Piccola patria (Veneto verace)

par angelo umana
lunedì 14 aprile 2014

Film notevole, un atto d'accusa terribile e spassionato che, con viste dall’alto e d’insieme – il nostro nord-est che per traffico, strade e traffico aereo parrebbe tendere un po’ a una Silicon Valley – e numerose riprese con camera ferma, osservative o a seguire i personaggi, diventa particolareggiato. Scende nelle viscere del tessuto sociale, della Piccola patria che, viste le brutture interne, sarebbe letale lasciare sola, indipendente (v/ referendum recente dei veneti).
 
Vàrdate intorno” dice una canzone dialettale della colonna sonora, che ne comprende altre di un rock in dialetto veneto molto belle e originali. Guardati intorno ma guardati dentro casa, troverai il nemico in te stesso e anche nella tua famiglia. Non cercarlo sempre nel prossimo e, ça va sans dire, negli immigrati, nei “foresti di merda, specie di animali”: i negri cattolici che tutte le domeniche vanno a messa e poi fanno feste di tutti i colori, come i loro vestiti, o gli arabi che ci vanno di venerdì, o gli albanesi invece non ci vanno mai, ma in compenso rubano le macchine. Noi invece: “Credo in un solo Dio” e l’attestazione di fede fatta dalla comunità italiana la domenica, rito abitudinario e scontato, suona come un monito, chissà qual è quel Dio, fatto a immagine e somiglianza nostra, dei nostri comodi, della nostra moralità elastica


 
Una Piccola patria guardata così internamente da renderla vulnerabile a ogni critica da parte di chi osserva. Il regista Alessandro Rossetto disegna in modo originale e molto aperto personaggi non abbelliti dalla cinepresa, non truccati ma anzi nudi con le loro magagne, alle prese con le loro aziende e schiavi dei loro modi di pensare, le loro sagre che sembrano texane, come qualcosa di americano ha il porto d’armi e le lezioni di tiro che si procura il papà di una delle protagoniste, Luisa. Questa si fa ritrarre dall’amica Renata in scene di sesso col suo fidanzato albanese Bilal, bendato, e il mentecatto Menon che poi ricatteranno; quest'ultimo per coltivare il suo vizio ruba i soldi alla sorella, titolare di una lavanderia industriale. Ventimila euro riesce a spillargli Renata, i soldi sempre i soldi, l’ossessione con cui si cresce qui, “te piasen i schei” le dice l’uomo dopo gli incontri. Naturalmente, nella logica della moralità a propria misura, costui và in chiesa, come ogni "buon cristiano", legge le preghiere dal leggìo dell’altare, e nel messale qualcuno gli fa trovare foto dei suoi incontri “proibiti”
 
Pare di poter dire che la grande assente, nella comunità che ruota attorno all’hotel a 4 stelle Antares – poco importa se siamo a Verona Rovigo Treviso o Gorizia (località citate nei titoli di coda) - sia la cultura, intesa come istruzione, elevarsi a voler capire l’ambiente attorno a sé, “vardarse entorno”. I veneti mostrati qui sono vecchi, seduti, rigidi nelle convinzioni e prevenuti. Davvero di gran livello le interpretazioni del papà di Luisa (Mirko Artuso), il più seduto; del torvo Menon (Diego Ribon) dai “vizi privati e pubbliche virtù”; delle donne che stanno accanto a questi uomini (Lucia Mascino e Nicoletta Maragno), che cercano di tenere insieme le famiglie e salvare le apparenze. Interessante l’immagine dell’anziano e saggio Giulio Brogi, dal quale le due ragazze prendono occasionalmente consiglio, (“Finché siamo vivi abbiamo tutti la stessa età”).

Azzeccato il ritmo del film, lento abbastanza da creare un clima cupo e un dissolvimento sociale incombente. Il colpevole c’è, sono i "negri", gli stranieri… abbiamo bisogno di qualcuno da incolpare (come ne "Il sospetto" e ne "La quinta stagione").


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