Razzismo all’italiana: morire in silenzio e farsi sfruttare in modo ordinato
par La bottega del Barbieri
lunedì 7 luglio 2025
Storie riprese da Baobab Experience (*) . A seguire link al video sul pestaggio, la notte fra il 5 e il 6 giugno, nel Cpr di Gradisca (**)
Storie di morte, ordinario sfruttamento e raggiro
Il 19 giugno 2024 moriva Satnam Singh, lavoratore sikh impiegato nei campi dell’agro pontino. Abbandonato davanti casa dal suo datore di lavoro, con il braccio amputato da un macchinario buttato in una cassetta per la frutta accanto a lui, sanguinante, Satnam Singh moriva due giorni dopo, a 31 anni. Da quel braccio era uscito così tanto sangue, che alla fine in corpo non gliene era più rimasto.
Il 1 maggio di quest’anno moriva invece Abel Okubor, bracciante anche lui.
Abel era riuscito ad uscire dalle maglie del caporalato, aveva un contratto di lavoro, ma il permesso di soggiorno non gli era stato rinnovato: aveva fatto ricorso, ma l’avvocato che ne seguiva il caso era deceduto prima di depositarlo. Tutto qui. Nessuna colpa. Abel era andato in questura con tutti i documenti che secondo lui lo avrebbero messo in regola, e invece, per questa sola sfortuna, che nulla aveva a che vedere con il suo percorso di inserimento, ne era uscito con un decreto di espulsione.
Trasferito nel CPR di Brindisi, dopo solo cinque mesi moriva.
Cinque mesi di CPR per un cavillo burocratico: si muore anche di questo.
C’è un filo rosso che lega queste due morti, e tutte quelle in mezzo, ed è il ricatto del lavoro, che è il ricatto dell’invisibilità.
È quella linea sottile che ci fa scegliere chi è dentro e chi è fuori.
Che relega delle vite alla schiavitù, quando non ai CPR, dove imbottiti di farmaci si muore.
Come forse Abel, come Wissem.
STORIE DI OGNI GIORNO
A. è arrivato in Italia, su un barcone, con la speranza, come tuttÉ, di un futuro migliore. Nel caso di A., non solo di un miglioramento economico: nel suo Paese la sua etnia è perseguitata e parte della sua famiglia è stata uccisa.
A. è fuggito cercando riparo: ad accoglierlo, però, trova l’Italia peggiore. Per farsi seguire nella richiesta di protezione, A. si affida ad un avvocato che intasca i soldi e scompare. Nel frattempo ha bisogno di soldi, così, su consiglio di un amico, decide di andare a fare la stagione estiva a Borgo Mezzanone. Raccoglie pomodori per pochi euro l’ora, pagando per un alloggio fatiscente. Dopo Borgo Mezzanone, A. si sposta, cambia regione e settore, ma il sistema che trova è sempre lo stesso. Continua così, di lavoro in lavoro, sempre sottopagato, sfruttato. Sempre in nero. Finché non incontra Baobab Experience.
Si avvicina a noi per risolvere la sua situazione documentale, entra poi nel progetto di housing Baohaus, segue dei percorsi professionalizzanti e trova lavoro. Esce da Baohaus e prende una stanza in affitto per conto suo. Una storia a lieto fine.
Invece l’Italia migliore aveva ancora qualche cartuccia da sparare. Un giorno l’azienda dice ad A. che non c’è più lavoro, di rimanere a casa. Dopo qualche giorno A. si vede licenziato di punto in bianco. La sua assenza viene utilizzata per motivare un licenziamento disciplinare. A. per fortuna ha una comunità che lo sostiene, e lÉ avvocatÉ di Baobab Experience impugnano la vertenza.
Grazie alla sua incredibile resilienza e spirito di iniziativa, A. ha già di nuovo un lavoro. Necessario, perché l’affitto pesa, e i risparmi sono inesistenti per chi manda soldi a casa. Intanto attende l’esito della vertenza.
La storia di A. ci racconta qualcosa che facciamo fatica a credere possa succedere nel nostro paese, eppure succede. Quotidianamente. Colpisce tuttÉ, ma come sempre colpisce di più chi è più fragile. Lavoro nero, caporalato, sfruttamento, precarietà, licenziamento immotivato.
