Putin, la censura e l’importanza delle parolacce

par Tommaso Matano
mercoledì 7 maggio 2014

 
Lunedì 6 maggio il premier russo Vladimir Putin ha firmato un disegno di legge che vieterà l’uso di espressioni volgari nei film, nei programmi televisivi e negli spettacoli teatrali. Una forma di censura che riguarderà tutti i media e che entrerà in vigore a partire dal 1° luglio. Le ammende andranno dai 2500 rubli (50 euro) per i singoli cittadini ai 50000 rubli (1013 euro) per le aziende e le organizzazioni. Gli editori che contravverranno a tale legge potranno rischiare di perdere la propria licenza, e sui libri contenenti passaggi ritenuti contrari al buon gusto bisognerà apporre un’avvertenza in copertina. 

Lo spettro del provvedimento si aggirava per i corridoi della Duma già da tempo: si tratta infatti di un altro colpo alla libertà d’espressione sferrato dal premier russo, in un braccio di ferro crescente, oltreché che con le resistenze interne, anche con l’opinione pubblica occidentale.

Prima vennero le leggi contro la propaganda omosessuale, poi, il 23 aprile, un provvedimento mirato a colpire i blog con più di 3000 visite al giorno. La notizia della legge che regolamenta i meccanismi di blog e siti internet fu peraltro riportata dall’agenzia di stampa Russia Today diretta da Dimitri Kiseliov, il direttore della propaganda di Putin. Il giornalista, che incarna e consolida la distanza politica consumatasi tra la Russia e l’Europa, recentemente si è fatto notare per aver dichiarato a proposito degli omosessuali che “se muoiono in un incidente d'auto, bisognerebbe seppellirne il cuore o incenerirlo”.

Secondo quanto riportato dal New Yorker, il colpo che la censura infligge al linguaggio volgare mira a quattro improperi fondamentali, che nel mat, lo slang volgare russo, sono veri capisaldi lessicali: khuy (“cazzo”), pizda (“fica”), ebat’ ("fottere") e blyad (“puttana”). La scelta dei quattro lemmi proibiti - e delle decine di varianti che la creatività del linguaggio consente - sarebbe secondo il Moscow Time responsabilità della prestigiosa Accademia Russa delle Scienze. La decisione trova del resto l’appoggio della Chiesa ortodossa russa, che guarda criticamente al mat come a una depravazione morale diffusasi a partire dall’Occidente sull’onda della cultura di massa.

Il Ministero della Cultura russo fa comunque sapere che la restrizione si applicherà solo alla cultura popolare e non riguarderà le arti. Se così fosse, peraltro, vorrebbe dire che il Ministero della Cultura russo avrebbe risolto uno dei più annosi problemi della storia della filosofia, riuscendo finalmente a distinguere l’arte e l’altro dall’arte.

La faccenda in realtà è molto seria perché l’ostracismo nei confronti della parola volgare è un oltraggio al valore dissacrante del linguaggio, alla sua forza dislocante. La parola ingiuriosa rompe i limiti del convenzionale, si libera e libera il discorso da certe costrizioni, da certe etichette. L’irruzione della parola “contraria al buon gusto” insegna la relatività del gusto, e grida nella violenza della sua in-formalità un appello al rifiuto, alla libertà dell’espressione.

D’altronde ha capito una cosa importante, Putin, se è vero ciò che diceva Deleuze della letteratura, cioè che lo scrittore deve far delirare la lingua, fino a trasformarla in un idioma straniero in grado di “inventare un popolo che ancora non c’è”. Ferire la libertà del linguaggio nel suo nucleo più eversivo per salvaguardare la civiltà dal pericolo dello scandalo è forse il modo più efficace di mortificare il dissenso

Sarebbe curioso domandare al premier russo che fine farebbe, nella sua visione di linguaggio soggetto a vincoli di legge, la fiaba in versi di Puskin, Zar Nikita e le sue quaranta figlie, dove il poeta si domanda a un certo punto come fare a nominare l’organo sessuale delle fanciulle:

“Allora che cos’è questo qualcosa,
che la censura sciocca e altezzosa
fa divieto di menzionare
ed io non posso qui spiegare?
Come faccio? Chi mi viene in aiuto?
Il pudore mi vuole muto.”

 

Era il 1822.

P.S. Questa storia non vi ricorda qualcosa?

 

Foto: Thierry Ehrmann/Flickr


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