Riotta e Hersh: il confronto non regge

par Francesco Piccinini
mercoledì 8 aprile 2009

“Mainstream is a loser”. La frase non esce dalla bocca di un blogger o di un citizen journalist ma da quella autorevole di Seymour Hersh, l’uomo che ha svelato gli orrori di Abu Ghraib ed è stato il più giovane premio Pulitzer della storia statunitense (1970) per l’inchiesta sul massacro di My Lai ad opera dell’esercito statunitense.
 
Se anche uno degli ultimi “maestri” del giornalismo del XX secolo attacca il sistema dei media vuol dire che l’informazione necessita di nuovi orizzonti. Hersh avrebbe raccolto tantissimi applausi se non avesse preferito “rubare” quel tempo per dedicarlo ad una domanda in più, a stimolare il dibattito, ad invitare i giovani a impegnarsi nel mestiere di giornalista e di farlo, soprattutto, sul web. Un’ora di parole che attaccano Bush e Berlusconii loro incontri prima della guerra in Iraq facevano rabbrividire – ma anche quel giornalismo che dice “sì signore”, genuflesso al potere, soprattutto dopo l’11 settembre. Un attacco a chi ha scritto che Saddam Hussein aveva le armi di distruzioni di massa, un attacco ad una classe giornalistica impettita e distante dalle persone alle quali si “dovrebbe” rivolgere – ben rappresentata a Perugia da Gianni Riotta –. Una classe gionalistica che “se la rivoluzione arrivasse, se ne accorgerebbe sei mesi dopo”. E’ un fiume in piena Hersh, si rivolge, spesso, ai giovani, li invita a cambiare: “Se ci sarà un cambiamento, sarà grazie a noi, non grazie ad un politico”.
 
E’ uno statunitense Hersh che guarda il mondo, accusa il suo paese degli orrori ma non dimentica che i soldati sono dei giovani che, a volte, muoiono perché l’esercito era l’unica fonte di sostegno nell’America without dreams. E’ uno statunitense che ricorda vividamente le parole della mamma del soldato che gli raccontò, per la prima volta, degli orrori di My Lai: “I gave them a good boy, they send me back a murder” ma rimane lucido nel chiedere al Presidente Obama di abbandonare l’Afghanistan, una guerra che: “non vinceremmo mai”. Lui democratico, sostenitore di Obama ama ripetere che: “la notte delle elezioni sono andato a letto pensando dormo con una bellissima principessa. La mattina dopo però mi sono detto è una rana e devi trattarlo come una rana". Per un’ora sprona i giovani presenti in sala a rimane “watchdogs”. Lo fa con la classe di un settantaduenne che non pensa d’essere migliore di altri, lo fa utilizzando il dialogo, accettando sempre una domanda in più, rispondendo a tutte le interviste e chiedendo ai ragazzi con i quali si è fermato a cena la sera precedente: “di cosa volete che parli nel mio intervento di domani?”.
 
Guardare Hersh parlare ha reso ancora più amaro il parallelo con l’incontro che ha visto protagonista Gianni Riotta, da una parte un uomo che preferisce cenare con i giovani; dall’altra un direttore che afferma: “a 55 anni, da direttore del TG1, non sono venuto ad un Press Festival per farmi attaccare”. Così mentre Hersh chiede ai giornalisti di migliorarsi Riotta risponde ad un intervistatore: “se lei fosse un mio alunno l’avrei già bocciata”. Le luci del teatro si spegnono e lo avvolgono nel buio quelle su Hersh rimangono accese in attesa di un applauso non richiesto. Il direttore Riotta ad ogni parola ricordava i suoi (brevi) studi alla Columbia e i suoi docenti; Hersh no. Non parlava di sé – e ne avrebbe di ben donde – ma di giovani, di futuro, di new media.


Dott. Riotta, Hersh non ha allontanato nessuno dei suoi intervistatori dicendo: "lei non avrà mai un contratto da nessun giornale".

Dott. Riotta, oggi, in molti, hanno capito qual è la differenza tra gli USA e l’Italia. Dall’altra parte dell’Atlantico, almeno, c’è ancora una speranza. 
 
P.S. Direttore non si preoccupi del nodo della mia cravatta, la preferisco un po’ slacciata.
 


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