Presidente Monti, a quanto ammontano i “derivati” del Tesoro?

par Giorgio Zintu
martedì 20 marzo 2012

“Il debito è costituito da biglietti, monete e depositi, titoli diversi dalle azioni – esclusi gli strumenti finanziari derivati – e prestiti, secondo le definizioni del SEC 95”. Parliamo naturalmente del debito pubblico che è la somma delle passività consolidate secondo il Dipartimento del Tesoro, in cui però non sono conteggiati i derivati.

Si tratta di strumenti finanziari, affermatisi negli ultimi vent’anni con la diffusione di informatica e telematica, sotto l’abile regia delle solite Goldman SachsMorgan Stanley o Citibank.

Michel Moore ne ha saputo descrivere gli effetti perversi in “Capitalism: a love story”, dove un ex dirigente di Lehman Brothers parla dei derivati come di “una seconda scommessa su un prodotto precedente” dove “il prezzo si basa sul prezzo di qualcos’altro, quindi una sorta di equazione di secondo grado”. Insomma un “folle Casinò”. Ma se i derivati sono una “scommessa”, un esperto come Giancarlo Marcotti su Soldi on line, nel 2008, la definiva molto pericolosa, un po’ “come partecipare ad un gioco. E nei giochi chi non ha il banco perde facilmente”.
 
Un pericolo questo che sembra essere stato sottovalutato, visto che i derivati sembrano mietere vittime non solo tra privati esperti di finanza ma anche tra gli stati sovrani ed enti locali. E l’anomalia sta nel fatto che, pur essendo strumenti utilizzabili correntemente, essi non compaiono nel debito pubblico e, almeno in Italia, non se ne conosce l’ammontare.
 
Addirittura pochi giorni fa, IFR International Financing Review (Thomson Reuters) titolava: UPFRONT: Show us your swaps, Mario. Una richiesta esplicita al Presidente Mario Monti di indicare quale sia l’entità dei derivati in possesso del Tesoro. Così anche il Fatto quotidiano, citando Bloomberg, afferma che “nel mese di gennaio lo Stato italiano avrebbe versato 3,4 miliardi di dollari nelle casse della banca d’affari Usa Morgan Stanley per chiudere i contratti in essere sul mercato dei derivati”. Di questo rimborso, confermato da parte americana, mancano invece riscontri precisi da parte del governo, nonostante i solleciti.
 
Ma qualcosa cambia, perché ora è la volta del mondo accademico che vuole chiarezza su questi derivati, sulla loro dimensione. Lo fa dal suo blogGustavo Piga della Facoltà di Economia di Roma Tor Vergata, che dodici anni fa scrisse il saggio Derivatives and Public Debt Management, che si può leggere qui. In questo studio il professore ha trattato l’uso “improprio (ma non illegale) che alcuni Governi dell’Unione europea fecero degli strumenti derivati per entrare nell’area dell’euro riducendo in maniera poco trasparente la loro spesa per interessi”.
 
Ecco quindi una chiave di lettura dei motivi che hanno spinto l’Italia, ma anche altri Stati, pensiamo alla Grecia, a ficcarsi dentro una trappola finanziaria che può determinare conseguenze imprevedibili, non ultima la perdita o una forte limitazione della sovranità nazionale.
Ma vediamo quali sono le ragioni dell’allarme lanciato dal professor Piga il quale avanza una richiesta di trasparenza sull’entità dei derivati basata su tre punti principali:
 
a) La Banca Centrale Europea di Mario Draghi faccia quello che non ha fatto la Banca Centrale Europea di Jean-Claude Trichet in questi anni e risponda all’interrogazione dell’agenzia di stampa Bloomberg sui contenuti dello/degli swap greco. Non vi è nessuna ragione al mondo per mantenere il segreto su quanto avvenne allora. Vi sono una buona decina di ragioni per essere trasparenti al riguardo.
b) La Commissione europea pubblichi tutti i dati dei derivati dei paesi dell’Unione europea dal 1990 ad oggi e renda obbligatoria da ora in poi la pubblicazione sui siti europei e nazionali delle nuove operazioni di derivati.
c) Il Governo Monti anticipi la Commissione europea e rimuova ogni ambiguità rivelando tutte le posizioni aperte in derivati ed il loro valore di mercato da parte del Governo italiano.
 
Ma se poco si sa di una storia che coinvolge o meglio finisce per sconvolgere la vita di milioni di cittadini è perché l’informazione, con le poche note eccezioni, si è tenuta alla larga dal tema. Qui in Italia si avverte l’assenza di network indipendenti, spesso gli editori sono gruppi finanziari o industriali nei quali appare difficile capire il confine etico tra attività così diverse. E la politica non ha saputo o voluto porre rimedio a tutto questo. Quindi appare del tutto condivisibile l’appello che Gustavo Piga rivolge alla stampa europea affinché essa chieda a tutti gli organismi europei la pubblicazione dei dati sui derivati di tutti i paesi e ai giornalisti affinché pongano, ad ogni conferenza stampa del Presidente del Consiglio o di rappresentanti del Ministero di Economia, la domanda sull’entità dei derivati e che i quotidiani la mantengano in prima pagina sino a quando il Governo non avrà risposto.
 
E non possiamo non condividere la conclusione del professor Piga “Tanto meritano i cittadini italiani. Nulla di più nulla di meno.” Se il presidente Monti intende davvero cambiare l’Italia in meglio anche gli Italiani attendono un nuovo atteggiamento da parte del Governo, improntato alla trasparenza. In caso contrario continuerà ad esserci una zona d’ombra dove l’ipocrisia e gli alibi alimentano una crescente ed evidente separazione tra cittadini e palazzo e dove “il palazzo” non è dei cittadini.
 
Ma comunque la si voglia inquadrare, questa vicenda dei derivati mette in luce un punto debole delle democrazie degli stati nazionali, messe costantemente sotto scacco da Goldman Sachs, Morgan Stanley, società di rating e da quella cheThomas Friedman nel lontano 1999 definì profeticamente “la mandria elettronica”. Un insieme di persone che non ubbidiscono ad altri valori che il denaro. Ma le democrazie hanno ancora gli antidoti sufficienti per combattere i virus da cui sono insidiate oppure saranno destinate ad affondare in una peste finanziaria?

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