In Italia ci sono circa 2 milioni di lavoratorÉ stranierÉ regolarmente soggiornanti. Tra loro, circa 6 su 10 si occupano di mansioni con bassa remunerazione: lavoro domestico, agricoltura e costruzioni. Sono quelli che vengono definiti lavoratorÉ poverÉ. Sono ambiti dove il sommerso fa da padrone, e dove sono più presenti sacche di sfruttamento, fino a vere e proprie condizioni di semi-schiavitù.
Nei media raramente se ne parla, ed è sorprendente quanto in fretta ce ne dimentichiamo. Quando acquistiamo i prodotti “Made in Italy”, quando andiamo a cena fuori, quando paghiamo qualcosa troppo poco, spesso dietro ci sono queste storie.
Una conversazione con lo sportello legale di Baobab Experience
Abbiamo chiesto allÉ nostrÉ avvocatÉ di raccontarci le situazioni che incontrano allo sportello su questo fronte.
Sul tema lavoro, la maggior parte dei casi che seguiamo hanno a che fare con i decreti flussi. Come Baobab Experience, seguiamo vari casi molto problematici. Provengono principalmente dal Bangladesh, ma anche Pakistan ed India. Sono arrivati con il click day ma una volta qui si sono ritrovati senza nulla: datore di lavoro sparito. Hanno pagato qualcuno che non è davvero un datore di lavoro. Sono vere e proprie truffe. Purtroppo è una pratica diffusissima. Abbiamo iniziato a seguire la cosa quando un ragazzo si è presentato allo sportello con questo problema, e da allora i casi sono in continuo aumento.
Click day e decreto flussi
C’è un solo modo per arrivare regolarmente in Italia per lavorare, ed è il click day. Dal 2002, infatti, per unÉ stranierÉ che si trovi già in Italia senza un permesso di soggiorno non è possibile ottenere un permesso di soggiorno per lavoro: se per varie ragioni è diventatÉ irregolare, non può più lavorare per rimettersi in regola. È una delle tante aberrazioni della Bossi-Fini. Dunque, se un’azienda ha bisogno di manodopera e le persone regolarmente presenti in Italia non sono sufficienti, bisogna chiamarle dall’estero. E come? Con il decreto flussi.
Ogni anno, il ministero mette a disposizione un numero fissato di quote di ingresso per lavoro: perché si possa entrare regolarmente in Italia, i lavoratori devono essere “chiamati” da un datore di lavoro, che dopo aver fatto una serie di procedure burocratiche e dei controlli, può inoltrare la richiesta. L’unico momento in cui la richiesta può essere presentata è durante i click day. Poiché il numero di quote messo a disposizione dal ministero è sempre inferiore al numero di domande e il sistema di assegnazione è cronologico, tutto sta nella velocità, a cui si sommano i problemi di sovraccarico della piattaforma. Una volta approvata la procedura, viene emesso il nulla osta per il lavoratore, che può quindi chiedere il visto, recarsi in Italia ed entro 8 giorni dall’arrivo deve presentarsi in prefettura con il datore di lavoro per iniziare le procedure che portano al permesso di soggiorno.
Le truffe
La complessità della procedura e la difficoltà di mettere in comunicazione datori di lavoro italiani con lavoratorÉ che si trovano in altri paesi, ha fatto emergere nel tempo una pletora di figure intermedie – agenzie di viaggi, avvocatÉ, commercialistÉ, fino a vere e proprie aziende fittizie – che svolgono consulenze e facilitano, quando non organizzano del tutto, l’arrivo dellÉ lavoratorÉ stranierÉ. Questi servizi, talvolta leciti, talvolta che di lecito hanno ben poco, possono raggiungere costi superiori ai 10.000 euro. È in questo terreno fertile che varie forme di criminalità hanno trovato ampi margini d’azione. Inoltre, poiché lÉ lavoratorÉ non ha nessun controllo sulla procedura, che è completamente a carico del datore di lavoro, è facile che diventi preda di truffe e raggiri.
