Piero Marrazzo. "Intercettato, pedinato e... incastrato"

par morias
lunedì 26 ottobre 2009

L’indagine che coinvolge il Governatore del Lazio è partita in seguito ad intercettazioni nelle quali si evidenziavano collusioni tra militari appartenenti all’arma dei carabinieri ed esponenti del clan dei Casalesi in ordine a partite di droga che venivano fatte giungere nella capitale.

Stiamo assistendo negli ultimi mesi ad un’escalation di denunce dirette a screditare uomini politici e giornalisti finiti nell’occhio del ciclone della "sessocrazia".

Risalgono a poche settimane addietro le parole del direttore de "Il Giornale", di proprietà della famiglia Berlusconi e diretto da Vittorio Feltri, "non svegliamo il can che dorme" indirizzate al Presidente della Camera Gianfranco Fini, in merito a presunti dossier a luci rosse che vedrebbero coinvolti autorevoli esponenti ex Alleanza Nazionale, e forse lo stesso Fini.

Più che un articolo di cronaca, quelle di Feltri sono sembrate agli occhi di molti delle vere e proprie minacce, contro le quali la terza carica dello Stato ha subito risposto agendo per le vie legali, querelando il quotidiano di proprietà del Presidente del Consiglio.

Gianfranco Fini si era meritato l’attenzione di Feltri in seguito alle critiche mosse al suo giornale a causa della vicenda dell’ex direttore del quotidiano "Avvenire", Dino Boffo. Feltri aveva pubblicato una, chiaramente falsa, nota informativa, di non si sa quali servizi di polizia, nella quale si diceva che Boffo era stato attenzionato anche "a causa delle sue note tendenze omosessuali".

Abbiamo assistito pertanto ad una mercificazione dell’informazione diretta a colpire, e a ridurre al silenzio personaggi scomodi. 

Erano settimane che Boffo interveniva puntualmente nella cronaca politica chiedendo maggior etica e moralità in ordine alle note vicende che hanno visto coinvolto lo stesso Presidente del Consiglio in seguito alle dichiarazioni rilasciate alla Procura di Bari dall’escort Patrizia D’Addario, e riprese dal quotidiano "El Pais" prima e dalla trasmissione di Santoro "Annozero", che per la prima volta in Italia ha intervistato la stessa D’Addario, scatenando l’ira furiosa degli "uomini del Premier", primo fra tutti Claudio Scajola.

La lunga scia di intimidazioni facendo leva sulle"debolezzedegli uomini politici è arrivata a colpire il Governatore della Regione Lazio, Piero Marrazzo, autosospesosi dall’incarico, in attesa delle dimissioni.

Non vogliamo essere noi a sindacare o a condannare le "tendenze sessuali" di Marrazzo, né siamo interessati a criminalizzare moralmente coloro che frequentano le transessuali, sta di fatto che se di colpa si può parlare, in questo caso quella che attribuiamo al Governatore è di aver taciuto e di non aver denunciato alle competenti autorità quanto era successo.

Marrazzo farebbe bene a dimettersi per dare un chiaro esempio di correttezza, per non sfiduciare ancora di più l’opinione pubblica, la quale non può essere guidata dall’ombra del sospetto che le responsabilità politiche siano indirizzate da un’eventuale mano invisibile che si fonda sul ricatto. 

La cosa che riteniamo grave è che l’estorsione, il ricatto a mezzo video, girato molto probabilmente con un telefonino, e le minacce siano arrivate da militari, da carabinieri. Possiamo essere certi che si tratta solo di "quattro mele marce"? Oppure non si tratti invece di un’organizzazione più ampia con diversi livelli di responsabilità?


Già tra il 2005 e il 2006 il Governatore del Lazio era stato fatto oggetto di indagini illegali miranti a screditarlo politicamente agli occhi degli elettori.

Presunti agenti dei servizi avevano intercettato e pedinato sia Marrazzo che la sua famiglia, erano state condotte inchieste attraverso la violazione dei dati digitali del Viminale, si sono ricostruiti i movimenti bancari del Governatore attraverso le carte di credito, era stato violata l’anagrafe tributaria alla ricerca di informazioni patrimoniali e immobiliari che potevano aver lasciato qualche traccia al fine di incastrare Marrazzo e comprometterne la sua ascesa politica.

L’azione illegale era stata diretta anche nei confronti di Alessandra Mussolini, con il chiaro intento di favorire la vittoria elettorale di una precisa parte politica.

Si è trattato di un vero e proprio spionaggio politico, il "Laziogate".

La Procura di Roma che sta tentando di ricostruire l’intera vicenda, e che per il momento ha disposto gli arresti in carcere dei quattro carabinieri coinvolti, non ritiene una coincidenza il fatto che subito dopo la pubblicazione delle notizie l’auto della ex moglie e della figlia di Marrazzo siano state fatte oggetto di atti vandalici.

L’inchiesta della stessa Procura, al momento, vede il Governatore quale parte offesa, quale vittima dell’estorsione e del ricatto. E’ strano però che oggi una rilevante parte politica e la stampa filo-berlusconiana chieda a gran voce le dimissioni di Marrazzo, che al momento è vittima, e che nessuno abbia chiesto le dimissioni del Presidente del Consiglio.

Non ci sembrano paragonabili le vicende laziali con quelle del Cavaliere, e le une non possono giustificare le altre.

Nel caso di Silvio Berlusconi stiamo parlando di prestazioni sessuali in cambio di favori politici, certo ancora tutti da accertare da parte della Procura di Bari. Favori che avrebbero portato alla candidatura di ragazze che nulla sapevano di politica e di governo del territorio. 

Stiamo parlando della candidatura di Patrizia D’Addario alle ultime elezioni nella lista "La Puglia prima di tutto", lista facente capo all’attuale Ministro per gli Affari Regionali Raffaele Fitto, e collegata al PDL.

Si invocano a gran voce le dimissioni di un uomo che è, suo malgrado, vittima, e non si chiedono le dimissioni di chi, come il Presidente del Consiglio, è implicato in una moltitudine di procedimenti penali per corruzione.

Procedimenti penali dai quali per il momento si è salvato grazie al suo incarico di governo, e grazie all’appoggio della sua maggioranza parlamentare tutta tesa ad approvare nuove leggi in materia di giustizia miranti a far prescrivere i reati per i quali è imputato. 


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