Pressione fiscale e mancata rivalutazione degli stipendi: ecco come impoveriscono i lavoratori

par Emilia Urso Anfuso
sabato 13 aprile 2019

Secondo un recente studio realizzato dall’ISRF Lab, l’Istituto Studi Ricerca e Formazione lavoro della CGIL, negli ultimi 10 anni gli stipendi degli italiani hanno perso mediamente 5.000 euro. Dipende dalla mancata rivalutazione in base all’aumento del costo della vita. Un tempo esisteva la scala mobile. Serviva proprio a rivalutare i salari di pari passo all’aumento dei prezzi.

Fu abolita nel 1992, sotto il governo Amato – colui che decise il prelievo forzoso sui conti correnti degli italiani, operato nottetempo – poi arrivò la crisi economica internazionale nel 2008, e nulla più ha avuto un senso logico.

L’abbattimento della capacità economica della classe media appare essere un progetto ben avviato e in via di stabilizzazione, questo è ormai palese. Non comprendiamo del tutto le ragioni che portano a voler impoverire il popolo, che contribuisce quotidianamente ad arricchire le casse dello Stato. Le scienze economiche probabilmente hanno un senso sconosciuto ai più. Gli scienziati economisti devono conoscere regole che non spiegano a nessuno, lasciandoci nell’ignoranza e nello sgomento.

Tornando al tema centrale: si tratta di un dato allarmante, in quanto stiamo parlando della capacità di acquisto degli italiani. Se questo potere cala e i prezzi aumentano, cadere in stato di povertà non è più un eventuale spauracchio ma un futuro certo e per molti.

A questa situazione, però, vanno aggiunte altre considerazioni, legate alla pressione fiscale sugli stipendie al peso globale dell’I.V.A. sugli acquisti.

Facciamo i conti della serva, prendendo come dato un reddito da lavoro da 15.000 a 28.000 euro annui, che corrisponde alla fascia media nazionale, tenendo presente che sono calcoli medi, essendo ogni singola busta paga un pianeta a parte, e che i calcoli sono un po’ diversi perché dipendono, anche, dalla composizione del nucleo familiare e da altri fattori.

Attualmente lo stipendio lordo è alleggerito dall’Irpef che pesa per il 27% per la fascia di reddito presa in considerazione. I contributi INPS la alleggeriscono – in base alla variabilità della situazione personale e familiare, come per esempio avere familiari a carico – e nel caso di lavoratori di aziende private, fino al 33%. Questo, sia ben chiaro, non è un esborso che si subisce per garantirsi la pensione, bensì per pagare le pensioni attuali e, come sappiamo, non è molto chiaro e garantito il futuro del sistema pensionistico nazionale.

Sottraendo questo due voci, le più pesanti, e ponendo il caso della pressione previdenziale maggiore, ciò che resta in tasca al lavoratore è più o meno il 40%.

Tutto qui? No. Questo è quanto rimane dopo aver tagliato le imposte più sostanziose e i contributi previdenziali.

A questo punto, il lavoratore utilizzerà il salario per spenderlo nelle varie voci che, mensilmente, rientrano nel bilancio familiare. Qui arriva un’altra bella sforbiciata alla capacità economica dell’italiano medio, rappresentata dall’I.V.A. – in percentuale variabile fino al 22% - calcolata su ogni bene e servizio che acquista ed ecco, quindi, che l’erosione della capacità economica aumenta in maniera esponenziale.

Insomma: col sudore della fronte, oggi in Italia è diventato impossibile accantonare risparmi, garantirsi il futuro, ambire alla meritata pensione. Si lavora oltre sei mesi l’anno per mantenere lo Stato più spendaccione d’Europa. Altro che ripresa, altro che uscita dal tunnel. Come può una nazione che impoverisce i lavoratori sperare nella ripresa economica? Se calano i consumi, se i lavoratori stentano a tirare avanti, va da se che resterà un’utopia.

Se a questo aggiungiamo che all’orizzonte non s’intravvedono misure dedicate alla crescita economica e alla stabilizzazione dei conti pubblici, è d’obbligo chiedersi verso dove stiamo andando e cosa possiamo attenderci dal futuro a breve e medio termine dei lavoratori italiani. Non stupiamoci se molti lavorano a nero, preferendo – lavoratori e datori di lavoro – non dover sopportare questa enorme pressione fiscale.

Continuando di questo passo, arriverà il giorno in cui qualcuno penserà di proporre una legge che obblighi i cittadini italiani a versare i propri risparmi direttamente alle casse del tesoro, e di lavorare, senza stipendio, per mantenere in piedi il carrozzone nazionale.

Fantascienza? Mica tanto. Non sono pochi i casi di impiegati pubblici costretti a lavorare senza stipendio per mesi, o lavoratori delle imprese private nella stessa condizione. La china intrapresa non è buona. Qualcuno pensi, seriamente, a come arginare tutto questo.

A cosa può servire affamare la popolazione se lo Stato dipende direttamente da essa?

Qualcuno risponda.


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