Un numero altissimo di lavoratorÉ si reca in agenzie di viaggio nel proprio paese, che vendono pacchetti per venire a lavorare in Italia attraverso il decreto flussi. La persona paga un’ingente cifra, spesso indebitandosi, ma arrivata in Italia non ha modo di rintracciare l’impresa, che talvolta non esiste proprio. Non sa per chi dovrebbe lavorare, né dove, e si ritrova alla mercé di chi la può “aiutare”. Ai trafficanti nei paesi di origine, si affiancano figure grige che provvedono all’inoltro della richiesta di nulla osta nel nostro Paese. Una recente inchiesta della Procura di Napoli ha evidenziato parte di questo sistema, e si ipotizza anche il coinvolgimento della criminalità organizzata:
L’inchiesta configura tre diverse associazioni per delinquere [di cui una anche con aggravante mafiosa, ndr] che con metodi simili e complicità di commercialisti, imprenditori, Caf, lucravano sul desiderio degli extracomunitari di entrare in Italia. «Una filiera ben collaudata», la definisce il questore Maurizio Agricola. Le pratiche per i nulla osta inoltrate in occasione dei click day erano corredate da documenti che attestavano falsamente la disponibilità all’assunzione da parte di imprenditori e l’idoneità di alloggi per i lavoratori.
– Napoli, maxi truffa sui migranti e l’avvocato va in Ferrari, La Repubblica (11/06/2025)
Le parti truffate sono dunque due: lo Stato italiano e lÉ persone migranti che vogliono solo arrivare in Italia senza rischiare la vita. Nella costante retorica anti-migrazione si trascura sempre che il proliferare di canali illegali o parzialmente legali è conseguenza delle attuali politiche migratorie che impediscono o riducono quasi a zero le possibilità di accesso legale in UE. Così, chi ha bisogno, le tenta tutte.
Alle persone vittime di veri e propri raggiri si aggiungono quelle per cui le pratiche, che sono spesso estremamente lunghe da disbrigare, si sono protratte così tanto che il datore di lavoro non ha più bisogno al momento del suo arrivo. In questi casi è estremamente difficile tutelare la persona migrante: se il datore di lavoro decide di collaborare si può ottenere un permesso per attesa occupazione, ma se sceglie di non collaborare, o se addirittura l’azienda non esiste, l’unica via è attivare un procedimento dinanzi al tribunale competente.
Purtroppo come sportello veniamo spesso contattati troppo tardi, i casi che seguiamo adesso fanno riferimento agli ingressi di due anni fa. Se l’azione non è tempestiva diventa estremamente difficile ottenere le giuste tutele per il lavoratore.
In alcuni casi siamo riuscitÉ a trovare l’impresa, abbiamo mandato delle diffide, ma spesso non rispondono, oppure semplicemente dicono che non hanno più bisogno del lavoratore. In un caso limite questo ha persino portato a delle minacce di rimpatrio al fratello del nostro assistito, a sua volta nell’azienda, una cosa gravissima.
È molto difficile capire come funziona il sistema illegale che c’è dietro, perché queste persone sono spaventate e vogliono solo risolvere la loro situazione. Spesso non conoscono proprio chi ha fatto da intermediario. È un sistema farraginoso, che si presta bene a chi ci vuole lucrare.
C’è poi il problema che, se smuovendo le acque, esce fuori che il datore di lavoro non era in regola e non avrebbe potuto inoltrare la richiesta, o anche solo non ci si è presentati entro i famosi otto giorni, la prefettura può revocare il nulla osta.
Otto giorni sono pochissimi. Basta il nono perché possa scattare la revoca del nulla osta. Ma non esistono incentivi per il datore di lavoro affinché si preoccupi del lavoratore che non si presenta, o un sistema di notifica per entrambe le parti. È chiaro che per quella persona si profila un alto rischio di diventare irregolare, con tutto quello che comporta. Il sistema è così problematico, gli organi preposti sotto organico, le procedure lentissime, che di fatto le aziende in malafede hanno un alibi garantito.
Un sistema che crea irregolarità
Riassumendo: lÉ lavoratorÉ arrivano in Italia avendo già contratto un grosso debito che devono ripagare. A questo si aggiunge che spesso non trovando il datore di lavoro non possono procedere negli step successivi per la regolarizzazione. Sono quindi irregolari, ergo invisibili, e hanno assoluto bisogno di lavorare, a qualsiasi costo. Target perfettÉ per sfruttamento e caporalato. È importante notare che comunque non sono solo le persone prive di permesso di soggiorno a finire nelle maglie dello sfruttamento, e che anzi questo vive di molte zone grigie, con ore di lavoro fuori dalle buste paga, e sfruttamento dello stato di bisogno delle persone, spesso correlato al rinnovo dei documenti. Dalle inchieste di Flai Cgil, Laboratorio Adir e dell’Osservatorio Placido Rizzotto, risulta che nella prevalenza delle inchieste (79%), le vittime sono titolari di permesso di soggiorno. Concentriamoci però per adesso su chi arriva e rimane senza documenti.
