Quanta rovina e distruzione ancora può tollerare il cuore umano?

par Sabina Greco
venerdì 5 agosto 2022

Guardo tutte quelle case, dimore, abitazioni, rosicchiate da vili scosse come un pezzo di pane raffermo dai topi ingordi, sconfessate nella loro voglia di essere difesa e riparo contro le insidie di questo mondo, materiali e morali; sventrate e sbudellate come una scrofa in tardo autunno; polverizzate e ridotte ad ammassi senza ordine e disciplina.

Foto: Kostiantyn Liberov e Vlada Liberova, Pawel Pieniek, Oleg Petrasiuk, Finbarr OâReilly, Mstyslav Chernov, Wojciech Grzedzinski, Pavlo Petrov, Serhii Hudak, Mykola Synelnykov

 Guardo tutte quelle piazze e corti, prima libere e spaziose, fantasiose nella veste, quadrata, rettangolare, circolare, poligonale, che si aprono nella trama altrimenti fitta di personaggi e pulsioni, e che ora son deserte, fregiate solo di relitti, unica specie a testimoniare. Guardo quella terra, le campagne e i fondi, erosi e consumati, finiti a poco a poco, ridotti al nulla per dispetto; offese e disonorate per il solo gusto di infierire. Guardo tutti quegli oggetti - una bambolina, un quadro, un piatto, una tovaglia ricamata - oggetti che per qualcuno sono niente, quisquilie, solo cose senza valore; per chi li custodisce in casa propria sono ritagli dell’anima, occorrenze, ricordo e foss’anche rimpianto, e che ora son dispersi, naufraghi alla deriva, salme di un avvenire infranto; spezzati, compromessi, arsi in un delirio di sterminio e sopraffazione. Guardo tutte quelle vite sfondate, una legione di croci su un campo inerme, asperità del marciapiede, carogne da strappare alle macerie come la malerba prima del raccolto. E mi domando quanta rovina e distruzione può tollerare il cuore umano. 

Quanto annientamento di persone e cose nella loro materialità ed essenza, indegnamente arbitrario. Quanto indebito oblio, prepotentemente addossato. Quante intime stragi e devastazioni, l’animo saccheggiando. A onorare la psicanalisi tali istinti si oppongono all’ispirazione vitale, la cui sopraffazione radica il sadico e masochista in una danza taurina e perversa, e nulla ha a che vedere con la forza e l’impeto di istanze naturali che pure abbattono. In esse è a mancare, benedetta sorte, quella ingombrante volontà che a oscurare è ogni essenza, e perciò son degne, già loro, di riguardo e considerazione. 

Invano risuonano nel mondo le parole di Akiba, oggi ottantenne, ex sindaco di Hiroshima, con le quali invita Putin e tutti i leader delle potenze nucleari a incontrare almeno uno dei sopravvissuti della tragedia: deformi, tormentati da gravissime malattie genetiche, sono a condurre una vita piena di sofferenze e disperazione - nessuno, dopo aver visto certe cose, può pensare di rifare la stessa cosa. 

Mai paghi, invece, conosciamo fin troppo bene il dramma della devastazione, della strage, dell’annientamento, le mutilazioni di anima e corpo, ce l’abbiamo dentro. Insieme alla voglia inappagabile di prevaricare. Ad oggi non abbiamo mai smesso di investire tempo, forze e denari nello sviluppo e nella realizzazione di oggetti e strumenti di ogni foggia per straziare, recidere, bruciare e razziare la vita di un altro eguale (e con la sua, la nostra), di affinare tecniche e addestrare menti per spegnere, soffocare e arrestare il suo soffio assai vitale. Le abbiamo viste certe cose, Mister Akiba, le abbiamo iniziate certe cose, le rivendichiamo, e le replichiamo, senza sosta e senza vergogna. L’unica speranza per noi è lei, seduta sulla sua panchina, pure dentro, che a guardare l’opera di un genio umano la domanda ripropone: 

quanta rovina e distruzione ancora può tollerare il cuore umano? 

 

Sabina Greco 


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