Pussy Riot condannate per "odio religioso"

par UAAR - A ragion veduta
sabato 18 agosto 2012

L’odio religioso può costarti la galera, in Russia. Anche quando non ne provi. Da Mosca giunge purtroppo la notizia che le Pussy Riot sono state condannate a due anni di prigione. Hanno “insultato profondamente” i sentimenti dei fedeli, hanno scritto i giudici.

 

Il verdetto arriva dopo sei mesi in carcere (duro, a detta della difesa), dovuto proprio all’accusa di “odio religioso”. Le autorità non avevano accolto le numerose richieste di rilascio sotto cauzione. Il procuratore aveva chiesto tre anni e, non dimentichiamolo, il patriarca ortodosso Kirill aveva invocato una punizione esemplare. Il clima era talmente teso che alla giudice, Marina Syrova, erano giunte minacce di morte, circostanza che aveva spinto le autorità ad assegnarle una scorta. E a blindare la zona intorno al tribunale, per timore di scontri.

Il 21 febbraio scorso il collettivo punk aveva fatto irruzione nella cattedrale del Cristo Redentore per cantarvi una canzone di protesta contro il regime di Putin e contro il sostegno costantemente assicuratogli dalla Chiesa ortodossa. Non risulta che abbiano profferito espressioni blasfeme. Tre giovani del gruppo, Maria Alyokhina di 24 anni, Yekaterina Samutsevich di 29 e Nadezhda Tolokonnikova di 22, furono arrestate qualche giorno dopo. Nelle settimane seguenti vi furono dimostrazioni di protesta contro l’arresto, represse con fermi di polizia, multe e la censura di volantini e manifesti. Anche la penultima manifestazione si è conclusa con cinque arresti. L’ultima, quella di oggi, rischia di terminare con una repressione ancora più bieca: in questo momento, tra gli arrestati, figurano già anche l’ex campione di scacchi Garry Kasparov e il leader del Fronte di Sinistra, Serghei Udaltsov.

A sostenere la battaglia delle Pussy Riot è scesa in campo nei mesi scorsi Amnesty International, lanciando tra l’altro una petizione che anche l’Uaar ha invitato a sottoscrivere. Ma è stata soprattutto la mobilitazione internazionale di tante popstar, da Madonna a Paul McCartney, dagli Who a Bjork, a porre lo Stato russo e la Chiesa ortodossa in una posizione imbarazzante, mostrando tutta l’intolleranza di cui anche il nuovo corso postsovietico sembra essere capace. La sentenza non costituisce altro che la definitiva conferma.

Come ha scritto Amnesty International, le tre giovani potevano essere considerate “prigioniere di coscienza, perché detenute e accusate solo per aver esercitato il loro diritto alla libertà d’espressione”. Erano state infatti incarcerate, e sono state condannate, ai sensi dell’articolo 213.2 del codice penale russo (“vandalismo per motivi di odio religioso o di ostilità verso un gruppo sociale, pianificato da un gruppo organizzato”).

L’Uaar non fa mai uso di blasfemia e non ne incoraggia in alcun modo l’uso. È tuttavia contraria a ogni legge che la punisca la blasfemia e che limiti la libertà di critica alle religioni, che devono essere considerate dalla legge alla stregua di qualsiasi altra organizzazione privata. Il codice penale russo è un perfetto esempio di favor religionis, che non è del resto assente nemmeno da quello italiano (in proposito, si consultino le nostre schede dedicate al vilipendio e alla bestemmia).

Ed è per questo motivo che l’associazione considera la sentenza odierna un brutto momento per la libertà di espressione in Europa. Le Pussy Riot hanno certamente “invaso” un luogo privato, ed è per questo, ma soltanto per questo che eventualmente dovevano pagare. Infliggere anni di carcere duro per aver detto “no” a Putin dall’interno di una chiesa rappresenta un verdetto allucinante, ed è doveroso affermare che la Russia ha, oggi, fatto un enorme passo indietro in materia di diritti umani. Ci auguriamo che chi ha voluto compierlo ne paghi presto le conseguenze.


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