Rimborsi elettorali: l’ipocrisia della sinistra (che era bella quando era povera)

par Antonio Moscato
venerdì 13 aprile 2012

Quegli elettori del centrosinistra che si orientano su “la Repubblica” di fronte agli scandali legati all’uso dei finanziamenti ai partiti non hanno dubbi: se si eliminano, c’è il pericolo che prevalgano l’antipolitica, i populismi… E ripetono il mantra: “così potranno fare politica solo i ricchi”… Come se non facessero politica soprattutto loro, oggi.

In due precedenti articoli (Bertinotti e Bersani, accecati e Ancora sul finanziamento ai partiti) avevo insistito su come negli ultimi decenni le alte retribuzioni della politica hanno rovinato soprattutto quei partiti che erano nati per difendere la classe operaia. Ma forse è bene ricordare come era nato e cresciuto il movimento operaio negli ultimi decenni del secolo XIX e nei primi del XX secolo: aveva forse finanziamenti o anche solo rimborsi dallo Stato? No, i militanti che lo hanno costruito conoscevano solo persecuzioni, licenziamenti politici, sequestri dei modesti giornali con i quali informavano e formavano i militanti.

Nei manuali di storia si parla magari delle leggi antisocialiste di Bismarck, ma si dimentica che in quegli anni le stesse vessazioni venivano utilizzate per colpire il movimento operaio italiano, e che si protrassero anche più a lungo di quanto fossero durate le leggi bismarckiane, anche se senza maggior successo: per fermare l’ascesa del movimento operaio accelerata dalla criminale guerra mondiale, la borghesia liberale e democratica incoraggiò e scatenò il fascismo.

Le leggi bismarckiane: si cresce meglio controcorrente

Franz Mehring, storico e militante, ricorda che “quando fu emanata la legge contro i socialisti, il partito aveva 437.158 voti e 42 giornali politici, le organizzazioni sindacali contavano 50.000 iscritti e 14 giornali; quando la legge contro i socialisti finì, il partito poteva vantare 1.427.298 voti e 60 giornali politici, le organizzazioni sindacali più di 200.000 iscritti e 41 giornali”.

A quanto pare, la repressione, durata dal 1878 al 1890, aveva rafforzato il partito. Tuttavia il partito si era anche trasformato nei 12 anni di semiclandestinità: aveva dovuto sviluppare un robustissimo apparato (spesso composto di operai licenziati per motivi politici mantenuti con le quote raccolte tra i compagni di lavoro) per poter diffondere le sue pubblicazioni, stampate nella Svizzera tedesca o in Belgio e portate clandestinamente in Germania. Anche la partecipazione alle elezioni era scomoda e difficile, perché i socialdemocratici potevano formalmente candidarsi come indipendenti, ma il materiale di propaganda elettorale e le stesse schede (che dovevano essere distribuite agli elettori da ciascun candidato) venivano molte volte sequestrate preventivamente (e illegalmente) dalla polizia, sicché era diventato indispensabile organizzarne la diffusione simultanea di sorpresa, ad opera di una rete fittissima di militanti operai.

Vita ben più difficile della nostra di oggi, quindi, eppure il partito era cresciuto. Dopo la fine delle leggi antisocialiste crebbe ancora più rapidamente: nel 1893 i voti ottenuti furono 1.787.000, pari al 23,1%, con 44 deputati. Nel 1898 i voti furono 2.107.000 con 58 deputati (27,2%), e nel 1903 superarono i tre milioni (3.011.000, 31,7% con 81 deputati). Logica l’illusione che si potesse continuare a crescere indefinitamente fino a conquistare la maggioranza assoluta e quindi il potere per via elettorale. Invece quel successo preparò i primi guai: nelle elezioni successive del 1907 la posizione ufficiale del partito, ancora rigorosamente anticolonialista, denunciò i crimini dei militari nell’Africa del Sud Ovest (oggi Namibia), col risultato di non poter fare alleanze con forze di opposizione borghese, sicché pur aumentando ancora un po’ i voti i deputati scesero a 43, e una parte di essi - capeggiata da Gustav Noske - cominciò a spostarsi al centro, pronunciandosi a favore dell’aumento delle spese militari. Nel 1912 ci fu ancora di nuovo un’avanzata in termini di voti (4.250.000, con 110 deputati), ma quel gruppo parlamentare accresciuto aveva in sé i germi della crisi: si spaccherà il 4 agosto 1914 e poi nel corso della guerra. La sinistra di Rosa Luxemburg e Karl Liebkhnecht verrà sterminata nel gennaio 1919 dalle bande di mercenari assoldati proprio da Noske. Ma è altra vicenda rispetto a quel che mi premeva ricordare ora. Chi volesse saperne di più, cerchi qui e nella stessa sezione del sito, in cui alla socialdemocrazia tedesca e a Rosa Luxemburg sono dedicati molti altri articoli…

