Riflessioni sulla democrazia – Democrazia e ingiustizia I°

par Karim METREF
lunedì 20 aprile 2009

La democrazia liberale dei paesi ricchi di questo mondo è una cosa molto bella. Molto comoda. Infatti ci sono tante persone che emigrano dai paesi poveri e dittatoriali verso i ricchi e democratici. Tanti lo fanno per avere più soldi, più roba e più sicurezza. Ma sono forse altrettanti quelli come me che emigrano per godere di questa bella libertà. Sono andato via dal mio paese con il mito del "mondo libero" e ci sono approdato in questo "mondo libero" e me la godo tutta questa libertà (anche scrivendo queste cose), come "l’immigrato medio" che si gode la macchina nuova comprata con i primi risparmi o con il primo mutuo.

Ma così come chi si svena per fare bella figura con il macchinone e si rende conto che in fin dei conti non gli cambia poi tanto la vita, io più ci vivo e più mi rendo conto che in fin dei conti la libertà delle democrazie ricche e potenti così come i loro soldi, le loro belle macchine, le loro belle case... è soltanto un miraggio, uno specchio per le allodole.

Qualche anno fa le forze armate statunitensi in testa ad una coalizione più o meno ampia sbarcavano in Afghanistan e poi in Iraq con una missione: portare la democrazia. E non pochi ci sono cascati, soprattutto nel caso dell’Afghanistan. “Sì!” - hanno detto in tanti - “si può portare la democrazia con le armi, con le bombe a grappolo, con le bombe all’uranio impoverito o arricchito, con le bombe al fosforo bianco”. Tanti hanno detto che non è questo il modo per esportare la democrazia.

Qualche ONG ha anche messo in atto queste parole e ha sparso attraverso il mondo le scuole per la democrazia. È il “come farlo” che è oggetto delle più accese polemiche, non l’esportazione stessa della democrazia. Sul fatto che i paesi ricchi e potenti del mondo abbiano da insegnare qualcosa ai più poveri sono pochi i scettici.
Addirittura, il Signor Francis Fukuyama, nel 1992, in un suo saggio di successo intitolato “The End of History and the Last Man”) dichiara che è "la fine della storia" e che l’umanità ha scoperto nel binomio liberalismo economico e democrazia elettorale il modello ideale, quello verso il quale l’umanità si è sempre spinta attraverso il suo percorso storico. 

Le domande sulle quali mi propongo di intervenire in questa mia piccola riflessione (senza nessuna pretesa di ricerca scientifica o filosofica accurata) sono quindi: uno, è vero che il modello democratico liberale è il migliore che abbia mai inventato l’essere umano? Due, è vero che questo modello potrebbe essere applicabile in tutti i paesi del pianeta?

L’unico punto sul quale concordo è sulla probabilità della fine della storia. Potrebbe essere sì la fine della storia, questa. Ma perché questo sistema, se ci ostiniamo ad applicarlo e a volerlo generalizzare, mi sembra quello giusto per ammazzare il pianeta e tutti noi insieme

La democrazia liberale comincia con la rivoluzione industriale e quindi anche con il colonialismo. I primi parlamenti cominciano a funzionare pienamente soltanto quando le ricchezze tratte dalle colonie (fonti di materie prime, di schiavi e mercato esclusivo) hanno permesso di mantenere la classe popolare dei paesi industrializzati sopra un certo livello di vita. Benessere contro pace sociale. Questa è la formula magica che ha permesso di costruire un sistema basato su una larga libertà d’opinione ma che non arriva mai poi ad un vero e proprio cambio di classe dirigente. C’è troppo da perdere: la paga buona, la casa, i bei vestiti e il buon cibo, riscaldamento e luce, acqua calda, cosmetici vari, aggeggi elettronici di tutti i generi e poi l’abbonamento a Sky! Ci pensate alla vita senza il telefonino e l’abbonamento Sky?

La Francia (Madre dei diritti umani!) era la bella democrazia che era soltanto perché in Algeria c’era mio nonno a sgobbare gratis. Così la Gran Bretagna e gli Stati Uniti…

L’umanesimo della democrazia liberale (tenete conto che non parlo né di occidente né di oriente, né di Nord né di sud ma soltanto di sistemi) è un umanesimo circoscritto. C’è sempre una frontiera, una montagna, un fiume, un muro, una razza, una bandiera o una barriera di filo spinato oltre il quale non vale più e questa barriera si è fatta sempre più netta. Oggi, la differenza tra ricchi e poveri si è aggravata molto, fino ad arrivare ad una popolazione uguale a circa il 20% del totale degli abitanti della terra che consuma 80 % delle risorse disponibili su questo stesso pianeta. Ma, se una volta questa frontiera passava netta tra il “primo” e il “terzo mondo”, nazioni ricche e potenti e nazioni povere e sottomesse. Nei tempi odierni non è più così. Le frontiere nazionali servono soltanto a limitare la mobilità dei più poveri. In modo che non si spostino tutti insieme verso le zone di benessere e di diritti, creando squilibri e scombussolando i piani. I primi e terzi mondi esistono oggi più che mai ma non sono delimitati dai confini nazionali perché oggi, come tutto in questo mondo globalizzato, questi mondi sono diffusi, o liquidi direbbe Baumann. In ogni città, ogni nazione del mondo c’è un primo e un terzo mondo. Così anche la democrazia liberale si sta diffondendo in tutto il mondo. Ma non per tutti. La democrazia c’è in tutta l’isola di Manhattan ma non in alcuni ghetti. La democrazia c’è in India ma non ovunque, non per tutti. La democrazia c’è in Italia ma non a Scampia, non a Gioia Tauro, non a Corleone... La Frontiera è ovunque così come ovunque ormai c’è un primo e un terzo mondo.

