Referendum Costituzionale | L’insostenibile pesantezza del sospetto

par Sara Pulvirenti
martedì 6 dicembre 2016

Si è conclusa ufficialmente la lunga maratona referendaria. Dopo mesi di “fuochi” d’artificio e colpi più o meno bassi i risultati numerici hanno sancito chiaramente i vincitori e i vinti. In queste ore sull’argomento si sprecano i commenti autorevoli e anche le discussioni tra amici: bar, televisioni, radio e web trasmettono lo stesso talk show.

Il mio pensiero, però, è rivolto ad un aspetto che sembra interessare a pochi: ci si concentra su chi ha perso il suo posto da capo del governo e su colui o colei che lo sostituirà, sui nuovi possibili equilibri e sulle eventuali possibili alleanze… ma qualcuno negli ultimi anni ha avuto il tempo di inquadrare ciò che di più importante abbiamo perso?

Nell’analisi di vincitori e vinti, io faccio fatica a trovare i primi mentre vedo con chiarezza i secondi. Tutti noi. E non lo scrivo con senso paternalistico, populistico o come farebbe un prete sull’altare ma con la consapevolezza di fotografare una realtà vera.

Non c’è occasione in cui il sospetto non entri strisciante nel rapporto tra due persone, tra gruppi di amici, tra colleghi e potrei continuare a lungo. La diffidenza è diventato un sentimento ritenuto naturale perché ormai è naturale che si pensi che chi si ha davanti ha l’intenzione di tendere una trappola. Perché, a maggiore ragione, chi ha idee diverse, non può che essere qualcuno che per farsi strada sul lavoro o in un discorso sta utilizzando scorciatoie, intrighi, sotterfugi. Perché quello che appare non è mai ciò che è.

Qualcuno mi dirà “beh, di cosa ti lamenti! Questo è il frutto della politica degli ultimi 30 anni!”. Questa risposta sarebbe corretta se questo atteggiamento fosse riservato a chi la politica la fa: “avete “mangiato” l’impossibile e ora come pretendete che non ci fidiamo di voi?”. Purtroppo però non è così. E allora se qualcuno va allo sportello della posta e l’impiegato non c’è perché è in malattia subito pensa al fatto che magari in realtà se la sta spassando chissà dove. E ancora: se qualcun’altro decide di realizzare un progetto, dal più semplice al più complesso, il pensiero di chi vedrà la cosa dall’esterno non sarà rivolto al merito del progetto ma a ciò che quel progetto nasconde. Perché se qualcuno vede delle macchine parcheggiate in seconda fila si scaglierà contro quei “deficienti che non conoscono l’abc del codice della strada”, dimenticando che poco prima ha fatto lo stesso e magari lo farà anche in futuro. Perché a dovere cambiare sono sempre gli altri. Perché se le cose vanno come si crede va tutto bene ma se questo non avviene allora c’è sicuramente un qualcosa che non ha funzionato e non per caso ma per volontà di un qualcuno non meglio identificato.

Questo non è vivere. Questo atteggiamento non è costruttivo. Questo modo di vedere le cose rende ciechi. Fa venire meno un altro sentimento che è diventato raro e cioè quello della fiducia che sì, siamo d’accordo, va conquistata e non può essere svenduta, ma non può neanche essere ritirata a priori ad una persona.

In questo continuo susseguirsi di sospetti l’errore è diventato, quindi, inammissibile: che sia lieve o grave, sembra non potere essere preso come tale, come se sbagliare non sia più ammesso. Come se l’errore non possa essere un semplice errore ma in realtà solo un modo come un altro per nascondere un raggiro. Dimenticando però che paradossalmente sostenendo proprio questa tesi si commette in realtà un grave errore, quello di credere che ci sia qualcuno perfetto.

Questo prezzo sociale che stiamo pagando in questo periodo è un macigno invisibile ma pesante sul futuro della nostra società. Indagare letteralmente significa addentrarsi dentro qualcosa, spingersi dentro i problemi per capirli meglio, per scoprirne la natura. Ma questo non può essere un atteggiamento perpetuo. Perché a forza di addentrarsi in ciò che poi magari non esiste non solo si perde di vista la strada che si voleva percorrere ma soprattutto si mettono ingiustamente in discussione le tante persone che non ingannano, che non vogliono farlo e magari hanno intenzioni sincere.

E non solo. In realtà il problema più preoccupante è che così facendo si perde l’occasione per immaginare, per costruire, per sorprendersi. Perché edificare una casa senza fondamenta o con fondamenta non solide, significa non garantirne la stabilità. Perché instaurare un rapporto sul dubbio che chi si ha davanti non sia sincero non lascia immaginare un duraturo futuro insieme. Perché a furia di guardarsi sempre le spalle alla fine è inevitabile che prima o poi un palo o muro andranno a sbattere violentemente (perché sicuramente anche il palo e il muro saranno strumenti di un misterioso disegno segreto!) sulla faccia di chi guarda dietro, impedendogli di andare avanti.

Chissà, però, magari dopo la botta qualcosa potrebbe cambiare…

Sara Pulvirenti


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