Il report Ero Straniero, che monitora l’impatto dei decreti flussi, indica un tasso di successo dell’intera procedura bassissimo: 7,4% delle procedure si è convertito in permesso di soggiorno nel 2024 (13% nel 2023).
È chiaro che il lavoratore ha solo che vantaggio a procedere con tutta la documentazione. C’è una grande consapevolezza su questo: sanno tutti che hanno bisogno di un lavoro in regola e della busta paga per avere i documenti. Se il 90% delle richieste si è arenato, di certo non è stata una volontà della persona migrante. In un modo o in un altro, quel 90% sono vittime.
INDEBITAMENTO E PERICOLO DI RIMPATRIO
Quando ormai è evidente che non si riesce a ottenere il permesso di attesa occupazione, la situazione per il lavoratore diventa estremamente pericolosa. Non esistono altre forme di regolarizzazione. Per venire in Italia, però, hanno quasi sempre contratto grossi debiti, e questo li espone a grandi pericoli in caso di rimpatrio. Ricevono minacce a loro stessi e alle loro famiglie da parte dei creditori. Non ci sono tutele del debitore in molti dei paesi di provenienza. In questi casi, l’unica cosa che possiamo fare, è chiedere la protezione internazionale, proprio per via del pericolo che corre in caso di rimpatrio.
LO SFRUTTAMENTO
Molte delle vittime, rimanendo senza documenti – e come visto, spesso pressate dai debiti –, finiscono nei sistemi di sfruttamento ben noti. Anche su questo, la legge già prevede un permesso di soggiorno speciale per le vittime di sfruttamento, ma la sua applicazione è estremamente problematica. Lo ottengono in pochissimi e con grandissima fatica, a causa della inefficienza, inattività e lentezza mostruosa degli ispettorati del lavoro e delle procure.
Nell’ultimo anno stiamo seguendo il caso di un ragazzo che ha denunciato il datore di lavoro. La sua storia ci ha fatto toccare con mano quanto sia difficile, quasi ostativo, ottenere un permesso che invece si configurerebbe come “premio” per aver collaborato con la giustizia.
Ha denunciato la situazione di semi-schiavitù in cui era costretto, chiuso in un capannone a vivere e lavorare per pochi euro l’ora, assieme a tantissimi altri lavoratori: dopo la denuncia, la macchina è partita, l’ispettorato ha fatto la relazione, ma poi è rimasto tutto fermo. Le procure sono sommerse da altro lavoro, e così, dopo più di un anno, il ragazzo è ancora senza documenti, con pochissime tutele, con il rischio di ritorsioni da parte del datore di lavoro. Che è invece ancora lì, impunito. Il procedimento penale non è mai partito. E qui stiamo parlando di diritto penale: lo sfruttamento è reato.
Questa legge sarebbe uno strumento potente, ma se è già difficile convincere dei lavoratori sfruttati ad esporsi e denunciare, la completa fallimentarietà del processo di applicazione la rende quasi vana. Il rilascio di quel permesso speciale dovrebbe essere immediatamente successivo alla constatazione dello sfruttamento lavorativo, proprio a tutela del lavoratore, che è chiaramente un soggetto esposto. Invece la mancanza cronica di personale negli organi competenti, e talvolta anche la mancanza di volontà politica, fanno sì che non solo lo sfruttamento non sia combattuto, ma avvenga alla luce del sole. Basta fare un giro nell’agro pontino, a Rosarno, in mezza Calabria e mezza Puglia. Lì la gente continua a lavorare in nero in simil schiavitù. E il Nord non è da meno. Dove sono gli ispettori? Neppure dopo il caso di Satnam Singh le cose sono cambiate in modo significativo.
A gennaio c’è stata anche l’ultima sentenza del processo Sabr, che per la prima volta in Italia e in Europa aveva riconosciuto il reato di riduzione in schiavitù in ambito lavorativo.
