Referendum sui salari equi. In Svizzera, ovviamente

par Daniel di Schuler
lunedì 4 novembre 2013

Da noi, al massimo, Ignazio Visco arriva a chiedere ai dirigenti bancari di moderare i propri compensi.

Il ventiquattro novembre i cittadini svizzeri saranno chiamati a dire se vogliono o no che sia introdotto un limite di uno a dodici nel rapporto tra stipendio minimo e massimo pagati da uno stesso datore di lavoro, impresa o ente che si tratti. Se i vinceranno, insomma, verrà modificata la Costituzione in modo che, in un'azienda, nessun dirigente possa guadagnare in un mese più di quel che guadagna in un anno il meno pagato dei suoi collaboratori.

Si tratta di un’iniziativa proposta dalla Gioventù Socialista Svizzera, con la raccolta di 117.000 firme (su otto milioni di abitanti), e che, ai sensi della Costituzione elvetica per norme di questo tipo, si trasformerà in legge solo dopo essere stata approvata dalla maggioranza dei cantoni, oltre che da quella dei cittadini.

Presto per dire se questo avverrà, considerando che i sondaggi di qualche giorno fa davano ancora l’elettorato perfettamente diviso tra un 44% di favorevoli a altrettanti contrari, mentre gli altri si dicono ancora indecisi.

Resta che in Svizzera si sia preso atto del fatto che il divario salariale sia cresciuto vertiginosamente e che si consideri questo un problema. Pochi numeri per darne le dimensioni. Nel 1984 il rapporto tra stipendi massimi e minimi era pari a sei; nel 1998 era arrivato a tredici e nel 2011 aveva raggiunto quota quarantatré. Situazione che si esaspera nelle grandi multinazionali, dove i dirigenti di rango più elevato guadagnano oltre duecento volte di più degli impiegati meno retribuiti.

Una questione di cui i cittadini della confederazione si sono già occupati il 3 marzo scorso, approvando a grande maggioranza (oltre il 70%), e nonostante il parere contrario dei maggiori partiti, un’altra legge d’iniziativa popolare, volta a rafforzare il potere degli azionisti e ad impedire ai dirigenti di assegnarsi, in modo quasi del tutto autonomo come avveniva, retribuzioni e premi.

Ci si chiede quando anche la nostra politica arrivi a porsi questi problemi, soprattutto per le aziende pubbliche o partecipate dallo Stato. Ne ha parlato ieri il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, per quanto riguarda stipendi e premi dei dirigenti del nostro malridotto settore bancario, ma non si può certo pensare che servano molto simili appelli alla coscienza. Servirebbero piuttosto delle leggi, e non solo perché è difficilmente sostenibile, dal punto di vista morale, che qualcuno possa guadagnare centinaia di volte più di un proprio collaboratore.

La concentrazione del reddito, va capito una volta per tutte, fa male proprio all’economia: produce - altro che “trickle down” di reaganiana memoria - una contrazione dei consumi. Cento che guadagnano x, si comprano cento paia di scarpe; uno che guadagna cento x, di paia di scarpe se ne comprerà due, tre… magari dieci, ma mai cento.

Qualcosa di tanto semplice da essere alla portata di qualunque cittadino e non solo svizzero. Troppo complicato, c’è da scommettere, per parlamentari come i nostri. A tredici, quattordici o quindicimila euro il mese.

 

Foto: Falk Lademann/Flickr


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