Roberto Formigoni: "Ma perché dovrei dimettermi?". Ecco perché

par paolo
venerdì 12 ottobre 2012

Roberto Formigoni, ovvero una storia tutta italiana. 

E' un mio coetaneo, appena tre mesi più vecchio di me ma, a parte questo, la distanza che ci separa è superiore a quella tra la galassia di Andromeda e il nostro sistema solare.

Lui è un fervente cattolico, studi classici, poi laurea in filosofia presso un'università cattolica, quindi la classica laurea in economia che per certe imprese può tornare sempre utile. Naturalmente militanza in Gioventù studentesca di ispirazione cattolica, l'incontro con Don Giussani e poi Comunione e Liberazione e l'impegno politico nella Democrazia Cristiana.

Insomma il mio esatto opposto in quanto laico e di cultura scientifica, nessuna militanza in movimenti o partiti seppur di sinistra, anzi espulso alla prima riunione di sezione del PCI perché "non omogeneo" alle decisioni "unanimi" del partito e spina nel fianco fino al punto che hanno anche smesso di portarmi l'Unità la domenica mattina. L'unico prete che ho conosciuto (e che conosco) è quello che ha celebrato il mio frugale matrimonio e che mi invita da sempre, direi inutilmente, a dire almeno una preghiera per salvarmi l'anima.

Bene, io al posto di Roberto Formigoni, al primo avviso, al primo sentore, al primo segnale che qualcosa di irregolare, non dico fraudolento o truffaldino ma semplicemente non consono all'incarico istituzionale ricoperto, sarei corso dai giudici a spiegare la mia posizione. Un istante dopo, qualora fossero emerse irregolarità anche indirette, mi sarei dimesso.

Invece il nostro cattolicissimo campione di tracotanza, indagato personalmente per una brutta storia di favori alla Fondazione Maugeri del suo amico (ripudiato), nonché compagno di gite in barca e attualmente in carcere, D'Accò, giunto al tredicesimo inquisito della Giunta Regionale Lombarda per reati che coprono metà del codice penale, candido come una Maria pellegrina, ci ripete il suo " Ma pérrrché dovrei dimettermi? Ma neanche per sogno!"

Insomma il variopinto, per via delle giacche sgargianti e delle camicie hawaiane, Presidente del Pirellone, sede istituzionale della regione Lombardia che ormai somiglia più ad un rione malfamato di Scampia, con gli occhi che brillano ed il sorriso beffardo di chi si sente in una botte di ferro, ovvero inattaccabile come un carro armato di Rommel, a dimettersi non ci pensa neanche lontanamente, anzi lancia messaggi intimidatori ai suoi compagni di merende della Lega che se si tocca lui, un minuto dopo cadono le giunte regionali del Veneto e del Piemonte, Cota è avvisato. E arriviamo a completare il quadro dei reati penali: giunto anche l'arresto per connivenza con la 'ndrangheta dell'assessore regionale Domenico Zambetti, ovviamente del PDL che ormai è sempre più difficile definire partito politico. Concorso esterno in associazione mafiosa, corruzione e scambio di voti con la criminalità organizzata, questo il capo di imputazione a carico dell'assessore.

E il "celeste"? Nomignolo affibbiato al buon Roberto sia per la sua meravigliosa giacca azzurro shocking, sia perché militante nel partito degli "azzurri" di Silvio Berlusconi e sia perché l'azzurro è il colore del regno dei cieli dove alberga la sua fonte spirituale, bene, il celeste sembra che sia in procinto di incontrarsi a Roma con Angelino Alfano e Roberto Maroni. Per fare che? Per fare pulizia, non cambiando il presidente ovvero lui, il celeste, per sostituire i tredici incappati nello spiacevole disguido giudiziario, per riconfermare la maggioranza della Giunta lombarda e non andare a nuove elezioni prima del 2014.

La Lega invece cerca di recuperare un po' la faccia perduta, visto che è anche lei dentro all'inferno lombardo, e continua a tuonare con Matteo Salvini su una "radicale pulizia" ed elezioni in concomitanza con le prossime politiche 2013. Se "la pulizia radicale" che intende il leghista è quella fatta all'interno del proprio partito dopo le note vicende, allora possiamo stare tranquilli che nulla cambierà .

Il succo di questa brutta storia che ha trasformato la principale e più produttiva regione italiana, ossia la Lombardia, da capitale morale a capitale immorale, superando di gran lunga in questa classifica negativa pure la Roma ladrona di Fiorito e soci polverosi. In Italia, dimettersi per atti indegni, anche se di estrema gravità penale, è inversamente proporzionale alla facilità con la quale fasulli, truffatori e balordi di ogni fatta riescono ad arrivare alle massime cariche istituzionali, ovviamente con retribuzioni d'oro e privilegi da nababbi, non rinunciando ad affondare le mani nella marmellata.

Mentre tutti puntavano gli occhi sul Parlamento più "squalificato" degli ultimi sessant'anni, le istituzioni periferiche, quelle che avrebbero dovuto incoraggiare il "federalismo", si sono dimostrate, se possibile, di gran lunga peggiori, già sapendo che, ovviamente, ci sarà chi dirà che però "non sono tutti uguali".

Già forse non sono tutti uguali ma allora bisogna cambiare il criterio selettivo, ovvero ridurre la rappresentanza dei partiti, affamare la bestia come si dice in gergo, togliendo loro le risorse. Se perfino un partito come l'IDV, di quel Di Pietro erettosi a paladino della legalità, introduce nelle istituzioni infami e mariuoli a gogò, l'ultimo in ordine di tempo il capogruppo alla Regione Lazio, Vincenzo Salvatore Maruccio, origini calabre e indagato per peculato, significa che il sistema va cambiato radicalmente.

Ma il peccato originale, quello che ci caratterizza come unicum nel consesso quanto meno europeo, ormai sappiamo qual è, investe oltre all'etica comune la scelta storica e culturale di sovrapporre l'ideologia religiosa a quella laica dello stato. E' stato un errore madornale che ha drogato la società nel suo insieme, facendo sempre di più perdere il senso comune del principio di "responsabilità" personale ed istituzionale. Lo dico pur sapendo che non è sempre stato così. Alcide De Gasperi, il fondatore della DC e figura istituzionale di prima rilevanza, uomo di stretta osservanza cattolica, per andare negli Stati Uniti si fece prestare il cappotto dal senatore Piccioni e alla sua morte dovettero fare una collette per la moglie e le figlie per garantirgli un alloggio.

Come ci siamo ridotti!


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