La Cassazione però ha confermato la sentenza della Corte d’Appello che annullava la condanna agli imprenditori coinvolti. Di fatto solo gli intermediari sono stati riconosciuti responsabili dello sfruttamento dellÉ lavoratorÉ, stabilendo che non ci fossero elementi sufficienti per ritenere che i datori di lavoro fossero consapevoli dello sfruttamento in atto. Una constatazione che risulta difficile da comprendere per lÉ rappresentanti delle associazioni che hanno seguito la vicenda processuale.
Non solo truffe e non solo flussi. Il nero è ovunque
Negli anni, come Baobab Experience abbiamo assistito un numero enorme di persone che si sono rivolte ai nostri sportelli perché faticavano ad ottenere contratti regolari. Alla base dello sfruttamento lavorativo ci sono due necessità: da una parte le rimesse, ossia i soldi che regolarmente vengono inviati alle famiglie, che sono una voce importantissima per le persone migranti, e dall’altra parte i documenti. Il viaggio è stato un sacrificio collettivo (talvolta economico, sempre affettivo), il cui senso sta nel permettere il miglioramento delle condizioni di vita, quando non il vero e proprio sostentamento, della propria famiglia. Le rimesse sono pertanto imprescindibili, e percepite come un dovere insindacabile. Dall’altra parte, anche quando il permesso di soggiorno non è vincolato al contratto di lavoro (ossia nei casi di richiesta di protezione internazionale), avere un lavoro in regola permette di dimostrare in commissione territoriale l’impegno di inserimento nel tessuto sociale. E questo diventa una forma di ricatto. Pessimi contratti, sostenuti dalla continua promessa di contratti solidi, che possano dimostrare in commissione territoriale l’autonomia finanziaria. E intanto il lavoratore è ostaggio, perché la pratica è così diffusa che spesso abbandonare un datore di lavoro vuol dire ricominciare con lo stesso identico iter da un’altra parte, allungando solo i tempi.
Cosa fa Baobab Experience
Baobab Experience articola il proprio supporto attraverso una rete di azioni e di progetti: come abbiamo visto, lo sportello legale assiste le persone vittima di sfruttamento o truffa, mentre lo sportello lavoro (4Jobs) da una parte aiuta le persone migranti a trovare impieghi consoni al loro profilo, assistendolÉ nella scrittura del CV e ad iscriversi ai Centri per l’Impiego, dall’altro opera un’azione di informativa sui diritti e i doveri dellÉ lavoratorÉ nel nostro Paese. Non solo, lo sportello lavoro è anche spesso il primo contesto in cui le persone migranti che affrontano situazioni di lavoro sommerso o semi-sommerso presentano la loro condizione, e viene svolto un attivo ruolo di monitoraggio sui contratti di lavoro che stipulano. Dall’altra parte, la scuola di italiano offre il primo strumento di indipendenza e autotutela per le persone migranti: la comprensione della lingua. Spesso, la barriera linguistica è sfruttata da chi vuole approfittarsi dellÉ lavoratorÉ, in quanto rende la persona migrante molto più vulnerabile e alla mercé di intermediariÉ poco affidabili. Infine, i progetti di housing “Accogliere è di casa” offrono percorsi di autodeterminazione, attraverso il supporto materiale a chi vuole formarsi e raggiungere la propria piena realizzazione, economica e lavorativa. A questo proposito, abbiamo una bella notizia da darvi.
Ve lo ricordate Hamdi?
La sua storia è la storia più Baobab che abbiamo: abbiamo conosciuto Hamdi che era un minorenne, con un braccio rotto. Siamo andatÉ a prenderlo in un bar dove si era rifugiato: ci aveva chiamatÉ non sapendo cosa fare. Essendo minore, all’epoca lo abbiamo fatto inserire in casa famiglia, ma al compimento del 18esimo anno di età lo hanno buttato in strada. È tornato da noi e ha iniziato un percorso tortuoso nella cucina: Hamdi adora cucinare, ed è bravissimo. Ma la ristorazione è un settore dove i contratti decenti sono rarissimi, le promesse sempre molto più laute della realtà. Hamdi però è tunisino, e – come dicevamo sopra – ha bisogno di un lavoro per dimostrare la sua integrazione nel tessuto italiano. Hamdi, che a 22 anni parla italiano perfettamente, entra nella scuola di cucina della Fondazione Barilla, ma dall’appuntamento in commissariato viene portato in un CPR. Ci spaventiamo tantissimo. Sono giorni di mobilitazione, e mentre l’avvocata segue il caso, portiamo il caso all’attenzione pubblica e moltissima stampa ne parla. Hamdi esce, ma la sua situazione documentale è ancora precaria. Intanto entra nella cucina di un ristorante stellato. Oggi finalmente Hamdi può tirare un sospiro di sollievo. Il tribunale ha accolto il ricorso e ha riconosciuto ad Hamdi la protezione speciale, che potrà convertire in futuro in un permesso di lavoro.
