Regno Unito, la correzione di primavera e l’autunno del welfare

par Phastidio
giovedì 15 maggio 2025

La manovra correttiva del Labour si abbatte sul welfare ma la pressione fiscale continua a crescere. Destra e sinistra fanno ovunque policy simili ma il rischio è un futuro di crisi fiscali e repressione sociale.

Il cosiddetto Spring Statement rappresenta, nel Regno Unito, una sorta di “manovra” intermedia di bilancio in cui il Cancelliere dello Scacchiere, cioè il ministro delle Finanze, illustra la situazione dei conti pubblici e presenta eventuali correzioni. L’appuntamento di quest’anno era diventato una sorta di psicodramma, dopo che il peggioramento delle prospettive di crescita e inflazione, oltre a una manovra autunnale decisamente stagflazionistica da parte della cancelliera Rachel Reeves, hanno fatto saltare la regola di bilancio del governo laburista che prevede di raggiungere nell’anno finanziario 2028-29 il pareggio “day-to-day”, in cui cioè le spese correnti sono uguali alle entrate. Lo scorso ottobre, quel margine era di soli 9,9 miliardi di sterline. Il deterioramento della congiuntura lo ha trasformato in un deficit di 4 miliardi di sterline. Da qui la correzione di primavera per 14 miliardi.

Tagli al welfare contro l’inattività

Non volendo aumentare oggi entrate, anche per rispettare il manifesto elettorale a cui i partiti in UK si impiccano regolarmente da anni, Reeves ha impugnato le forbici su un capitolo di spesa politicamente sensibile: il welfare, e in particolare le erogazioni ai disabili e inabili, con l’obiettivo di recuperare 5 miliardi di sterline. Alla fine, anche dopo intervento dell’Office for Budget Responsibility, il watchdog indipendente di bilancio, e considerando riallocazioni ad altre voci di spesa di welfare, il risparmio netto sarà di 3,2 miliardi.

I numeri, come presentati dal Dipartimento Lavoro e pensioni, sono pesanti: circa 3,2 milioni di persone subiranno perdite finanziarie a causa delle riforme del welfare annunciate dal governo, perdendo in media 1.720 sterline l’anno. Per contro, circa 3,8 milioni di famiglie trarranno vantaggi finanziari, con un aumento medio del reddito di 420 sterline. Il governo stima che circa 800 mila persone perderanno i benefici per disabilità; questo comprende 370 mila persone che attualmente ricevono pagamenti di indipendenza personale (PIP) e che non li riceveranno più, e 430 mila futuri richiedenti che non saranno più idonei a tali benefici. Circa 250 mila persone, compresi 50 mila minori, cadranno in povertà relativa a causa delle riforme del welfare annunciate oggi dal governo Laburista.

Ma non è tutto: anche per il welfare, Reeves ricorre alla “magia” del fiscal drag per recuperare risorse, e congela l’adeguamento delle erogazioni. Di conseguenza, i circa 2,25 milioni di persone che percepiscono benefici di inabilità noti come Universal Health Credit, perderanno in media 500 sterline l’anno, sempre secondo la valutazione d’impatto effettuata dal governo. Inoltre, circa 730 mila futuri beneficiari perderanno circa 3.000 sterline all’anno a causa della decisione del governo di dimezzare il diritto ai benefici per i nuovi richiedenti.

L’obiettivo ufficiale del governo laburista, così come quello del precedente governo conservatore di Rishi Sunak, resta quello di ridurre l’inattività ma occorrerà valutare quanto ciò è realistico, vista la elevata incidenza di condizioni croniche nella popolazione. La filosofia di questi interventi è sia quella di comprimere la spesa e soprattutto piegare la sua traiettoria inerziale, che rischia di diventare esplosiva a legislazione invariata, che quella di evitare trappole di welfare che di fatto impediscono il rientro nel mercato del lavoro anche a soggetti che desiderano farlo.

Austerità? Non ancora

Previsto anche il taglio imminente, per 10 mila unità, di personale del Civil Service, la pubblica amministrazione centrale, che si era gonfiato durante il Covid, e di ben il 15 per cento entro il 2030 per i costi amministrativi dei Dipartimenti. Per il riarmo, vengono tagliati gli aiuti alla cooperazione internazionale, vera vittima globale di questa stagione geopolitica, e girato il risparmio alla Difesa, con l’obiettivo di conseguire alti moltiplicatori di spesa domestica.

L’antefatto è che il primo bilancio firmato da Reeves prevede, dal prossimo primo aprile, inizio dell’anno finanziario, un robusto aumento dei contributi della National Insurance per i datori di lavoro e i lavoratori autonomi, e la contestuale riduzione della soglia minima di ricavi oltre la quale si paga la contribuzione. Questa misura è attesa causare forti problemi al settore dei servizi, costretto in parte ad assorbirne i costi, danneggiando occupazione e programmi di assunzione, e in parte a riversarli sul consumatore finale. Da qui la radice stagflazionistica del provvedimento. Le forti incertezze legate ai dazi di Donald Trump hanno fatto il resto.

In questi giorni di attesa per lo Spring Statement, alcuni commentatori hanno osservato che il governo Starmer non sta facendo austerità, perché i 40 miliardi di sterline di maggiori entrate annue decisi nel budget dello scorso autunno vanno a finanziare aumenti di spesa reale, cioè al netto dell’inflazione, per i programmi dei dipartimenti “protetti”, cioè quelli prioritari: segnatamente, difesa, salute e istruzione. Tali aumenti reali erano in origine dell’1,3 per cento annuo, che tutto può essere definito fuorché austerità.

