La riforma Alfano e la nostra democrazia

par Bernardo Aiello
giovedì 10 marzo 2011

Concetto fondamentale e definitivo di una democrazia deliberativa è quello della deliberazione stessa. Quando i cittadini deliberano, si scambiano le proprie opinioni e discutono le loro rispettive idee sulle principali questioni politiche e pubbliche. (John Rawls) 


In realtà le elezioni sono solo un modo â benché sicuramente uno dei più importanti â per dare efficacia concreta ai dibattiti pubblici [â¦] Il significato ed il valore delle elezioni dipendono in modo sostanziale dalla possibilità di una discussione pubblica aperta. (Amartya Sen)

Siamo partiti decisamente male, con la riforma Alfano della legittimità: i più importanti partiti dell’opposizione, invece di affrontarne in pubblico dibattito il contenuto, preferiscono continuare a strillare contro il premier chiedendone le dimissioni, come fanno dall’inizio della legislatura. Così facendo essi uccidono la nostra democrazia, quella che secondo James Buchanan dovrebbe essere “il governo attraverso la discussione”; e lasciano i cittadini in braghe di tela.

Già, perché, purtroppo, il testo della suddetta riforma appare, oltre che ampiamente carente, costellato di inaccettabili violazioni di principi di giustizia di libertà ed in grado di avere riflessi estremamente negativi sulle nostre Istituzioni; e le nostre Istituzioni non sono né della maggioranza né della opposizione: esse sono dei cittadini, che devono anche saperle difendere quando è necessario.

In cosa la riforma Alfano mette in pericolo le Istituzioni?

Ebbene, non certo nella separazione delle carriere fra magistratura inquirente e magistratura giudicante: chiedere alla prima di essere terza è una sciocchezza abissale perché non è ancora nato l’uomo che darà torto a se stesso.

Non così per la limitazione al principio dell’obbligatorietà dell’azione penale: senza questa viene meno un diritto di libertà fondamentale, quello dell’uguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge. Su questo punto la mobilitazione popolare deve essere assoluta e, se del caso, accompagnata da adeguate forme di disobbedienza civile (sempre nell’ambito del rispetto della legge penale).

Anche l’abolizione dei tre gradi di processo dopo l’assoluzione in primo grado appare un colpo gravissimo inferto al funzionamento del sistema di legalità, che su questo punto si è sempre basato e non in teoria, ma nella pratica più costante: in tantissimi casi, dopo l’assoluzione in primo grado, la sentenza di secondo grado ha ribaltato le cose facendo giustizia. Dobbiamo ricordare i processi per i fatti del G8 di Genova? Dunque anche contro questo passaggio la mobilitazione popolare deve essere estrema.

A tutto quanto sopra occorre aggiungere le vistose omissioni della riforma su problematiche che attendono urgenti soluzioni. Ad esempio sul decreto penale, che porta a vere e proprie forme di aberrante ingiustizia, come è accaduto per il caso Dino Boffo; o anche sull’obbligo nei procedimenti penali di una prima udienza entro tempi alquanto contenuti (ad esempio i 23 giorni dell’ordinamento britannico) per la contestazione all’imputato in dibattimento dei capi di accusa e per sentire la sua versione dei fatti da contrapporre al lavoro degli inquirenti, riportando così fortemente al centro i pubblici dibattimenti; o ancora la corretta partecipazione delle parti alla fase istruttoria, problema estremamente delicato, su cui si discute da sempre perché da contemperare con le evidenti ragioni di segretezza.

Comunque sia di ciò, per quanto riguarda quelle forze dell’opposizione che, invece di esaminare questo testo e di confutarlo con fermezza adeguata ai pericoli per le Istituzioni che contiene, sono in tutt’altre faccende affaccendate, l’augurio è che i cittadini, nelle prossime tornate elettorali, ne tengano adeguatamente conto.


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