Razzismo: sono meridionale ma...

par vincenza perilli
martedì 4 giugno 2013

Molti dei commenti giornalistici seguiti all'omicidio di una ragazzina di quindici anni pugnalata e poi bruciata viva dal suo fidanzato la scorsa settimana in Calabria, hanno portato alla ribalta la persistenza, in Italia, di tutta una serie di pregiudizi e stereotipi razzisti verso il Sud.

Seppur denegata dal persistente mito secondo il quale "gli italiani non sono razzisti" infatti, esiste una storia del razzismo italiano, in cui uno spazio non trascurabile occupa - insieme all'antigiudaismo cattolico, antisemitismo e leggi razziali del '38, colonialismo - il razzismo antimeridionale. L'Italia infatti, quando giunge (in ritardo rispetto ad altri paesi europei) sullo scacchiere coloniale, può vantare già una lunga tradizione di “razzismo interno”, che aveva trovato il suo culmine nella cosiddetta “guerra al brigantaggio”, che come ci ricorda lo storico Angelo Del Boca “fu anche 'una guerra coloniale', che anticipò, per le inaudite violenze e il disprezzo per gli avversari, quelle combattute in seguito in Africa. Non fu forse il generale d'armata Enrico Cialdini, luogotenente di re Vittorio Emanuele II a Napoli, a dichiarare: 'Questa è Africa! Altro che Italia! I beduini, a riscontro di questi cafoni, sono latte e miele'?”. Questa storia ha lasciato le sue tracce.

La cronaca degli ultimi anni è piena di episodi inquietanti, che testimoniano la persistenza di un immaginario razzista che si traduce in molteplici forme: dal ragazzino di origini napoletane angariato dai compagni di scuola in provincia di Treviso fino a meditare il suicidio, ai commenti che riconducevano l'omicido di Sarah Scazzi a una presunta "cultura meridionale", ad una delle campagne pubblicitarie dell’operatore telefonico Italiacom in cui alcuni uomini siciliani venivano rappresentati facendo ricorso ad alcuni dei classici stereotipi razzisti anti-meridionali...

Ma nei commenti all'omicidio di Fabiana Luzzi è possibile cogliere un ulteriore aspetto: la maggioranza degli articoli sono scritti da persone, uomini e donne, che si dichiarano meridionali prima di prendere le distanze da una certa cultura, descritta di volta in volta come barbara, arrettata, oppressiva. Sembra quasi che il dichiararsi meridionali serva a testimoniare l'autenticità di quanto si afferma o forse ad allontanare ogni sospetto di razzismo.

Per chi ha letto Fanon invece - e soprattutto le pagine che egli dedica ai meccanismi dell’oppressione e dell’alienazione degli oppressi, che "dipendono" in modo ambiguo e contraddittorio dai loro oppressori e in cui la dominazione è possibile solo se l’oppresso finisce per identificarsi con chi lo disumanizza, prendendo le distanze dagli altri colonizzati, credendo di "emanciparsi" -, questo aspetto acquista un senso inquietante.

 


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