Peter Gomez e Leo Sisti condannati a risarcire Dell’Utri

par Federico Pignalberi
mercoledì 23 febbraio 2011

La condanna in appello dopo l’assoluzione in primo grado. I due giornalisti avevano raccontato le trattative politiche tra Dell’Utri e Cosa nostra, le indagini per droga a carico del senatore e i suoi contatti con i fratelli Graviano. Secondo la Corte gli articoli raccontano fatti veri, ma sono lo stesso diffamatori. Gomez: "Sentenza sconcertante".


Avevano scritto due articoli sul passato grigio di Marcello Dell’Utri, che li ha querelati per diffamazione. In primo grado erano stati assolti, adesso la terza sezione della Corte di Appello penale di Roma li ha prescritti e condannati a risarcire al braccio destro di Berlusconi 50mila euro di danni più le spese. Le motivazioni della sentenza sono state depositate il 2 febbraio.

Il processo riguarda due articoli pubblicati su L’Espresso nel marzo del 1999. Il primo, a firma del solo Leo Sisti, parlava delle indagini per traffico di stupefacenti a carico di Dell’Utri che, tramite Vittorio Mangano, «socio in affari di droga», «sarebbe stato disponibile a finanziare una partita di cento chili di cocaina colombiana». La notizia era vera, ma secondo la Corte l’articolo sarebbe diffamatorio perché Sisti non aveva scritto che il GIP aveva respinto la richiesta di arresto per partecipazione ad associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti a carico di Dell’Utri «per insufficienza di gravi indizi di colpevolezza». Nello stesso articolo Leo Sisti scriveva che Vittorio Mangano «andava a cena nei ristoranti milanesi con Dell’Utri e alcuni pericolosi mafiosi» e cercava «aiuto dall’amico Marcello perché, Berlusconi premier, si facessero leggi meno pesanti per gli uomini d’onore». Nonostante lo stesso Dell’Utri abbia ammesso cene con Mangano e altri esponenti di Cosa nostra a Milano negli anni settanta, la Corte ha ritenuto queste frasi «una gratuita insinuazione», «una circostanza meramente asserita senza alcun riscontro negli atti giudiziari». Eppure Dell’Utri era sotto processo da quasi tre anni proprio per quegli incontri con Mangano fino a prima delle elezioni politiche del '94. Soltanto il giudizio di appello di questa estate ha ritenuto quelle accuse infondate (e il pg ha presentato ricorso contro la sentenza per manifesta illogicità delle motivazioni).


Il secondo articolo («pastone», lo definisce con disprezzo la Corte), scritto a quattro mani da Leo Sisti e Peter Gomez, raccontava i rapporti tra Dell’Utri, alcuni boss mafiosi operanti a Milano e i fratelli Graviano, «considerati strateghi» della «stagione delle bombe», che «secondo alcuni pentiti, vanterebbero contatti anche con l’entourage di Dell’Utri». Da allora i pentiti che hanno riferito dei rapporti tra Dell’Utri e i Graviano si sono via via moltiplicati e le agende del senatore hanno dimostrato contatti diretti tra l’ideatore di Forza Italia e i favoreggiatori della latitanza dei due boss stragisti. Anche la Corte ammette che i fatti raccontati nell’articolo sono veri, ma non le basta: «Reputa questa Corte che non sia sufficiente per la legittimità delle affermazioni dei giornalisti sotto il profilo dell’esercizio del diritto di cronaca, il rilievo che i dati riferiti nell’articolo siano ricavati da atti giudiziari veri». Testuale. Secondo i magistrati «le insinuazioni» e «le allusioni» dei giornalisti, nonostante si riferiscano a notizie vere, bastano a giustificare una condanna per diffamazione, risparmiata ai due cronisti solo grazie alla concessione delle attenuanti generiche.

Rimane il risarcimento dei danni a Dell’Utri, che si costituì parte civile nel processo, liquidati dalla Corte in 50 mila euro. Peter Gomez, oggi direttore de ilfattoquotidiano.it, contattato da AgoraVox, ha dichiarato di non essere stato informato della sentenza: «Dall’Espresso non mi avevano avvertito, lo apprendo ora da voi. Le motivazioni della sentenza sono sconcertanti: dicono che quello che ho scritto è tutto vero. Mi condannano per avere scritto dei rapporti politici tra Dell’Utri e Cosa nostra che erano il capo d’imputazione per cui Dell’Utri in quel momento era sotto processo. Faremo sicuramente ricorso in Cassazione. Ho scritto centomila articoli e può capitare di sbagliare, ma questa volta abbiamo ragione».


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