Peste colga gli astenuti!...

par Alfonso Mandia
mercoledì 16 maggio 2012

Ogni volta, appena si comincia a respirare clima da campagna elettorale, si infuocano le discussioni in rete non appena tira fuori la cocuzza qualche improvvido pioniere che scrive che neanche a questo giro si recherà a votare.

Già a questo stadio le reazioni di solito sono furibonde, fioccano accuse di qualunquismo, di connivenza con il potere costituito, sconfinando a volte nell’accusa a cielo aperto dii tradimento dei valori nazionali, “Perché c’é gente che c’è morta, per darti la possibilità di esprimere il tuo voto!”, è quella che si sente e legge più spesso.

Se poi sempre l’improvvido di cui sopra, per sovrappiù, si permette anche di rispondere che a votare non ci va da almeno vent’anni, il che, concludono i sagaci inquisitori che a turno si spupazzano la vittima con commenti che rasentano la genialità, vuol dire che l’avrai fatto sì e no tre o quattro volte, nella vita, allora inizia ad investirti una tempesta magnetica di proporzioni ciclopiche.

Tre o quattro volte, giusto il tempo, per un essere umano di media intelligenza, per capire che è tutta una buffonata, la storiella delle libere elezioni nello stato democratico di Banana City.

Il non-voto, per costoro, gli inquisitori, è la quintessenza pasticcera di vigliaccheria mista ad ignoranza, il tutto innaffiato con una robusta spruzzata di qualunquismo e ipocrisia.

Eppure, correggetemi se sbaglio, il non-voto a me pare la giusta conclusione di un percorso che ti porta a dichiarare a viso aperto, è l’atto stesso che lo fa, che non legittimi nessuno dei fetenti che si fan fotografare il grugno dai giornali con un voto, e che qualsiasi sia il tipo di delinquente che pianterà gli artigli sulle spoglie di questo disgraziato paese ti ritroverai a far sempre le medesime battaglie.

Ed è qui, credo, che casca rovinosamente l’asino.

Perché il punto è che se quell’azione viene poi abbandonata a se stessa nel quotidiano, senza prendersi l’onore e l’onere di dar seguito pratico a quello che si è dichiarato con tanta convinzione, e quindi vivere la propria esistenza secondo scelte che nel migliore dei casi vengono sbeffeggiate come fantasie utopistiche e vagamente adolescenziali, resta un atto di semplice dichiarazione d’intenti, neanche una testimonianza, ché quella già sarebbe in qualche modo ricordata, forse, per qualche tempo.

Ma forse è tutto molto più semplice e lineare. Magari il vero cuore del problema sta nell’aspettarsi, da un popolo che ha invidiato, spiandoli dalla finestra del tinello, vent’anni di circo Barnum di Silvio Berlusconi, e che sembra maturo per consegnarsi nelle mani della versione maschile della premiata ditta Wanna Marchi, un atto tanto spregiudicato e coraggioso.

Tempo fa, chiacchierando con il perfetto prototipo di cinquantenne con famiglia e mutuo a carico, gli domandai quale fosse, nei suoi ricordi, il periodo più bello della sua vita: “Il militare. Mi potevo sfangare anche quaranta chilometri di marcia con cinquanta gradi all’ombra e trenta chili di zaino, ma c’era sempre qualcuno che mi diceva cosa fare” .


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