Prospettive politiche: il Ventennio salviniano

par Fabio Della Pergola
venerdì 16 novembre 2018

Prima o poi.

Prima o poi pure il PD dovrà decidersi su cosa farà da grande. E quale leader si vorrà dare. Fino al 4 marzo ha dominato la prospettiva renziana finalizzata alla costruzione di un "fronte repubblicano" (à la Macron) che coprisse tutto l'arco democratico, dalla sinistra interna al PD (salvo fuorusciti) fino alla destra liberale e conservatrice di Forza Italia passando per i Radicali. Un fronte con finalità antisovraniste ed europeiste.

Questo progetto è uscito duramente sconfitto dalle elezioni politiche che hanno poi visto nascere il governo M5S-Lega. I successivi mesi hanno registrato (secondo i sondaggi) una crescita tumultuosa della Lega stessa che è arrivata quasi al raddoppio dei consensi.

La strategia politica di Salvini – unita alla fumosa inettitudine di Di Maio e dei ministri pentastellati – ha sancito l’affermazione di una destra reazionaria capace di cannibalizzare, come non era difficile prevedere, buona parte della destra conservatrice berlusconiana. Oltre a erodere consensi anche agli alleati di governo.

Nel mentre la sinistra radicale, che con la destra sovranista condivideva alcune tematiche economiche, non è risultata credibile ed ha subìto i contraccolpi della sconfitta reagendo nel classico modo di passare di scissione in scissione fino alla totale irrilevanza politica. E anche questo non era difficile da prevedere.

Come scrivevo il 2 marzo, due giorni prima delle elezioni, «LeU non è riuscita a incidere, nonostante i vari apporti in successione, sul corpaccione del partito democratico né a portare via voti (ad oggi i sondaggi si attestano sugli storici livelli delle liste di sinistra-sinistra) e mostra una intrinseca fragilità interna esposta al rischio delle tendenze centrifughe già ora evidenti e pronte ad esplodere nell’immediato dopo elezioni. Con alcuni, come Fassina, attratti dall'area Eurostop di Cremaschi (Potere al Popolo), altri che ammiccheranno ai Cinquestelle, altri ancora che tenteranno un rientro - purché non umiliante - nel PD. Tantomeno sarà utile a modificare gli assetti di governo l’ennesimo partitino di sinistra-sinistra, Potere al Popolo - ultimo nato di una serie di microscissioni dell'atomo marxista-leninista - capace di qualche idea aggregatrice fra centri sociali e movimenti antagonisti - ma nessuna capacità di compromessi politici e di programmi che chiunque sottoscriverebbe a occhi chiusi se solo avessero la minima possibilità di concretizzarsi; la lista è molto appesantita da una zavorra vetero-sessantottina dalle impresentabili simpatie financo staliniste (!) e ha forse qualche prospettiva di crescita futura, ammesso che regga alla distanza, ma resta sostanzialmente ridotta nell'irrilevanza politica nell'immediato».

La prospettiva che appare sempre più probabile ad oggi è quella di un ritorno alle urne – forse prima delle elezioni europee del maggio ’19 – con cui Salvini tenterà di monetizzare il successo ipotizzato dai sondaggi, rispolverando la coalizione di centrodestra con cui si era presentato al voto del 4 marzo. Coalizione che appare essere in grado di riunire nuovamente, sotto l’egida della Lega, sia l’ala berlusconiana che quella meloniana per costituire un nuovo governo di destra-centrodestra.

In questa ottica non può restare nulla del progetto renziano, se non qualche briciola della destra liberale, presumibilmente inferiore al 5% e peraltro controbilanciata immediatamente da equivalenti smottamenti a sinistra. Un progetto quindi che, se aveva più di una ragion d’essere il 4 marzo, nella nuova prospettiva non sembra averne più alcuna.

L’unica prospettiva che si apre – molto ipoteticamente – è un nuovo dialogo fra gli oppositori del governo che verrà: sinistre e M5S.

