Quando le fobie vengono usate come bavaglio
par UAAR - A ragion veduta
giovedì 4 settembre 2014
Alle definizioni con suffisso “fobia” siamo ormai da tempo abituati. Si tratta in genere di neologismi ottenuti anteponendo al suffisso una determinata categoria di persone, in modo da ottenere un termine adatto a definire un atteggiamento di pregiudizio nei confronti di quella categoria. In pratica si tratta di varianti più specifiche della generica xenofobia; abbiamo così l’omofobia, l’ateofobia, la cristianofobia, l’islamofobia, e così via. Il problema è che a rimanere comunque generico è il concetto di pregiudizio, applicabile sia ad azioni che a opinioni più o meno dure, e ciò fa sì che la stessa definizione venga poi spesso sfruttata come arma ideologica. A maggior ragione quando si parla di religioni che, com’è noto, hanno la tendenza a reagire con sdegno alle critiche rivolte loro, salvo poi riservarsi il diritto di criticare chi ha punti di vista diversi.
Particolarmente sensibile da questo punto di vista è il mondo islamico, sotto costante osservazione sia per le azioni compiute in suo nome dai fondamentalisti, tanto innegabili quanto deprecate anche dagli stessi musulmani moderati, che per la sua dottrina decisamente poco rispettosa delle libertà individuali di donne, omosessuali, atei, su cui invece si registra un tombale e malinconico silenzio da parte di tutti i suoi fedeli. O almeno a noi non risultano prese di posizione degne di nota su questi temi, pur avendole perfino sollecitate in casi estremi. Capita così che un giornalista come Magdi Allam, fondamentalista cristiano che certo non ha mai nascosto la sua avversità verso l’islam, che tra l’altro professava come culto prima della sua folgorazione sulla via di S. Pietro, venga segnalato all’ordine dei giornalisti per islamofobia.
L’azione è partita dall’esposto presentato all’Ordine regionale dei giornalisti del Lazio dall’associazione Media&Diritto, non nuova a interventi a difesa dell’intoccabilità delle religioni — sua una campagna contro lo spot di un’azienda di pannelli fotovoltaici — ed è proseguito in sede nazionale dopo che l’organo laziale lo ha respinto. Ad assistere l’associazione l’avvocato Luca Bauccio, nostra vecchia conoscenza perché ci aveva già chiesto per conto del Caim la rimozione da un nostro articolo dell’accostamento tra il Caim stesso e i Fratelli Musulmani. Il Cdn (Consiglio di disciplina nazionale) dell’Odg ha deciso di ammettere il ricorso di Bauccio perché giudicato “non manifestamente infondato”, e ha così chiesto ad Allam di presentare la sua memoria difensiva.
A distanza di circa un mese dalla decisione del Cdn il quotidiano di Allam, Il Giornale, ha reso nota la notizia con un articolo in cui vengono citate alcune delle espressioni usate da Allam negli articoli incriminati. Indubbiamente si tratta di espressioni forti, e indubbiamente sono state espresse in modo generico contro l’islam e non contro il solo fondamentalismo islamico, ma la questione di fondo a questo punto è proprio che a essere indagate sono le parole usate contro una religione, e che qualora passasse il principio che bisogna astenersi dal criticare le religioni, perché evidentemente giudicate al di sopra delle opinioni e degli opinionisti, saremmo davanti a una sconfitta epocale per la libertà d’espressione. Una sconfitta che paradossalmente sarebbe stata inflitta da un organo di categoria, l’Ordine dei giornalisti, che teoricamente dovrebbe tutelarla quella libertà, e di cui a dirla tutta non si capisce l’utilità visto che a difendere eventuali diffamati ci penserebbe comunque la giustizia ordinaria. Non sarà un caso se al mondo non esistono altri ordini simili a stabilire cosa è giusto scrivere e cosa invece non va detto per non urtare la suscettibilità di alcuni privilegiati.
Del resto non è nemmeno facile individuare un confine netto tra la libera espressione delle proprie opinioni e la denigrazione. Tanto per fare un esempio, su Libero è stata pubblicata una notizia con tanto di titolone ad effetto secondo cui lo jihadista noto come Abu Omar, ex elettricista milanese, sarebbe andato alla trasmissione L’Infedele, salvo poi capire in coda all’articolo che pare si trovasse casualmente tra il pubblico. Su simili artifici la deontologia professionale cosa dice? Altro esempio: la protesta delle Femen in cui due attiviste, tra cui una blogger egiziana, spargono feci e sangue mestruale su una bandiera dello Stato Islamico. La fondatrice delle Femen sottolinea che il messaggio che si vuole far passare è che la vera violenza non sta nella libera espressione, per quanto feroce, ma sta in quella fisica, reale, messa in atto o minacciata dagli islamisti. In sostanza è stato diffuso un video in cui la vittima è un simbolo in risposta a tanti video in cui le vittime sono persone sgozzate. Chi si sente di tacciarle di islamofobia?
Sulla vicenda Allam l’Odg tiene a precisare che al momento non sono stati presi provvedimenti né sanzionatori né assolutori, segnalando contestualmente che la sua linea è sempre stata quella del rispetto di tutti, come testimonia la sospensione inflitta al direttore di un giornale per antisemitismo che, oltretutto, non ha suscitato nessuna reazione di risentimento. Bene. Anzi no, male! Male perché la vicenda della sospensione per giudeofobia, tanto per usare termini analoghi per situazioni analoghe, testimonia solo che l’Odg ha già comminato sanzioni per reati d’opinione, e allo stesso tempo testimonia che vi sono religioni meritevoli di essere difese a spada tratta dalla stampa, nel silenzio di tutti, e altre che invece non possono essere tranquillamente criticate perché in tal caso si levano immediatamente gli scudi. E questo è semplicemente inaccettabile. Per quanto strambe possano eventualmente essere, le idee si contrastano con adeguate controargomentazioni, non con le punizioni.
Noi non abbiamo mai invocato, né mai ci sogneremmo di farlo, provvedimenti di nessun genere contro chi offende genericamente gli atei, piuttosto che gli omosessuali o qualunque altra categoria, a meno che non lo facciano mentre rappresentano le istituzioni. E anche in tal caso ci limitiamo a chiedere loro di fare un passo indietro e lasciare la poltrona. Semmai i provvedimenti vanno presi quando ad essere discriminate sono persone con nome e cognome, che magari subiscono conseguenze per via del loro orientamento filosofico o sessuale, ma per questi casi ci sono dei reati previsti dalla legge.
È anche per questo motivo che ci siamo sempre battuti per l’abolizione dei reati di bestemmia e di vilipendio, e sempre per gli stessi motivi abbiamo sempre sostenuto iniziative contro l’omofobia intesa nel senso di atto realmente discriminatorio, non certo come limitazione della libertà d’espressione. Iniziative che, guardacaso, sono sempre state ostacolate proprio dalle religioni, e proprio con l’obiezione che, a loro dire, sussisterebbe il rischio di non potersi poi esprimere liberamente sugli (o contro gli) omosessuali.