Re Giorgio ha ucciso la sua creatura politica e con essa ciò che resta della Sinistra

par Gerardo Lisco
lunedì 26 marzo 2018

L’impressione che ho dai comenti che leggo in rete è che il Presidente emerito Giorgio Napolitano, al contrario del Presidente Sandro Pertini, il più amato dagli italiani, risulti il presidente più inviso della Storia repubblicana. Le ragioni sono molteplici e sono tutte da ricondurre alle modalità con cui ha svolto il primo e il secondo mandato di Presidente della Repubblica, il ruolo di Presidente emerito e quello di Presidente pro tempore del Senato nella seduta di insediamento della 18° legislatura. Dopo che per anni i Presidenti della Repubblica hanno svolto la loro funzione in ombra, senza interferire nel governo del Paese, con Giorgio Napolitano l’approccio subisce una modifica sostanziale che trasforma, se non de jure, de facto il sistema politico italiano in una Repubblica semipresidenziale.

Forse è più corretto dire che l’Italia diventa “La repubblica del Presidente” secondo la calzante definizione data da due validi giuristi come Vincenzo Lippolis e Giulio M. Salerno entrambi studiosi di diritto pubblico italiano e comparato. Per comprendere il modo in cui Giorgio Napolitano ha interpretato il proprio ruolo di Presidente bisogna rifarsi alle parole pronunciate nella fase finale del suo mandato, il 15 novembre 2012 << Ho ritenuto che il Presidente della Repubblica, secondo la nostra concezione costituzionale, dovesse prendersi delle responsabilità senza invadere campi che non sono suoi. Le responsabilità del governo non sono quelle del presidente della Repubblica e viceversa. Ma io credo di dovere sempre cercare di interpretare esigenze e interessi generali del paese anche in rapporto a scelte del governo che rispetto, perché non posso assolutamente sostituirmi a chi ha la responsabilità del potere esecutivo, ma che possono rientrare in un dialogo al quale intendo dare il mio contributo>> .

Mi viene da pensare: magari si fosse attenuto a questo semplice dato. In nove anni di Presidenza della Repubblica ha interpretato secondo il proprio punto di vista gli eventi indirizzando e condizionando le scelte. Come scrivono i due autori << Il settennato di Napolitano è sicuramente destinato a essere ricordato come un periodo in cui la figura del presidente della Repubblica è stata al centro della vita politica del nostro paese influenzandone il corso. Nei rapporti con gli altri organi costituzionali, nuove prassi che hanno rafforzato il ruolo del capo dello Stato si sono affermate ed altre che si erano affacciate nel corso di precedenti presidenze sono state confermate ed irrobustite>> . Gli episodi nei quali l’influenza del Presidente Napolitano è stata determinante sono tanti.

Ne cito alcuni: Promulgazione del Lodo Alfano, dichiarato incostituzionale dalla suprema Corte con sentenza del 7 ottobre 2009; firma della Legge sullo Scudo Fiscale, ritenuta da molti strumento per riciclare denaro ”sporco”; elezioni regionali del 2010 nelle quali le liste presentate dal PDL, escluse in Lombardia e nel Lazio, vennero riammesse a seguito della firma del Decreto Legge da parte del Presidente della Repubblica; firma della legge sul legittimo impedimento dichiarata, anche questa, parzialmente incostituzionale; firma della finanziaria che raddoppiava l’IVA a Sky tv; firma della legge “salva Pollari”; soluzione della crisi del Governo Berlusconi con l’affidamento dell’incarico al prof. Mario Monti, nominato senatore poco tempo prima; gestione della crisi all’indomani delle elezioni politiche del 2013 con la “non vittoria” di Italia bene comune e il successivo incarico di formare il Governo ad Enrico Letta; la sua stessa rielezione; l’incarico di formare il Governo a Matteo Renzi, di fatto una sua creatura politica; le successive sue dimissioni dalla carica di Presidente della Repubblica; per non parlare del ruolo svolto in materia di politica internazionale. Quando l’altro giorno, da Senatore più anziano ha presieduto l’insediamento del nuovo Senato, ha continuato ad interpretare il suo ruolo istituzionale in modo personale arrivando fino al punto di uccidere, politicamente parlando, la sua creatura politica e cioè il PD di Matteo Renzi. Solo pochi anni fa, infatti, interpretando dal suo punto di vista le istanze provenienti dalla Società, pensò di assecondare l’ascesa del populismo renziano al fine di bloccare il populismo del M5S.

