Regionali: l’importanza del voto in Toscana

par Fabio Della Pergola
venerdì 4 settembre 2020

Le elezioni regionali toscane si presentano quest’anno molto diverse dal noto trend storico che ha portato a definire la Toscana come regione rossa per antonomasia.

Così come, ma è storia ormai passata, le altre roccaforti della sinistra di un tempo che fu (Liguria, Emilia-Romagna, Umbria e Marche). Di queste, Liguria e Umbria sono già passate alla destra e le Marche probabilmente seguiranno quest’anno.

Ma se le regioni più piccole hanno cambiato colore senza grossi sconvolgimenti, Emilia-Romagna e Toscana hanno una indiscutibile rilevanza nazionale. Sono conosciute come territori di "buona amministrazione" e di salda coscienza democratica e antifascista ininterrottamente dalla fine della guerra. L'Emilia-Romagna ha mantenuto il suo colore (una qualche sfumatura di rosso, grazie anche alla discesa in campo del movimento delle Sardine che ha contribuito a motivare un elettorato in quel momento particolarmente stanco e sfiduciato), ma è lecito chiedersi cosa succederà in Toscana il prossimo 20 settembre.

Perché la regione non sembra essere messa tanto bene, per i cuori che battono per la sinistra e/o il centrosinistra (e questo articolo parla a loro).

Il candidato governatore, Eugenio Giani, descritto da Il Manifesto come un ex renziano di ferro, ma di antica matrice nel Psi nenciniano, è espressione di un apparato di partito poco propenso a guardare al di là di se stesso e non è certo personaggio tale da scaldarli quei cuori, nonostante l’appoggio del governatore uscente, il molto apprezzato Enrico Rossi.

È inoltre espressione di quel mondo imprenditoriale che punta molto sul progetto di allargamento dell’aeroporto di Firenze Peretola che trova invece la decisa opposizione del mondo ambientalista e di larga parte dello stesso Partito Democratico dell’area sestese (nei cui pressi sorgerebbe la nuova pista parallela all’autostrada).

Le critiche che vengono da sinistra sono tante e ancor più articolate se il candidato della lista Toscana a Sinistra, Tommaso Fattori, ha esplicitamente parlato di politiche sociali ed economiche sovrapponibili tra PD e Lega. Un’accusa non immotivata, ma forse anche un po’ tanto, troppo, ingenerosa.

In sintesi quella di Giani è una candidatura emersa da una scarsa attenzione al rischio (tutt'altro che fantasioso) di replicare a livello regionale quanto già successo in alcune città toscane, anch’esse storicamente rosse, come Pisa, Siena, Massa o Pistoia.

Ricordiamo cosa è successo.

A Pisa due anni fa votò al primo turno il 58,58% degli elettori. Al secondo turno la percentuale, già bassa, si abbassò ulteriormente, fino al 55,86. La coalizione di centrodestra vinse con il 52,29% dei voti espressi (in pratica poco più di un quarto degli aventi diritto), mentre il candidato avversario si fermò al 47,71. Ma la coalizione di centrosinistra al primo turno aveva avuto il 39,97 contro il 33,36 della destra. Il 7,8 era andato alla lista di sinistra-sinistra (Rifondazione comunista e altri), l'1,37 a Sinistra italiana e il 9,90 al M5S. Erano altri tempi, ma se si pensa che la compagine che oggi governa il paese, al primo turno aveva raccolto quasi il 60% dei voti (oltre il 50% se non si contano i voti del M5S che a quei tempi stava su un'altra barricata), si poteva immaginare di tutto tranne che la città finisse nelle mani di un sindaco proveniente da Alleanza Nazionale.

Una cosa simile successe a Siena. Un brusco calo di votanti tra il primo (63,80) e il secondo turno (56,20), con il centrodestra che conquistò la città con il 50,80 mentre l’avversario si fermava al 49,20. Anche qui la vittoria sembrava a portata di mano, anche se di misura. Al primo turno la coalizione di centrosinistra aveva avuto il 47,23 (contro il 24,24 del centrodestra) e la lista di sinistra-sinistra il 3,90. Poi, al secondo turno, l’elezione del primo sindaco di centrodestra dal dopoguerra.

Simile storia, ma con ancor più netta vittoria del centrodestra a Pistoia, nel 2017, e a Massa. Anche qui con un crollo dell’affluenza tra primo e secondo turno di sette/otto punti percentuali.

Il centrosinistra ha bisogno di riscaldare i cuori dei propri elettori se vuole vincere. E non ci riesce (più). Ma la sinistra-sinistra, che ne avrebbe l'intenzione, quei cuori in realtà li scalda ben poco. E sempre meno caloroso è anche il cuore di chi è stato sensibile ai proclami di Grillo & Co. I travagliati percorsi nazionali si rispecchiano nel voto locale.

Gli elettori di sinistra, al momento di decidere chi li governerà, rispondono restando a casa quel tanto che basta per far decidere agli altri. Il risultato complessivo (di politiche anodine e candidati sbagliati da una parte e del rifiuto del "voto utile" dall'altra) è uno solo: vincono i candidati di centrodestra.

Per dirla meglio: non è che vince la destra, è che perde la sinistra.