Torniamo all’Italia. Io stesso ho conosciuto in Puglia vecchi braccianti, che raccontavano quanti capilega erano finiti in galera anche per montature poliziesche: ad esempio quando ottennero il diritto di voto nel 1913, per evitare che i carabinieri perquisendoli sulla porta del seggio “trovassero” nelle tasche di qualcuno di loro un coltello a serramanico per arrestarlo, andavano a votare con le tasche cucite, o addirittura solo con i mutandoni di tela che ovviamente non avevano tasche. Una storia ignorata dagli indegni eredi attuali di quei pionieri che con i loro sacrifici avevano creato le premesse per tanti successi del movimento contadino e operaio.

Tra l’altro ho conosciuto in varie occasioni molti lavoratori che anche nel primo decennio dopo la liberazione erano stati vittime di discriminazioni pesanti, licenziamenti politici, arresti ingiustificati, attribuzione di reati inesistenti. Era l’altra faccia del “miracolo italiano”… Ma nonostante queste difficoltà, il movimento operaio all’opposizione crebbe e ottenne molto più in quegli anni di quando si avvicinò alla “stanza dei bottoni”.

Se si ricorda questa storia, si capisce perché è assurdo pensare che mantenere questo sistema di finanziamento dei partiti sia indispensabile per “dare voce ai ceti più deboli”, come dice Michele Prospero su l’Unità. Quali ceti deboli sono rappresentati oggi dal PD?

La cosiddetta riforma del sistema di finanziamento pubblico è una beffa: la novità sarebbe che ci devono essere controlli dei presidenti di Camera e Senato: bella garanzia, con il loro passato! Oppure si parla di un controllo di presidenti di Corte dei Conti, Cassazione e Consiglio di Stato. E dov’erano costoro mentre c’era chi si appropriava dei finanziamenti per comprarsi le ville o li investiva in Tanzania? 

Possibile che sia così difficile accorgersi che lo Stato non è mai stato neutrale, magistratura inclusa? Ovviamente a maggior ragione quella selezionata per le più alte cariche, con la funzione di cancellare qualche eventuale “errore” di un giovane magistrato convinto di dover fare il suo dovere in modo imparziale... Quante sentenze indecenti della Cassazione o pareri del Consiglio di Stato hanno cancellato decisioni a favore dei cittadini onesti?. Lo ricordava la bella intervista di Emanuele Battain che ho riportato sul sito (Controriforma della giustizia):

(…) la stessa Corte di Cassazione di recente ha sostenuto che l'art. 18 non dà diritto alla reintegrazione di fatto, e cioè la sentenza del pretore che ordina la reintegrazione non è eseguibile coattivamente, ma al massimo dà diritto al fatto che si debba percepire la retribuzione, che è una cosa diversa. Di più: in un momento in cui, di fatto, dopo i 61 licenziati, si buttano fuori 23.000 operai dalla Fiat, si chiede di buttarne fuori altri 12.000 dalla Montedison, si profilano tutta una serie di licenziamenti per riduzione di personale, esclusi dalla garanzia dell'art. 18, voglio vedere chi e con quale faccia tosta possa venire a sostenere che oggi c'è ancora la possibilità di dire che il posto di lavoro è garantito e, quindi, il problema della minaccia di licenziamento come ritorsione all'azione giudiziale non esiste. Questo tanto più, se si tiene conto che tra quei 23.000 della Fiat c'è 1'80% delle cellule del PCI dei relativi settori, il 98% della cellula della LCR e c'è la gran massa di tutti gli attivisti di sinistra che hanno operato alla Fiat negli ultimi anni; il che vuol dire che, in realtà, il padrone oggi è di fatto in grado di usare l'arma della rappresaglia, magari nell'ambito di una riduzione del personale, oppure semplicemente col fatto che prima licenzia, poi magari paga, ma non reintegra nel posto di lavoro.