L’alternativa – in caso di mancato dialogo – è una frantumazione delle opposizioni, schierate l’una contro l’altra armata, e conseguente sopravvivenza senza problemi di un governo di estrema destra. Diciamo per un nuovo Ventennio.

Ma a che condizioni il dialogo sinistre-M5S potrà avvenire?

Dopo il bagno di umiltà richiesto al PD, il partito dovrà prendere atto che il progetto renziano non ha più alcuna possibilità di riuscita nella situazione attuale. E accantonarne perciò protagonisti e prospettive. Vedremo se saranno queste le conclusioni delle prossime primarie, ma i segnali che arrivano dal partito sono tutt'altro che coerenti e sembrano al contrario indicare una dura resistenza interna - o in alternativa una scissione - dei renziani.

Specularmente l’insuccesso dell’esperienza di governo sotto la guida di Di Maio – e l’esclusione dal governo salviniano a tutta destra che verrà – dovrà ipoteticamente imporre un bagno di umiltà anche al Movimento 5S che dovrà trovare la capacità di elaborare il delirio di onnipotenza vissuto fino al 4 marzo e prendere atto che il progetto grilliano di governare da soli con il 51% dei suffragi non è più raggiungibile (ammesso e non concesso che lo sia mai stato). Dovranno quindi essere accantonati protagonisti e prospettive di quella stagione a Cinquestelle.

Solo nel momento in cui queste due prospettive di revisione ed elaborazione del passato saranno portate a termine nei due diversi partiti si potrà immaginare un dialogo fra le due forze maggiori di opposizione. Con quale terreno programmatico condiviso si vedrà.

Ma né Renzi né tantomeno Grillo sembrano così indeboliti da poter essere tranquillamente accantonati. E se il primo potrà contare su alcune forze del mondo liberale alla riscossa (quindi con qualche prospettiva futura di poter riproporre un "fronte democratico"), il secondo potrebbe aver invece coltivato l’idea di causare – paralizzando l’opposizione – il collasso del “sistema”, cosa che già faceva parte della prospettiva messianica del progetto elaborato a suo tempo con Casaleggio.

Non appaiono perciò concrete le ipotesi di una aperta, sincera, esaustiva rielaborazione del passato recente. Il renzismo continuerà a perseguire una prospettiva centrista radicandosi in pochi fortilizi postilluministi a difesa dello statu quo ante e il grillismo continuerà a declamare onnipotentemente le sue tesi di riscatto populista, trovando ascolto e ragion d’essere nei territori sempre più scontenti e arrabbiati del Meridione. E trovando qui, forse, una sintesi con le formazioni dell’estrema sinistra radicale su temi sociali.

Se questa è la prospettiva delle future forze di opposizione alla destra di governo, sembra evidente che tra il perdurante arroccamento del PD e la prospettiva ribellistica senza alcuna prospettiva reale di incidere sulla realtà (se non quella di provocare alla lunga sommovimenti di piazza) del M5S, non esistono comuni terreni d'intesa.

A meno quindi di una riflessione seria all’interno di questi due partiti/movimenti, la prospettiva più realisticamente drammatica sembra dunque essere quella di un perdurante Ventennio salviniano.

Con meno pericoli sul fronte strettamente economico – con l’accantonamento delle impegnative richieste 5S sul reddito di cittadinanza anche i diktat europei saranno meno perentori – e molti più pericoli sul piano etico e culturale. Se il sovranismo monetario potrà essere messo tra parentesi – salvo portare lo scontro direttamente nel Parlamento europeo – altrettanto non accadrà per le forme più virulente di suprematismo a danno di migranti, rom, donne, gay e altre minoranze etnico-religiose e quindi genericamente dei "diritti civili" a favore dell'ottica reazionaria propria del tradizionalismo cattolico ultraconservatore. Affiancate da nazionalismo esasperato accompagnato da forme sempre più tossiche di revisionismo storico e di manifestazioni orgogliosamente neofasciste.

Se queste sono le prospettive, una preghiera - rivolta a PD e M5S - è d'obbligo: pensateci bene.

 

 


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