Metteteci il timore per il virus (che allarmando a sinistra più che a destra potrebbe favorirne ulteriormente l'astensionismo) e diventa logico chiedersi se una cosa simile potrebbe accadere, in una nuova stagione politica contrassegnata dal governo giallorosso al posto di quello gialloverde, anche a livello regionale.

Il leader di Toscana a sinistra, Tommaso Fattori, ha definito la regione "elettoralmente non contendibile" dalla destra. Ma – anche se il suo discorso è più articolato – forse è il caso di non dare per scontate certe dinamiche storiche.

Il regolamento elettorale della Regione Toscana prevede che viene nominato presidente chi abbia il maggior numero di voti e contemporaneamente abbia raggiunto almeno il 40% dei suffragi. Il ballottaggio si effettua fra i due migliori contendenti solo se nessuno dei due raggiunge quella soglia minima.

Secondo l’ultimo sondaggio Winpoll-Cise, pubblicato dal Sole 24ore, Eugenio Giani si attesterebbe al 43% mentre la candidata del centrodestra Susanna Ceccardi si piazzerebbe al 42,5%. Entrambi oltre la soglia fatidica che consegnerebbe la regione già al primo turno. E a pochissima distanza l'uno dall'altra.

C’è quindi la possibilità che le liste minori (il M5S al 15,05% e Toscana a sinistra con il 6,28 alle regionali 2015, contro un Ernesto Rossi che vinse al primo turno con il 48,02% dei voti) raccolgano maggiori consensi di quanto previsto (nonostante il calo dei Cinquestelle, dati dai sondaggi sotto al 10%) e facciano complessivamente un miglior risultato oggi, per esplicita avversione al candidato del Partito Democratico, di quanto non potessero fare nel 2015 quando c’era un candidato molto apprezzato, in lizza per il suo secondo mandato.

La coalizione per Giani si presenta quindi con lo spirito tremebondo delle divisioni, dei tormenti, delle reciproche accuse che da tempo travagliano le tante anime della sinistra, dell’astio e dell’incapacità di mediare posizioni di compromesso per aggiudicarsi un'elezione che non possono, tassativamente, perdere. In una parola, è palpabile il timore di una debacle.

Sull’altro fronte si candida una giovane donna toscana, già sindaca di Cascina, europedutata leghista, sul cui nome il fronte di centrodestra si è compattato (nel 2015 c’erano invece due liste diverse di colore simile). La sua coalizione si presenta quindi con lo spirito entusiasta di chi si sente le spalle coperte dalla ritrovata unità e con il vento nazionale (relativamente) in poppa, nonostante le note battute d'arresto dell'ultimo anno.

Il risultato potrebbe essere che Ceccardi raggiunga il fatidico 40%, mentre sul lato opposto astensionismo e frastagliamento del voto impediscano a Giani di arrivarci. E passerebbe al primo turno la candidata leghista.

Due le possibili scappatoie per chi vuole impedire la vittoria della destra.

La prima è suggerita dalla legge regionale toscana che prevede il voto disgiunto, cioè la possibilità di votare una lista e un candidato presidente anche se la lista non fa esplicitamente parte della coalizione che sostiene il candidato. In sintesi è possibile (giusto per fare un esempio) votare la lista Toscana a sinistra e, nello stesso tempo, per Giani Presidente.

La seconda è votare una delle liste che fanno parte della coalizione per Giani Presidente, pur non condividendo alcune sue proposte, come quella sull’aeroporto: Svolta! (espressione del movimento Volt), Sinistra Civica Ecologista (sostenuta dal sindaco di Sesto Fiorentino, Lorenzo Falchi) o Europa Verde.

Inutile dire che la conquista della Toscana da parte della destra avrebbe un significato storico a dir poco dirompente.

Sancirebbe la credibilità, sul piano nazionale, della coalizione (principalmente dell'alleanza tra nazionalisti post-fascisti e sovranisti ex-indipendentisti del nord, con la ruota di scorta del berlusconismo sul viale del tramonto) e minerebbe pesantemente la storica idea di affidabilità della classe amministrativa del PD. Con, in più, la fine politica, a casa sua (perciò forse definitiva), del renzismo.

In pratica darebbe uno scossone forse fatale al governo che non potrebbe far finta di niente uscendo sfiduciato in una delle poche regioni che ancora lo sostengono. Ne pagherebbe lo scotto, di conseguenza, anche la gestione del Partito Democratico da parte di Zingaretti, già accusato da più parti di inerzia. Senza peraltro che si riesca a intravedere la nascita di un credibile fronte alternativo di sinistra, capace di coalizzare l'area democratica e antifascista.

Il voto toscano potrebbe quindi essere essenziale – o, al contrario, esiziale – per il governo, ma si potrebbe aggiungere che la sua eventuale caduta, con la prevedibile resa dei conti fra le tante anime che l'hanno sostenuto finora, non potrebbe portare ad altro che alla riconquista dello stesso da parte del centrodestra, alle conseguenti elezioni nazionali.

Il che, a sua volta, avrebbe pesanti ricadute sulle dinamiche politiche europee. Mica scherzi.

Foto: Angelo Romano/Wikipedia


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