Quando Sgalambro fu cacciato dall’Università

par Gianpiero Caldarella
venerdì 7 marzo 2014

Omaggio al Cavaliere dell'Intelletto e dell'Autogestione.

Ieri se n'è andato il filosofo Manlio Sgalambro, all'età di quasi 90 anni, dopo una collaborazione artistica ventennale con Franco Battiato e una vita di studi e pubblicazioni filosofiche fuori dal coro dei grandi circoli accademici. Oggi questa notizia campeggia sui quotidiani. Un atto dovuto per l'ultimo passo di un grande della cultura, i coccodrilli nelle redazioni erano già pronti con i titoli delle sue canzoni più famose o dei suoi libri o dei suoi spettacoli. Un po' dappertutto si parla de Il cavaliere dell'Intelletto, l'opera teatrale che segna l'inizio della collaborazione con Battiato, realizzata per gli 800 anni dalla nascita di Federico II e presentata nella cattedrale di Palermo il 20 settembre 1994. Tra gli attori in scena c'era anche un Toni Servillo non ancora “divo”, ma il cui carattere di attore di razza sarà stato riconosciuto senza difficoltà da quel poliedrico artista (e talent-scout) che è Franco Battiato. Era il 1994, anni duri per Palermo che reagiva contro l'orrore delle stragi, il cui ricordo era ancora vivissimo. Quell'evento fu un'occasione per ricordare che la storia della Sicilia non è solo storia di mafia, ma di grandi intelligenze, di contaminazioni culturali e di soluzioni da “stupor mundis”. Fin qui è tutta una grande storia collettiva.

Poi ci sono le piccole storie, meno conosciute o quasi del tutto sconosciute, come quella che sto per raccontarvi, accaduta in una Palermo di quasi vent'anni fa. Era l'inizio del 1996, forse fine gennaio, e mi trovai ad invitare Manlio Sgalambro a Palermo, per parlare del suo libro Dell'indifferenza in materia di società (Adelphi, 1994) con i ragazzi della Facoltà di Magistero (ora Scienze della Formazione) in via Pascoli. Non si trattava di un incontro organizzato dall'Ateneo o da qualche dipartimento o cattedra, ma un incontro voluto “dal basso”, da semplici studenti senza titoli accademici né tantomeno una lira in tasca (l'euro non c'era ancora ma la sensazione di leggerezza nelle tasche e nello spirito non era molto diversa da quella odierna) per pagare uno straccio d'ospitalità, un pranzo o la benzina per giungere da Catania a Palermo. Niente! C'era solo la nostra voglia di conoscere, attraverso un percorso di studio collettivo, dei “seminari autogestiti” in cui ci avventurammo durante l'occupazione della Facoltà, iniziata a fine 1995 e durata quasi due mesi, a causa della mancanza di aule disponibili per l'intero corso di laurea in psicologia.

“Seminari autogestiti” significava che sceglievamo un testo da leggere, ci davamo un tempo relativamente breve per leggerlo tutti ed uno studente in particolare si faceva carico di relazionare su quel testo, di introdurlo, per poi far scattare la discussione, cercando di tirar fuori il senso e le contraddizioni, se ve n'erano. In tutto eravamo una trentina di ragazzi, a volte anche meno, e gli incontri si facevano senza prevedere gerarchie e senza chiedere l'intervento di alcun docente, ma in certi casi, avendone la possibilità, decidevamo di invitare l'autore del testo che avevamo scelto di leggere insieme. Capitava rare volte, ma capitava, come successe nel caso di Sgalambro.

I seminari che avevamo attivato durante l'occupazione erano tre: uno di sociologia, uno di poesia e un altro di epistemologia. Si leggeva molto e, ancor più importante, si ascoltava parecchio. Dal punto di vista della crescita personale e culturale credo sia stato uno dei periodi più intensi per ognuno dei protagonisti di quell'avventura, in barba a chi pensava che le occupazioni erano buone solo per chi non voleva fare lezione e darsi solo alle pazze gioie.