Dice Napolitano nel discorso inaugurale << Questa 18° legislatura nasce da un'ampia e appassionata partecipazione elettorale. Nostro punto di riferimento non possono dunque essere oggi che le espressioni della volontà popolare quali ne sono chiaramente scaturite. Il voto del 4 marzo ha rispecchiato un forte mutamento nel rapporto tra gli italiani e la politica quale si era venuta caratterizzando da non pochi anni a questa parte. Si è trattato di un voto che non solo ha travolto certezze e aspettative di forze politiche radicate da tempo nell'assetto istituzionale e di governo del Paese. Esso ha messo in questione tradizioni, visioni, sensibilità, che erano a lungo prevalse. Gli elettori hanno premiato straordinariamente le formazioni politiche che hanno espresso le posizioni di più radicale contestazione, di vera e propria rottura rispetto al passato. La contestazione è scaturita da forti motivi sociali: disuguaglianze, ingiustizie, impoverimenti e arretramenti nella condizione di vasti ceti, comprendenti famiglie del popolo e della classe media.>> Non so quanti rammentano l’intervista rilasciata dal Presidente Napolitano a Fabio Fazio nell’aprile del 2014 pubblicata integralmente su l’Unità online. Il Presidente dichiarava « (…) Vorrei però anche dire, per esempio, che quando si parla di necessità assoluta di ridurre il debito nostro, il debito pubblico in Italia, non si dice abbastanza che lo si deve fare non perché ce l'ha chiesto l'Europa ma perché è un dovere verso i giovani. (…) Quindi, non solo ai giovani bisogna aprire delle prospettive di realizzazione e di lavoro, ma bisogna anche garantire che non debbano continuare a pagare per il debito che hanno contratto le generazioni più anziane.» In quell’intervista affermava con forza i principi della politica neoliberista e di austerità imposti dalla Germania e dal blocco mitteleuropeo. Già allora come si evince da un working paper del F.M.I. scritto da Nicoletta Batini, Giovanni Callegari e Giovanna Melina era noto come le politiche di tagli alla spesa pubblica e di austerità avrebbero avuto effetti deleteri sulle condizioni materiali di milioni di italiani e sul futuro delle giovani generazioni delle quali Napolitano, nella intervista che ho riportato, sembrava preoccuparsi. Con l’estratto della dichiarazione che ho riportato Napolitano, dicevo, ha ucciso politicamente la creatura politica che lui ha contribuito a creare. Si spinge fino al punto da affermare << Queste reazioni hanno mostrato quanto poco avesse convinto l'auto-esaltazione dei risultati ottenuti negli ultimi anni da governi e da partiti di maggioranza.>> E’ solo il caso di ricordare che i Governi che cita sono in larga parte il frutto della sua Presidenza. Ciò che fa specie è come in questo discorso si erga ancora una volta ad interprete delle << esigenze e interessi generali del paese >> senza far un cenno ben che minimo di autocritica per il modo con il quale ha influenzato, anche se in modo indiretto, le scelte e gli indirizzi politici dei Governi a partire da quello Monti in poi. La vicenda dell’incarico a Monti e del successivo mancato incarico a Bersani hanno aperto la strada a forze politiche come il M5S e la Lega Nazionale di Salvini e sono emblema del fallimento dei nove anni di Presidenza di Giorgio Napolitano. Questo fallimento è l’ulteriore indizio che segna la fine della Seconda Repubblica dominato da un ceto politico di provenienza ex PCI alla continua ricerca di legittimazione politica fino a diventare più realista del re nel perseguire politiche neoliberiste e di austerità che hanno contribuito a segare quel ramo, rappresentato dall’elettorato popolare, sul quale era seduto. 

Del processo sinteticamente descritto Napolitano è stato attore e parte integrante come certifica la Conferenza operaia del PCI del 1974 e l’intervista rilasciata ad Eugenio Scalfari nella quale si dichiarava Liberale e io aggiungo Liberista. 


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