argomenti e voce. Si tratta di un lavoro politico e culturale di lunga lena, rivolto senza equivoci a quella parte del paese che non intriga ma pensa e si interroga, smettendo di galleggiare su obbiettivi generici e a breve, nessuno dei quali è riuscito a realizzarsi ad oggi.

"Da dove ripartire", questa la domanda che attanaglia da mesi i grandi vecchi della testata e la direzione capitanata da Norma Rangeri, e che ha portato ad un sanguinoso conflitto interno di cui Vauro, Marco D'Eramo e Joseph Halevi sono state le prime "vittime illustri".

Ora è toccato a lei dare l'addio, alla "grande madre" (speculare e opposta all'altro grande nume tutelare, Luigi Pintor, scomparso nel 2003) che ha tenuto le redini del giornale per 40 anni. La sua scelta insondabile (ma anche, chi legge il manifesto lo sa bene, inevitabile) si trincera dietro quelle poche righe di commiato, troppo poche per una vita intera di battaglie condotte dalle colonne dell'unico quotidiano comunista, e che lasciano uno spazio nero nell'album di famiglia della sinistra italiana. 

 

Foto: Vogue


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