Quelle transazioni finanziarie che portano al suicidio dello Stato
par Neolandia
venerdì 6 gennaio 2012
Mettiamoci nei panni di un imprenditore, di quelli che formano oltre il 90 per cento delle imprese in Italia e che sostanziano la produzione interna per la gran parte. Di quelli che sono a capo di micro o piccole imprese, ma a volte anche con decine di lavoratori e dove il rapporto di lavoro con gli impiegati e gli operai è nato in base a rapporti di conoscenza diretta o di natura familiare, protratto nel tempo e in cui non si distingue a volte il lato lavorativo o personale.
Questo imprenditore vede anno dopo anno restringere le sue possibilità di essere presente nel mercato, perché con l’apertura delle frontiere non vi è possibilità di competere viste le condizioni che permettono di importare qui in Italia prodotti a basso costo.
Poi ci sono le regolamentazioni di origine europea che impongono cambiamenti, adempimenti, adattamenti costosi che aggiungono oneri al prodotto e che non trovano eguali nei prodotti di importazione extraeuropea. Poi viene la crisi e con essa aumenti sconsiderati di imposte di varia natura, di accise e ulteriori adempimenti che restringono quelle residue possibilità di galleggiare in un mare in tempesta. Se il presente risulta così difficile cosa può pensare dell’orizzonte prossimo chi non ha sicurezze, garanzie, appoggi?
Cosa deve pensare l’imprenditore qualunque che non ha accesso al credito ma vede le banche ricevere soldi dalla Bce all’1%, le quali acquistano titoli pubblici italiani al 7% (nemmeno questo è vero, per altro, perché in buona parte ne fanno altri usi) il tutto con la garanzia dello Stato nazionale?
Se la situazione è questa, si comprende il perché delle luttuose decisioni di imprenditori che cedono di fronte alle difficoltà sempre più pressanti. Meraviglia il fatto che solo oggi ne prendono consapevolezza i mezzi di informazioni principali.
Come nelle peggiori crisi economiche della storia per i molti prende il sopravvento, a fronte delle sicurezze e delle agiatezze di chi non rischia. Alle molte caste sovvenzionate dallo Stato (ovvero dai contribuenti) oggi si aggiungono le banche, anch’esse soggette a interventi assistenziali da parte di uno Stato che taglia e pretende, manovra dopo manovra.
Si recita una brutta commedia, che sta finendo in tragedia: aver confuso tutto quello che è avvenuto e avviene con l’economia di mercato. Qui di mercato e di democrazia, che sono cose serie, se ne vede sempre di meno. C’è la finanza che stravolge l’economia reale e con essa la democrazia. Le facili illusioni declamate negli anni passati hanno lasciato il posto ad un governo non eletto e ad una crisi profonda.
Insomma: al suicidio dei singoli si accompagna quello dello Stato. Restano in piedi quelli che non rischiano, che sono tanti e comandano!