Quando gli antibiotici non servono più

par Rodolfo Buccico
sabato 17 marzo 2012

Il Direttore dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) Dott.ssa Chan, in un meeting a Copenaghen con esperti di malattie infettive, ha messo in guardia il mondo sul fatto che si sta entrando in un'epoca in cui comuni infortuni e malattie potrebbero uccidere.

Pazienti ricoverati in ospedale potrebbero rischiare la loro vita anche con operazioni di routine a bassa mortalità, che acquisterebbero una nuova pericolosità alla luce della crescente diffusione ed evoluzione della resistenza microbica globale agli antibiotici più comuni. Una fase post-antibiotica condurrebbe alla fine della medicina moderna secondo la concezione attuale. La prima linea di antimicrobici risulta essere sempre meno efficace ed i trattamenti sostitutivi sono sempre più costosi e più tossici con una durata molto più lunga ed una necessità sempre maggiore di trattamenti in terapia intensiva.

La mortalità dei pazienti infettati con alcuni agenti patogeni resistenti ai farmaci è destinata ad aumentare di circa il 50%. Interventi e procedure come l’impianto di protesi d'anca, i trapianti d'organo, la chemioterapia antitumorale e la cura dei neonati prematuri sarebbero sovente complicati da infezioni nosocomiali multiresistenti.

Allo stato attuale 25.000 persone muoiono ogni anno nell'UE a causa di infezioni batteriche resistenti agli antibiotici. I carbapenemici rappresentano l'ultima linea di difesa contro le infezioni resistenti. Nel 2009 uno stipite di Klebsiella Pneumoniae resistente ai carbapenemici è stato isolato in Grecia, l'anno successivo si era diffuso in Italia, Austria, Cipro e Ungheria. Il Centro Europeo per il controllo e prevenzione delle malattie ha riferito che la percentuale di K. Pneumoniae resistente ai carbapenemici è raddoppiato dal 7% al 15%.

La sintesi di nuove molecole per curare i superbatteri resistenti richiede grandi investimenti a fronte di ritorni commerciali bassi anche a causa della breve durata di impiego terapeutico, ciò evidentemente non incentiva le multinazionali del farmaco ad investire nella ricerca di nuovi antibiotici.


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