Quella lurida, fetida puzza di Camorra

par morias
venerdì 18 giugno 2010

Per una volta non vogliamo scrivere di quanto sta accadendo in questo Paese tra legittimo impedimento, legge bavaglio, conflitto di interesse, attacchi alla Costituzione e alla magistratura. Per una volta non vogliamo perderci dietro il sinottico parallelismo fra programma di governo e il programma massonico deviato della P2 di Licio Gelli.

Parliamo piuttosto del fetore della Camorra.

Quel lurido, insopportabile, insopprimibile fetore che si sente di notte nelle terre della camorra, specialmente in questo periodo, quando la calura notturna ti obbliga a socchiudere qualche finestra di casa per lasciar passare quel filo d’aria che ti permette a malapena di respirare.
 
Di notte l’aria dovrebbe essere più fresca, in quel tempo in cui le tenebre stanno per lasciare spazio ad una nuova alba. L’aria dovrebbe essere pura, genuina, ma non è così.
 
Non è così perché è proprio di notte che la "cappa" opprimente della camorra si sente più che mai. Non si fa vedere, si cela agli sguardi dei curiosi, ma la sua presenza la si avverte comunque.
 
Ti entra nelle narici, ti fa bruciare gli occhi, la respiri letteralmente, ti entra in circolo nel sangue, ti corrompe i polmoni, ti fa tossire.
 
Tu vorresti trattenere quella tosse maledetta, vorresti resistere, trattieni il fiato per qualche secondo, ti rigiri nel letto, schiacci il viso nel cuscino fino ad autosoffocarti, ma dopo il respiro che sei costretto a fare è ancora più profondo e dannoso.
 
E allora ti metti a scrivere, ti sfoghi, cerchi di convogliare la tua rabbia lanciando un urlo tanto forte da sperare che qualcuno ti senta, e poi ti ascolti.
 
La "bestia" puzzolente esce di notte, si trasforma, si fa in mille pezzi e invade i vicoli, le strade, interi quartieri. Assume molteplici aspetti, e non lascia stare nessuno, nemmeno quelli che pensano che con la camorra non hanno avuto mai a che fare, quelli che fanno finta di non sapere, quelli che chinano il mento fissando inebetiti il suolo.
 
La camorra da queste parti ti uccide, e nemmeno te ne accorgi.
 
Il fetore della camorra ha un nome, anzi per la verità ha anche un cognome: il primo è monnezza, e il secondo è diossina.
 
Ogni notte, e d’estate te ne accorgi proprio in virtù di quelle finestre socchiuse, tra le tre e le quattro la periferia nord di questa stramaledetta città a un tiro di schioppo dalla penisola sorrentina è afflitta dal tanfo della diossina, dalla monnezza che brucia.
 
A dar fuoco alla spazzatura questa volta però non è la gente esasperata dalla presenza dei sacchetti sotto casa, non è quella popolazione napoletana e terrone (così ci definiscono nelle prosperose terre padane) talmente incivile da non fare la raccolta differenziata.
 
Questa volta a bruciare la monnezza sono le istituzioni, sono le stesse ditte di smaltimento a cui il governo Berlusconi due anni addietro ha affidato il compito di fronteggiare l’emergenza rifiuti, emergenza che non è stata mai placata.
 

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