Quanto costa la Musica (per chi la fa e chi la ascolta)

par Ambra Zamuner
mercoledì 11 febbraio 2009

 
"Senza la musica la vita sarebbe un errore" diceva Nietzsche, senz’altro vero.
 
Sicuramente però gli mancò l’esperienza di imbattersi nel costo dei biglietti di un concerto di Bruce Springsteen.

Si è parlato a lungo della questione TicketOne e dei diritti di prevendita, sembra che il fattaccio si stia allargando a livello mondiale. Tutto è cominciato quando si è scoperto il costo dei biglietti del Bruce mondiale: 92 euro in Tribuna ovest, 80 euro e 50 le altre due, posto prato 63,25 euro. Ed è ancora poco, se vi sembrava abbastanza, negli Stati Uniti infatti l’eroe "lavoratore", il cantante dei sobborghi operai, il faro delle masse popolane sta avendo un paio di problemi con Live Nation e Ticketmaster i distributori ufficiali dei biglietti. Risulta infatti da un intervento sul blog del cantante che i colossi della prevendita si rimpallino i clienti e li costringano a comprare i biglietti a prezzi esorbitanti. Un esempio? Per l’ingresso al concerto di Chicago si richiedevano 200 dollari più prevendita.
 
E va bene c’è crisi. Però il discorso dei costi sostenuti per creare uno spettacolo degno di questo nome che da sempre risulta essere la risposta preferita alla domanda "perchè il costo elevato dei biglietti?" non regge più. O non ci basta più.
 
Certo, indicativamente da Madonna te lo aspetti anche visto che beve solo acqua santa e si fa appendere in ogni dove e in ogni posizione, però da Springsteen proprio no. La sottoscritta ha pagato circa 40 euro in posto prato per assistere al concerto dei Depeche Mode a luglio, sono tanti, ma nemmeno troppi visto che anche loro hanno circa vent’anni di carriera alle spalle. Fin qui i problemi di chi con la musica ci campa da anni e chi dalla musica si aspetta di poter ricevere sensazioni forti assistendo a concerti, possibilmente senza impegnare un organo vitale all’ingresso.

 
Ci sono poi quei gruppi che famosi ancora non sono e devono effettivamente fronteggiare i costi della vita di un musicista alle prime armi: sala prove, spostamenti, affitto di strumenti,stampa, merchandising (per i fortunati), SIAE, ENPALS.
 
Le due sigle in fondo rispecchiano per un musicista ciò che per Dracula era un paletto di frassino. Sui diritti che la SIAE pretende e la registrazione della proprietà di un pezzo (che non è obbligatoria, ma in genere è meglio farlo) più o meno la situazione risulta essere chiara. L’ENPALS (L’ente previdenziale per i lavoratori dello spettacolo) è un versamento obbligatorio se si suona retribuiti e dona il santo graal dei documenti, ovvero l’agibilità, ai musicisti indipendenti ed emergenti che percepiscono un minimo di paga. Dal sito informativo del comune di Torino, si apprende che in una circolare dell’anno scorso la 05/2008, cito dal sito: “l’Enpals pretende il pagamento dei contributi anche sulle prestazioni in sala d’incisione”la norma sembra essere del 1947 e retroattiva al 2004 e impone il pagamento anche a chi decide di incidere master, spesso autoprodotti. Per ora si è proposta una modifica che esenterebbe il pagamento fino a 2500 copie stampate, ma tutto resta ancora da rivedere e da accettare burocraticamente.
 
Facile aspettarsi una rivolta dei gruppi indipendenti che già devono sostenersi con le proprie forze, potendo pretendere molto poco in cambio, certo che se poi c’è chi non paga le tasse e loro devono pagarsi l’Enpals anche per tossire in sala d’incisione non se ne esce più. Eppure tra Springsteen e Madonna c’è chi non ha ancora un successo mondiale come molti gruppi in seconda fila, ma con grande seguito che, appoggiati dalle produzioni, decidono di vendere dischi a 1 euro o poco più. E’ il caso degli Afterglow ad esempio, che tra Torino e Londra hanno scoperto di avere molti fans e hanno scelto la politica del “preferisco vendere dieci dischi a dieci persone per 1 euro, che un disco da 10 euro a una persona” fidelizzazione del cliente insomma. Dal 2 febbraio al 2 Marzo il loro disco è disponibile online al costo di 1 euro, dopo aver fatto due conti constatando quanta gente scaricava illegalmente il loro disco hanno scelto la vicinanza e in cartella stampa dicono: “Chi avrebbe speso 10€ comunque acquisterà anche a 1€"; l’obiettivo è “attivare” persone che NON avrebbero speso quella cifra e probabilmente avrebbero scaricato l’album gratuitamente.
 
In pratica ci chiediamo se 1€ è il prezzo marginale in grado di moltiplicare i “contatti attivi”, ossia le persone, i fan disposti a DARE/FARE QUALCOSA per gli Afterglow”.
 
Qui torna in primo piano chi la musica la ascolta, che è poi la gente che fa le file alle casse, le code ai peer to peer e compra i dischi.

Scongiurando il rischio di sembrare Alessandro Di Pietro quando parla di diritti dei consumatori, posso lanciare un appello per far sì che la musica che può emergere emerga, chi la ascolta possa realmente farlo e chi ci guadagna già miliardi non ci speculi?

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