Questo è il messaggio che ci ha mandato. Lo riportiamo perché racconta la sua storia, la sua lotta e cosa sia il Baobab, più di qualsiasi altro possibile paragrafo scritto da noi.
Tutto quello che facciamo lo facciamo grazie al tempo dellÉ volontariÉ e di tutte le persone che ruotano attorno a Baobab Experience, ma anche grazie, e tanto, a chi sceglie di donare e sostenerci. In questo periodo puoi decidere di assegnare il tuo 5×1000 a Baobab: per noi significa tanto, e ci dà la possibilità di continuare a fare quello che facciamo, con un po’ meno stress. Se ti va, fai girare tra i tuoi contatti, amicizie, colleghÉ. Ti siamo davvero gratÉ!
FONTI, APPROFONDIMENTI E CONSIGLI DI LETTURA
– Ero Straniero – Monitoraggio decreto flussi 2023-2024
Parte 1: Lunghe attese e irregolarità: neanche ritoccato il decreto flussi funziona
Parte 2: Uno sguardo ai territori
La campagna Ero Straniero si occupa di monitorare e raccogliere dati circa l’efficacia dei decreti flussi. All’interno del sito si trovano regolarmente update, nonché una serie di campagna e proposte per tutelare le persone migranti attraverso modifiche alle attuali politiche di ingresso.
– Dossier Statistico Immigrazione 2024, a cura di IDOS centro studi ricerche
– Verso una nuova apertura alle migrazioni per motivi di lavoro? Intermediazione, rischio di frode e limbo legale nella lotteria del decreto flussi di Fabio De Blasis e Paola Bonizzoli
– Sul tema del caporalato e dello sfruttamento nel settore agricolo ci sono molti saggi, molto belli. Qui ne consigliamo alcuni, ma se hai ulteriori consigli, scrivici e li aggiungeremo in coda alla prossima newsletter. Ci piace pensare che questo sia uno spazio per crescere insieme
(*) IN “BOTTEGA” cfr Baobab solidale: nuova sede a Roma
Il nostro video delle violenza a Gradisca (**)
Forse nessun altro nostro video ha scatenato tanto clamore quanto questo che è girato su tutte le testate on line e varie radio, per arrivare fino al tg nazionale e meritare un commento della Questura (che ovviamente nega tutto e minaccia querele).
Ricordiamo forse un altro precedente, qualche anno fa: guarda caso, sempre di manganellate a Gradisca, di un video in quel caso finito su La7 in prima serata, che aveva addirittura fatto scomodare Piantedosi.
Di seguito qualche post di questi giorni che riporta gli articoli nati dal video.
Speriamo tutto questo contribuisca ad obbligare chi ancora non vuol vedere o nega a dover ammettere.
Non si tratta di casi isolati, ma dell’ordinario abominio dei CPR che ogni tanto riusciamo a documentare.
Qui la sequenza di quelle ore della notte fra 5 e 6 giugno, nei nostri post:
La protesta
https://www.facebook.com/share/r/1RAmu6o2Rn/
La repressione
https://www.facebook.com/share/v/16evYpPR38/Il pestaggio
https://www.facebook.com/share/v/1Bd2AMDf4W/
Qui il post sul sospetto di epidemia di scabbia, quello sull’appello alla Fnomceo, e quello con le parole di un detenuto, pure ripresi da un altro articolo di Repubblica più esteso, che trovate in fondo.
Scabbia
https://www.facebook.com/share/p/16g4YwQ3E5/L’appello alla Fnomceo
https://www.facebook.com/share/p/14G2BcB5HYm/“Prigionieri di guerra”
https://www.facebook.com/share/p/1Bkm7PNY88/
(**) ripreso dal sito Mai più lager – NO ai CPR