Quale didattica della Storia? Abbasso il manuale!

par Aldo Giannuli
giovedì 10 marzo 2016

Mi capita spesso di discutere, anche animatamente, con i miei colleghi su come si debba insegnare la storia nell’AD 2016, che non è come dire 1923 (anno della riforma Gentile). Che ci sia un declino delle facoltà umanistiche, non solo in Italia ma in tutta Europa, è fatto tanto evidente da non dover essere dimostrato e la storia non fa eccezione.

Non si tratta solo di cattedre soppresse, finanziamenti tagliati, orari scolastici ridotti, ma investe proprio l’interesse degli studenti per la materia: basti vedere le cifre degli immatricolati ai corsi di laurea di Storia, il numero dei tesisti di scienze politiche, lettere, economia ecc che scelgono una tesi in storia ecc.

In parte, questa disaffezione si spiega con il “vento” culturale presente che esalta le scienze matematiche o naturali, o, al massimo l’economia e deprime tutte quelle umanistiche presentate come inutile erudizione (ne abbiamo detto). Ma in parte questo dipende anche dal modo in cui insegniamo la storia che annoia i ragazzi (giustamente, aggiungo io). E il punto è che noi siamo rimasti al modello segnato dalla riforma Gentile (di cui riparleremo), che, per la storia, è: nozionistico-passivizzante, disciplinare, analogico, ossessivamente cronologico, evenemenziale, eurocentrico, a dominante politico militare e precettiva. Mi spiego meglio.

Il modello gentiliano immagina (non solo per la storia) la trasmissione del sapere come quella di un bagaglio di nozioni su cui solo dopo la fine del ciclo di studi (università compresa) una piccola parte dei neo laureati si applicherà per scopi di ricerca ed allo sviluppo di questa o quella disciplina, mentre gli altri si limiteranno ad applicare le nozioni apprese al proprio ambito lavorativo o al massimo per un uso personale a fini di intrattenimento. Ovviamente, questo metodo individua lo studente come puro ricettore non interagente: allo studente non si chiede di appassionarsi alla (o alle materie) che studia, ma di assimilare passivamente le informazioni trasmessegli. Gli serviranno dopo, per ora si limiti ad essere diligente.

La motivazione allo studio viene dal valore culturale immaginato, non solo come elemento di promozione sociale, per la conquista di lavori più apprezzati e remunerati, ma come elemento gerarchico di comando: chi più sa, più sale nelle gerarchie sociali a cominciare da quella dello Stato e della politica, che più delle altre chiedono conoscenze storiche la cui figura retorica regina è l’analogia. Ne consegue che lo strumento per valutare e motivare lo studente è quello disciplinare espresso dalla promozione/bocciatura e, più in particolare, dal voto che esprime il suo valore intellettuale inteso soprattutto come adeguamento alle regole di apprendimento richieste dal modello sociale.

E proprio in quanto l’analogia assume funzione chiave, la strutturazione del corso di studi deve essere cronologica e rigidamente tale, senza concessione alcuna né alla comparazione né ad un taglio concettuale che viene al massimo ammesso in funzione servente allo schema cronologico e come mera descrizione di questo o quell’aspetto della società romana, feudale o altro. In questo quadro non è affatto valorizzata la dimensione causale ed esplicativa, in omaggio alla prescrizione dello studiare la storia “per come è andata”, affastellando date e nomi senza nessuna particolare enfasi sui processi.

Ed, ovviamente, questo rende inutile un approccio interdisciplinare, in particolare alla dimensione sociale. La dominante resta quella politico-militare, dove per politico si intende l’assetto puramente statale (o della formazione o trasformazione degli stati, come per la Rivoluzione Americana, Francese, Risorgimento ecc.), accompagnata da una dimensione ideologica (giusto il rapporto con la filosofia il cui insegnamento, in genere, è affidato allo stesso docente di storia) e ad un sommario elenco di fatti militari mai spiegati se non con categorie indeterminate come il “genio” militare di questo o quel condottiero ed il valore sul campo di battaglia degli uomini talvolta mossi dall’adesione ad una qualche causa.

Quanto all’abito di osservazione esso non può che essere la storia europea e la stessa scansione delle epoche (antica, medievale, moderna e contemporanea), come osserva Goody, riproduce le tappe dell’ascesa dell’Europa nel Mondo, come affermazione del Progresso e della naturale superiorità dell’homo europeus. Donde deriva anche la dimensione precettiva dell’insegnamento della storia che indica quali valori custodire.

Questo è lo schema di base che ancora regge l’insegnamento, salvo occasionali innesti, negli ultimi trenta anni, di storia sociale e culturale (storia di genere, dei giovani, dei consumi, del sindacato…) innesti peraltro del tutto inutili perché, per ragioni di tempo nessuno riesce a toccare quei capitoli. Altra innovazione parziale è stata quella delle microstorie che esalta la dimensione ultra analitica della materia (che delizia la storia dei birrai di Mantova, del Psi di Peretola e dell’assedio di Gambettola nel 1515!). L’unico risultato è stato quello di aumentare il peso (ed il costo) del manuale che resta ancora oggi l’oggetto di culto di tanto docenti ed il modo infallibile per fare odiare la materia agli studenti ai quali si chiede sostanzialmente di ingurgitare e digerire quello che c’è scritto in quelle pagine. Più il resoconto delle studente interrogato sarà fedele alle pagine del manuale e più il voto sarà alto.

A volte, nella mia torsione complottista, penso che esista una Associazione Segreta per l’Odio della Storia (Asos) cui aderisce, ovviamente in segreto, la maggioranza dei docenti di storia di ogno ordine e grado, che si dedicano, con libidine e metodo, allo scopo di fare dei loro studenti odiatori militanti della materia.

Tutto sommato, lo schema gentiliano, pur nel suo furioso classismo e nazionalismo ha funzionato a suo modo riuscendo a fondare un sapere storico condiviso, base delle letture di età adulta, funzionale a stabilizzare il senso di identità nazionale, utile a selezionare una classe dirigente formata sull’asse letterario-filosofico. Cosa criticabile quanto si vuole ma che ha avuto una sua coerenza e che ha raggiunto i suoi scopi. Ma, nell’anno di grazia 2016 ci serve ancora questa storia? A me sembra che ci serva come un manuale di astrologia in una base spaziale.

Io credo che la prima cosa da fare sia quella di organizzare il falò di tutti i manuali che ci sono in giro, possibilmente mettendoci sopra i relativi autori. Poi lo smantellamento impietoso di tutto questo impianto metodologico. Noi abbiamo bisogno di un metodo interattivo con gli studenti chiamati a partecipare, dove il metodo precedente era passivizzante, un metodo trans disciplinare dove quello vigente è mono disciplinare, comparativo dove l’altro è analogico, concettuale dove l’altro è nozionistico ed ossessivamente cronologico (ma preservando l’uso della cronologia), processuale dove l’altro è evenemenziale, esplicativo dove l’altro è precettivo e moraleggiante, globalizzante dove questo è eurocentrico.

E magari ci torneremo su per articolare meglio il discorso.


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