Pubblico, privato, berlusconiano: le tre categorie di un’etica che tale non è

par Daniel di Schuler
mercoledì 25 maggio 2011

"E’ solo riducendo la politica alla fedeltà personale nei confronti del capo che si possono giustificare alcune delle ultime iniziative di Berlusconi e dei suoi o, meglio ancora, che si può continuare a votare per lui pur non potendo trovare alcuna giustificazione politica o morale a tali iniziative".

E' sempre difficile, tutt'altro che scontato, il rapporto tra etica e politica.

Io mi ostino ad essere tra gli "idioti", per dirla con Croce, che pretendono l'onestà nei comportamenti dei propri governanti e penso nella mia ingenuità che per le nazioni, esattamente come per gli individui, un comportamento schietto costituisca alla lunga la miglior strategia, ma capisco le motivazioni di chi, con un altra concezione dello stato, ritiene che si applichi alla politica una morale differente di quella che riguarda gli individui. Sono kantiano, usando i termini della filosofia spicciola, ma capisco i machiavellici e comprendo, anche se mi ripugnano, le ragioni degli hegeliani, che, vedendo nello stato la suprema realizzazione dello spirito, fanno discendere da questo ogni morale; quello che vuole lo stato, dicono questi ultimi, è morale per definizione.

Venendo ad un esempio concreto io penso che sbagliammo a stringere quei legami con un tiranno come Gheddafi, ma comprendo le machiavelliche ragioni di chi riteneva che, di fronte alla necessità di procurarci del petrolio, il resto passasse in secondo piano.

Capire il modo in cui Silvio Berlusconi si pone di fronte ai cittadini, e in particolare la maniera in cui lui ed i suoi stanno conducendo questa campagna elettorale, mi pone invece più di un problema; non riesco a comprenderlo e riesco a comprendere ancora meno chi, e si tratterà ad ogni modo della metà circa dei cittadini chiamati alle urne, voterà per i suoi candidati. Non capisco cosa si aspettino ancora dall'Unto del Signore, questi miei compatrioti: quale idea di stato propugnino e quale futuro desiderino per la propria città e per l’Italia; quali convinzioni informino il loro agire e quali siano le basi della loro etica.

Pare che per gli elettori del PdL esistano tre categorie morali: il privato, il politico e il berlusconiano. Oltre ad ammettere che la ragion di stato giustifichi comportamenti inaccettabili per l’individuo corrente, questi nostri connazionali ritengono che Silvio Berlusconi abbia il diritto di mentire loro apertamente, di fare loro qualunque promessa, pur sapendo che è assolutamente irrealizzabile. Non vi è nulla di nuovo nel considerare vangelo la parola del capo (è caratteristica di qualunque totalitarismo, basti ricordare che nella Germania nazista la parola del führer aveva valore di legge); quel che è nuovo è il considerare il capo sempre e comunque tale anche se la sua parola non vale più nulla.

Due ministeri a Milano? Cento milioni di nuovi alberi? La cura del cancro in tre anni? Fa spallucce il berlusconiano di fronte alle mirabolanti promesse del proprio messia minimo: “Beh, si sa come fa il Berlusca, mica si deve prendere sul serio”. E continua imperterrito, vuota promessa dopo vuota promessa , a votare per lui.

Salus rei publicae suprema lex esto, “la salvezza delle Repubblica sia la legge suprema”, dice il motto ciceroniano, caro ai machiavellici, riportato anche nello stemma del nostro esercito.

La salvezza di Silvio Berlusconi, invece, è la legge suprema dei berlusconiani.

E’ solo riducendo la politica alla fedeltà personale nei confronti del capo che si possono giustificare alcune delle ultime iniziative di Berlusconi e dei suoi o, meglio ancora, che si può continuare a votare per lui pur non potendo trovare alcuna giustificazione politica o morale a tali iniziative.

E’ di qualunque populismo, da Lauro a Peron, concedere, in mille forme, panem et circenses ai cittadini per comperarne il consenso; far avere loro come concessione dall’alto quel che loro dovrebbe essere di diritto per farne popolo, appunto, massa.

Nuovo è invece un potere che per conservare i privilegi e le immunità che al potere sono collegati rinuncia ad essere potere: questo è, in sintesi, quel che offre Berlusconi quando promette l’impunità agli abusivi napoletani, e questo è ciò che promette la Moratti quando si dice pronta a riconsiderare le multe già comminate agli automobilisti milanesi.

E’ un potere vuoto, ridotto a guscio di privilegi, quello che per mantenersi si appella agli istinti più anarchici dei cittadini. Un atteggiamento che dovrebbe indignare anche i più hobbesiani tra i sostenitori di Berlusconi: tutti quelli che in questi anni ci hanno ripetuto che il Re, una volta eletto dal popolo, ha il diritto di fare quel che più gli pare.

E' un Re che viola il patto sociale quello che per mantenere la corona rinuncia a comportarsi da sovrano; un Re inutile, un usurpatore, quello che con la propria inoperosità fa regredire la società allo stato di natura dove regna l’arbitrio e dominano i più scaltri e i più violenti.

C’è solo un modo di dare una ragione a questi comportamenti di Berlusconi, ma bisogna uscire dalla politica e tornare al privato; sono le ultime bracciate disperate del naufrago che, stremato, sta per affogare. Inutile cercarvi la luce della razionalità; manca completamente come manca nelle sue esibizioni televisive di vecchio guitto impegnato a recitare un logoro copione o negli insulti, sempre più farneticanti, che lancia contro gli avversari politici.

Inutile cercavi una morale; non c’è altro che il tanfo di un cadavere politico ormai putrefatto.


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