 Vale la pena di andarsela a vedere tutta, quell’intervista (che è del 1981!), per capire da quanto lontano vengano le tendenze oggi in atto. Come si fa a fidarsi della Cassazione? Ma tornando a questa proposta di riforma, mi sento di dire che è una vera farsa, difesa con argomenti decisamente falsi. Si parla come se i contributi statali, dati alla faccia di un referendum dall’esito chiarissimo, dovessero servire per far partecipare gli “umili” alla politica, mentre servono nel migliore dei casi ad assicurare un po’ di posti di guardaspalle e di veline di bella presenza.

La politica di oggi costa cara perché ha espropriato i cittadini di ogni decisione, imitando il pessimo sistema elettorale degli Stati Uniti, dove i voti si conquistano con i miliardi, e le parate di majorettes e di elefanti o asinelli, e soprattutto con una costosissima propaganda, inutile e dannosa come quella dei dentifrici o dei detersivi, o di una marca di auto…

Per questo fanno ridere le proposte di ritocchi (come investire le eccedenze in BOT, piuttosto che in Tanzania). Buffoni! Perché ci dovrebbero essere “eccedenze”, mentre si tagliano le pensioni anche modeste e si lasciano senza sostegno precari e cassintegrati? Nessuno dei politici e dei partiti attuali merita un solo centesimo, nessuno.

E anche l’idea di rimborsare solo le spese effettivamente fatte (che è già scandalosa in sé, perché ammette che finora sono state regalate somme enormi a gente senza meriti e senza la minima funzione sociale) sorvola su qualsiasi giudizio su cosa è diventata “la politica” in questi anni. A che servono le gigantografie con le facce dei candidati? A che cosa le carovane di auto, o di pullman, o i treni colorati per portare chiacchiere vuote in giro per l’Italia? A che cosa le sedi più o meno ben arredate, in cui non ci sono più militanti, perché sono stati espropriati di ogni possibilità di decidere?

Credo che, comunque motivata, ogni forma di rimborso è inaccettabile: non a caso sotto questo nome è passata la beffa al referendum che aveva seccamente abolito il finanziamento ai partiti. È vero che non è stato il solo referendum beffato, ma questo a maggior ragione rende sospetta la proposta di Di Pietro di farne ancora uno, che appare come pura propaganda elettorale.

Non si può accettare neppure il rimborso delle sole spese vive realmente effettuate, perché non è facile distinguerle e richiederebbe costosi controlli nel merito della loro utilità. Al massimo si potrebbe concepire un contributo per viaggi (ma i parlamentari già hanno libera circolazione), o rimborso di spese tipografiche per la pubblicazione di organi di partito. Ma anche questo potrebbe dar luogo a uno sperpero pericoloso, dati i precedenti di finanziamenti a giornali inesistenti come l’Avanti di Lavitola…

Si potrebbe discutere casomai la proposta di creare un canale TV esclusivamente riservato ai dibattiti (non dei soli partiti, grandi e piccoli, ma di sindacati, associazioni, ecc.), con eguali possibilità di accesso per tutti, ma non sarebbe risolutivo, data la situazione dei media in Italia.

Comunque, prima di mettersi a discutere proposte “riformiste” di questo genere, bisogna approfittare dello sdegno diffuso in tutti i cittadini non legati al famelico ceto politico, per dire un secco NO ai finanziamenti, NO alla degenerazione della politica che sperpera milioni per conquistare consensi con le tecniche della vendita dei detersivi. La democrazia e la politica devono essere ricostruite dal basso, ma per farlo è inutile continuare a rappezzare un sistema di rappresentanza assolutamente screditato. E chi vuole ricostruire la sinistra, deve mettersi senza compromessi alla testa di questa lotta, se non vuole rischiare che il sacrosanto malcontento popolare venga gestito dalla destra più aggressiva e spregiudicata.


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