Ma è senza dubbio che il modello dominante abbia tanto fascino. Se sei nato in mezzo a quel 20% della popolazione mondiale che ha a disposizione 80% delle risorse del pianeta certo che sei contento e che lo consideri un modello vincente. E paradossalmente, anche se nasci dall’altra parte del confine subisci l’attrazione e il fascino del modello e fai di tutto o per andare ad abitare laddove è più diffuso o cerchi di farlo applicare nel territorio sul quale vivi.

Certo che essere un privilegiato è dolce ed è piacevole. Ma il miracolo della democrazia liberale è possibile soltanto in quei territori, ristretti, dove si riesce a concentrare abbastanza ricchezza da sedare ogni tendenza alla ribellione e alla rimessa in conto dei privilegi delle caste dominanti.

Nell’epoca precedenti all’era moderna, nella maggior parte del mondo il potere era in mano alle nobiltà e ai grandi propritari di terre. La nobiltà pretendeva di aver ricevuto il potere da Dio in persona e quindi non lo doveva giustificare in nessun modo. Gli uomini d’affari invece, che sono venuti dopo, sono commercianti. Per loro la vetrina è tutto. La democrazia è la vetrina bella della società capitalistica. Le colonie, sotto le vecchie e le nuove forme (vedere quello che succede in questo momento in Congo per far funzionare i nostri bei telefonini), sono il magazzino sporco, disordinato, impresentabile ma indispensabile a questo business. Il razzismo a volte, il nazionalismo altre volte e la pretesa comunque della superiorità (razziale, nazionale o culturale) quasi sempre è la giustificazione che permette di vivere bene questa profonda ingiustizia tra bottega e retrobottega. Certo che è più bello nascere garzone (o ancora meglio se proprietario) della bottega che schiavo nel retro! 

C’è invece chi dice che la democrazia liberale è il “menopeggio”. Visto quello che succede nel resto del mondo. Povertà, sistemi totalitari, assenza di diritti individuali e collettivi, guerre... come dire: vivere i un paese in cui puoi dire quello che ti pare e stramangiare, sprecare è meglio che morire di fame in prigione... Certo!! Ma bisogna per dirlo far finta di non sapere che, in un tavolo (mondo) unico in cui le risorse non sono infinite, il mio stramangiare consuma anche le porzioni dei miei vicini di tavolo. per cui è il meno peggio sì ma per chi si trova dal lato giusto del tavolo. 



Le dittature del terzo mondo sono funzionali alle democrazie del primo, così come la mafia nel sud Italia è funzionale al buon funzionamento della Padania. 

Qualche anno fa, nella mia regione d’origine in Algeria, la Cabilia, i giovani si sono sollevati. Hanno fatto sommosse, proteste, sit-in, occupazioni. Una intera regione di 6 milioni di abitanti si è fermata per chiedere più libertà, più trasparenza, più diritti... La protesta è durata 3 anni. 3 anni in cui i movimenti cittadini, non pilotati da nessun partito politico, assolutamente laici, con una struttura orizzontale veramente democratica nel senso più profondo della parola, hanno cacciato via le istituzioni corrotte dello stato e hanno vissuto in autonomia (dalla amministrazione centrale non dal resto del paese) facendo vere esperienze di democrazia diretta... 
(Per chi vuole saperne di più vi mando a questo mio documentario: "Il ritorno degli Arch- I villaggi della Cabilia scuotono l’Algeria", che si può scaricare gratuitamente dal sito di Arcoiris tv: 
http://www.arcoiris.tv/modules.php?...)

Ebbene, qualcuno di voi ne ha sentito parlare? Niente! 

L’unico articolo uscito in Italia su un grande giornale è stato sulla Repubblica (la cara vecchia Repubblica!!) che ha mandato Magdi Allam (Himself!) nel più esclusivo albergo di Algeri ad intervistare l’allora ministra della cultura: la signora Khalida Messaoudi (grande personaggio mediatico creato dalla stampa francese nonché icona - fasulla - del femminismo di mezzo mondo tranne che in Algeria) che ha spiegato che gli insorti della Cabilia non sono integralisti musulmani 
ma che sono altrettanto nocivi. Punto! 

A Parigi, centomila Cabili hanno manifestato, due volte. Non una parola nelle tv francesi. Niente! 

Invece, in quel periodo c’era alla porta del gabinetto del nostro amato presidente, la coda dei capi di stato occidentali che andavano ad assicurarlo del loro sostegno. 
Questa è la realtà! La vetrina democratica dei paesi ricchi per funzionare ha bisogno del petrolio e del gas del Signor Bouteflika e non delle proteste di piccoli contadini cabili. 

Nel film del rimpianto Gillo Pontecorvo, La Battaglia di Algeri, il comandante Matieux risponde ai giornalisti che li chiedevano se era vero che l’esercito francese usasse la tortura: "Signori non è questa la domanda che vi dovete porre. Ma la seguente: Vogliamo o non vogliamo che la Francia rimanga in Algeria? Se vi rispondete di sì, allora tutto il resto è solo ipocrisia!".

Ghandi dice che il fine è nel mezzo come l’albero è contenuto nel seme. Cioè che non si può proseguire fini nobili usando metodi sporchi. Ma è ancora più vero il contrario. Non si può costruire un impero rispettando i diritti e la dignità di quelli che vuoi sottomettere. 

Per cui la domanda che bisogna porsi, forse, è: vogliamo o non vogliamo che continui questo ordine delle cose in cui 20 mangiano 90 porzioni e 90 hanno a disposizione solo 10 porzioni? Se lo vogliamo allora non facciamo discorsi su democrazia e dittatura. Sarebbe, come dice Matieux, solo ipocrisia. 


Leggi l'articolo completo e i commenti