Riforma del lavoro sul modello danese: che fine ha fatto la proposta di Ichino?

par Alessia Berra
giovedì 22 settembre 2011

Si discute di riforme strutturali, necessarie a rilanciare l'economia del Paese e ad uscire dalla crisi: riforma del fisco, del lavoro, privatizzazioni, liberalizzazioni, tagli ai costi della politica. Emma Marcegaglia ha dichiarato che se il Governo non è disposto a lavorare immediatamente in tal senso, non può stare. Certamente si tratta di misure difficili, che mettono in discussione diritti acquisiti e rendite di posizione, e che tuttavia non sono più rimandabili.
Ma forse non tutti ricordano che in passato alcune proposte sono già state fatte, e sono regolarmente finite in un cassetto ben chiuso a chiave. Ad esempio il disegno di legge proposto da Ichino per riformare il mercato del lavoro sul modello Danese.

Nel 2005 Pietro Ichino, giuslavorista e senatore del Pd, ha presentato un disegno di legge insieme ad altri 30 senatori del PD, basato sul modello danese della "Flexsecurity".

Il modello danese comporta che una persona che perde il posto di lavoro a causa di un processo di aggiustamento industriale o di fronte a uno choc economico tecnologico possa comunque mantenere la garanzia di continuità del reddito e l'investimento nella propria professionalità mirato ai possibili sbocchi occupazionali. Ciò significa che riceverà il 90% dell'ultima retribuzione nel primo anno che poi scala all'80, 70 e 60% nei tre anni successivi. A fianco dell'impresa opera un’Agenzia che gestisce insieme il sostegno al reddito e la riqualificazione professionale e il ricollocamento di ciascun lavoratore.
Proprio il costo elevato di questo sostegno al reddito costituisce l’incentivo per l’impresa a far funzionare molto bene i meccanismi di ricollocazione e riqualificazione del personale.

D'altro canto, l'Agenzia sa che conviene investire molto nella ricerca e nella formazione nei primi mesi (esattamente al contrario di quello che accade da noi) per ridurre al minimo il periodo di disoccupazione.

I danesi chiamano il loro modello di organizzazione del mercato del lavoro 'golden triangle', 'triangolo d'oro', perché è composto dallo Stato, dai sindacati e dai datori di lavoro. L'entrata e l'uscita dal mondo del lavoro non è un problema perché esiste una forte protezione sociale. Mentre in Italia la discontinuità del lavoro è portatrice di malessere e insicurezza, in Danimarca la mobilità nel mercato (che investe circa 800 mila persone sul totale di 4 milioni di lavoratori) non fa paura, perché l'accesso a un altro impiego è garantito, anche grazie al ruolo attivo del sindacato nella gestione del sistema di orientamento e formazione. In Danimarca, la metà dei disoccupati trova un posto di lavoro in meno di un anno, tanto che la definizione di "disoccupato di lunga durata" è attribuita a chi è senza lavoro da più di un anno.

La proposta di Ichino aveva lo scopo di incominciare a sperimentare su base volontaria, laddove le imprese stesse fossero state interessate a negoziare questo esperimento, un modello di organizzazione del lavoro di flessibilità ‘buona’ coniugata con sicurezza del lavoratore, un gioco a somma positiva in cui tutti hanno qualcosa da guadagnare.

Ne guadagnano le nuove generazioni, alle quali si offre un'opportunità di lavoro a tempo indeterminato. Nessuno sarebbe più inamovibile e tutti portebbero il rischio dello choc economico e tecnologico, che non verrebbe più caricato su una metà della forza lavoro come accade oggi in Italia, ma tutti saprebbero che, nel caso di perdita del posto, non si viene abbandonati a se stessi e non si verifica una catastrofe né sul piano economico né sul piano professionale.

Ma avrebbero da guadagnare anche i "vecchi" lavoratori, quelli che hanno già una posizione stabile in azienda, perché il disegno prevede che la loro posizione non venga toccata dalla riforma ma si dà loro la possibilità di scegliere per il nuovo sistema.

Di certo un cambiamento radicale nel sistema di welfare italiano. Ma non impossibile.

Già 5 anni fa numerose 75 aziende medio-grandi avevano manifestato la loro disponibilità. Eppure non se n'è fatto nulla.

L'ennesima dimostrazione che non sono le idee a mancare, né le soluzioni possibili ai problemi che siamo chiamati ad affrontare. E' la volontà che manca.


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