Questo era il quadro che raccontai a Sgalambro. Lui decise di partecipare. Qualche giorno prima dell'incontro ricevo una telefonata: “Pronto, sono Franco Battiato...”. Ricordo quella telefonata come fosse oggi. Mi comunicava che avrebbe accompagnato lui Sgalambro e che avrebbe quindi partecipato al nostro seminario. Poneva però una condizione: nessuno avrebbe dovuto sapere della sua partecipazione perché questo avrebbe potuto rovinare l'incontro, attirando curiosi e fan. In sintesi, il suo messaggio era: per fare certe cose ci vuole attenzione, concentrazione, c'è bisogno di presenza e non di presenzialismo e non voleva che il tutto scivolasse come un appuntamento mondano. Richiesta più che legittima che accordammo al volo.

Pertanto siamo andati dall'allora preside di Facoltà, il Professor Gianni Puglisi, e chiedemmo un'aula per il seminario autogestito con il filosofo Manlio Sgalambro, senza accennare minimamente sulla presenza di Battiato. La stessa omissione fu riportata nelle locandine appese nei corridoi della facoltà. Il giorno dell'incontro successe che nei corridoi di via Pascoli c'era agitazione. Qualche centinaio di studenti di psicologia fremeva perché rischiava di saltare un appello, quello di “Elementi anatomo-fisiologici dell'attività psichica”. Il professore, che doveva venire da Milano non si era presentato la mattina ed era giunto in ritardo quasi in coincidenza col nostro seminario. Noi entrammo nell'aula che ci era stata assegnata. Una trentina di ragazzi, più Sgalambro e Battiato. Iniziammo l'incontro, dopo pochi minuti iniziarono a bussare alle porte in maniera sempre più insistente, fino a buttarci praticamente fuori dall'aula. Per quei ragazzi, studenti come noi, eravamo solo un impedimento al funzionamento dell'esamificio, degli usurpatori di un loro diritto culturale, quello di “togliersi il pensiero” dell'esame. Viva la cultura!

Ma la cosa peggiore fu che il docente, forse interessato anche lui a non ripetere il viaggio, e ignorando le insolite presenze che stavano nell'aula, in qualche modo incoraggiò i ragazzi dicendo loro che senza l'aula a disposizione l'esame sarebbe stato rimandato. Bastò questo per creare i presupposti di una rissa, cui ci sottraemmo spostandoci, anche fra qualche spintone, nel piccolo spazio autogestito che stava di fronte alla Facoltà. Sgalambro e Battiato erano visibilmente stupiti da quello che stava succedendo, forse non erano mai stati trattati in quel modo all'interno del tempio del sapere e Sgalambro si lasciò sfuggire un “portatemi via da questo posto”.

Il nostro imbarazzo, man mano che passavamo in mezzo agli studenti che si accalcavano in corridoio per poter entrare nell'aula, si trasformò in orgoglio. Non c'era modo migliore di far notare a degli osservatori esterni, di cui uno in incognito, cos'era diventata l'Università e cosa significasse resistere a certe dinamiche e a certe ingiustizie. La sensazione fu che anche loro a quel punto si sentivano più affiatati con noi, come se ci conoscessimo da più tempo, e che quell'esperienza così intensa e paradossale non l'avremmo dimenticata subito. Poi finalmente iniziammo il seminario che durò circa tre ore. Sgalambro non finì di stupirci per la sua grande capacità di scavare nel vuoto dei nostri tempi e Battiato per la capacità di entrare in sintonia con il gruppo, di ascoltare e ribattere o proporre le sue riflessioni come un qualunque altro studente, senza prendere più tempo o dare l'impressione che parlasse da una cattedra. Fu un gran bel seminario, tutti ce ne andammo con il sorriso sulle labbra per quel sorprendente pomeriggio che adesso, dopo quasi vent'anni, mi sono permesso di raccontare.

Grazie Manlio, fai buon viaggio.

 

Ps: ad onor di cronaca, bisogna dire che dopo qualche giorno raccontammo al Preside della Facoltà quanto era successo, stavolta svelando l'identità dei partecipanti a quel seminario. La sua reazione nei confronti del docente non fu morbida...

 


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