La scure dei tagli reali cadrà sui dipartimenti non protetti, tra cui giustizia, trasporti e commercio internazionale ma Reeves ha inciso anche quelli protetti, limando a 1,2 per cento il loro aumento reale di spesa. E credo che, di questo passo, vedremo ulteriori riduzioni in corso di legislatura. C’è chi sostiene che la crescita reale della spesa ministeriale non è indicatore corretto di priorità, perché basterebbe aumentare la produttività della pubblica amministrazione (anche con le nuove tecnologie) per conseguire risultati analoghi o superiori con un taglio anche drastico di spesa, nominale e reale. Vero, ero molto più giovane quando ho iniziato a leggere questo suggestivo concetto.

The Italian toolbox

Non mancano alcuni provvedimenti “italiani”, ormai entrati nella cassetta degli attrezzi di tutti i governi disperati di spremere un minimo di crescita aggiuntiva mentre in realtà la frenano. Ad esempio, l’aumento delle gabelle pubbliche sui visti di ingresso, in media pari al 7 per cento, che dovrebbe produrre 400 milioni di gettito aggiuntivo: la caratteristica “inflazione amministrativa”. Il costo per le aziende di ottenere un “certificato di sponsorizzazione” per far arrivare dall’estero lavoratori e professionisti qualificati più che raddoppierà, con un incremento del 120 per cento, da 239 a 525 sterline.

Ma c’è anche la leggendaria “lotta agli sprechi e alle frodi”, una voce del menù pubblico di cui si sono impossessati Donald Trump e Elon Musk per dissimulare i tagli veri che verranno, quelli agli entitlements. C’è pure l’equivalente della lotta al fenomeno che da noi si chiama “partite Iva apri e chiudi”, a cui nel Regno Unito è stato dato il suggestivo nome di “fenicizzazione”, dal mitologico uccello che rinasce dalle proprie ceneri.

Reeves da qualche tempo mostra una particolare ansia di stimolare la crescita, anche al costo di rianimare antiche polemiche “italiane”, come quella sulla terza pista dell’aeroporto di Heathrow, che forse prima necessita di migliori sistemi di ridondanza in caso di incendi. Tra l’altro, restiamo in attesa di capire se le annunciate riforme della legislazione sul lavoro, che in campagna elettorale erano decisamente progressiste, si trasformeranno invece nell’ennesima liberalizzazione di emergenza. Né manca la suggestione di “canalizzare” il risparmio nazionale verso le imprese britanniche. Come vedete, il canovaccio italiano è ormai dominante.

La manovra di primavera si infrange contro l’evidente scetticismo del watchdog del bilancio pubblico. Che non è autore delle Tavole della Legge ma elabora previsioni in base al proprio modello econometrico. E che segnala in primo luogo che il margine di sicurezza sul pareggio del bilancio corrente, che Reeves ha ripristinato a 9,9 miliardi sull’ultimo anno di legislatura, resta molto basso e quindi soggetto ad alto rischio (50 per cento) di nuove manovre correttive. Dal 2010, quel margine è stato in media di circa 31 miliardi di sterline. C’è poi una seconda regola fiscale, a impiccare i governi britannici: la legislatura deve terminare con il rapporto debito-Pil in flessione rispetto al suo inizio: l’Office for Budget Responsibility prevede tale esito con probabilità del 51 per cento. Il lancio di una moneta solo moderatamente taroccata, in pratica.

Malgrado questa correzione fragile e aleatoria, la pressione fiscale britannica passerà dall’attuale ancora contenuto (per i valori dell’Europa continentale) 35,3 per cento al 37,7 per cento tra tre anni, alimentando lo psicodramma collettivo e il dibattito pubblico di un paese che non vuole essere ad alta pressione fiscale come sono i vicini della Ue ma che sta vivendo il lungo addio a un welfare comunque generoso. Una situazione figlia naturale di un male che noi italiani conosciamo bene: la produttività ha smesso da tempo di crescere anche in Regno Unito. E la Brexit non ha curato, anzi.

Ora si riparte, con le polemiche e le incertezze, verso il budget d’autunno, che si annuncia la vera resa dei conti. La spesa pensionistica è l’ultimo tabù, col meccanismo del triple lock che ogni anno indicizza gli assegni al maggiore tra il tasso di crescita delle retribuzioni, quello dell’inflazione e 2,5 per cento. Una dinamica semplicemente insostenibile, per le casse pubbliche. Reeves (e Starmer, che la copre politicamente) arriveranno ad azionare il fiscal drag anche sulla voce di spesa pubblica più indicizzata del Regno Unito?

Su tutto, torreggia minacciosa la spesa per interessi sul debito pubblico: 105,2 miliardi di sterline quest’anno. Più dei bilanci di Difesa, Interno e Giustizia sommati. E lo spettro politico di Liz Truss.

In chiusura, la domanda ricorrente: il Labour è un partito fintamente progressista e solo una copia più o meno bella o brutta (a seconda dei punti di vista) dei Tories? Ma la stessa domanda si può porre altrove, dove l’alternanza al governo di “destra” e “sinistra” produce esiti di policy non realmente dissimili, e “scarica” le differenze e la galvanizzazione degli elettorati su temi a costo economico immediato prossimo a zero, quali quelli identitari. La resistenza ad aumentare le entrate per non subire fughe di capitali resta elemento decisivo di condizionamento della politica di bilancio. Ovunque. Se le istanze sociali si moltiplicano, il cortocircuito è assicurato. Con questa traiettoria, ho la sensazione che i governi occidentali di un futuro non troppo remoto spenderanno non tanto in welfare quanto in repressione dei moti sociali.

Photo by HM Treasury on flickr – CC BY-NC-ND 2.0


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