Piccole storie di ordinaria follia – Alla cancelleria

par Bernardo Aiello
sabato 9 ottobre 2010

Sovente i fatti della vita di tutti i giorni sono più interessanti e più ricchi di punti di riflessione rispetto alle vicende della politica nazionale, Berlusconi si e Berlusconi no, e così via dicendo; storie di ordinaria follia, piccole ma significative.

Quella di oggi si svolge alla cancelleria del Giudice di Pace (e così abbiamo sgombrato ogni dubbio su possibili addentellati con la Germania, dove è detto cancelliere il primo ministro). Siamo molto più modestamente in un deprimente edificio a più piani, che ha abbandonato la sua originale destinazione d’uso di edilizia residenziale per accogliere uffici ed aule di questo nuovo modo che lo Stato ha trovato per amministrare la giustizia, nominando giudici (per cause civili di minore importanza) alcuni avvocati o, comunque, soggetti addentrati nel mondo del diritto.

Il vostro cronista si trova a salire le scale dell’edificio sino al piano in cui vi è la cancelleria, dove sono tenuti e gestiti i fascicoli dei vari processi.

Chiede ad un giovane ma esperto impiegato, e perciò cancelliere, di prendere visione della sentenza di un processo che, dopo tanto tempo, il Giudice di Pace avrebbe dovuto aver emesso. La prima imbarazzata risposta è «Lei dovrebbe rivolgersi al suo avvocato». Faccio presente che, trattandosi di un banale incidente automobilistico, l’avvocato non è il mio avvocato, ma quello dell’Assicurazione. Assicurazione con cui ormai da tempo non ho più rapporti. Infatti, a smentire chi afferma che con l’introduzione del Giudice di Pace la giustizia civile ha avuto una forte accelerazione, il sinistro in questione è avvenuto nel 2007 e la sentenza è stata emessa tre anni dopo nel 2010. Altra obiezione : «Ma lei è una delle due parti?» e anche questo ostacolo è insuperabile perché il proprietario dell’autovettura è un congiunto, parte in causa insieme all’Assicurazione. Conclusione: «Se è così non posso nemmeno darle notizie : me lo impedisce la legge sulla privacy». Il vostro cronista ammette il torto e si allontana con la coda in mezzo alle gambe.

Eppure, le sentenze, non sono atti pubblici? Non son emesse «nel nome del popolo italiano», cui anche il vostro cronista appartiene? E l’amministrazione della giustizia, è fatta per quanti ci lavorano (spesso con ben congrui guadagni) o per il cittadino ? Quest’ultimo, il citoyen uscito dalla Rivoluzione Francese, non ha il diritto di sapere come viene amministrata la giustizia nella pratica per dirigere al meglio le proprie azioni? Oppure deve vivere nell’incertezza per tutto quello che fa, rassegnato che, a cose fatte, un avvocato ed un giudice, togato o di pace, decidano a posteriori se ha fatto il giusto oppure no? Quando due soggetti decidono di affidare al giudizio dello Stato una controversia, quest’ultima resta nella sfera privata oppure diviene di pubblico dominio? Perché questa opacità dello Stato nell’amministrazione della giustizia, resa cosa esclusivamente per addetti ai lavori? Tutte domande che non trovano risposta.

L’impressione del vostro cronista è che anche questa sia una piccola storia di ordinaria follia; una delle tante che ci accadono tutti i giorni e su cui siamo usi passare avanti, facendo finta di niente e sperando che, prima o poi, la finiranno di trattarci come sudditi e cominceranno a trattarci come cittadini, titolari di diritti e di doveri ben chiari e precisi e da tutti riconosciuti.


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