Perché uscire dall’Euro non risolve (ma aggrava) i nostri problemi

par Libero Mercato
venerdì 18 aprile 2014

"Populismi di tutta Europa, unitevi!" sembra lo slogan preferito dai movimenti e partiti euro-scettici che si preparano alle elezioni europee del 25 maggio. Dall'Italia alla Grecia, dall'Ungheria alla Finlandia, il filo conduttore comune è diventato negli anni l'attacco all'Unione intesa come istituzione e la sfiducia verso la sua diretta emanazione, la moneta unica. In una strana combinazione di nazionalismo, patriottismo e difesa delle sovranità nazionali, l'euro è assurto a capro espiatorio della crisi finanziaria ed economica, che è ancor prima una crisi geopolitica.

Nel nostro paese la Lega Nord di Matteo Salvini, che deve recuperare un pesante deficit di credibilità, ed in misura maggiore il Movimento 5 Stelle, cavalcano l'onda lunga della protesta, auspicano il ritorno alla Lira come la panacea di tutti i nostri mali. Ma è davvero così? È sufficiente uscire dall'Euro perché l'Italia recuperi il pesante gap di produttività e competitività che si è cumulato nel tempo?

Prima di dare una risposta conclusiva, fermo restando che non esistono verità assolute scolpite sulla pietra (come gli euro-scettici invece vorrebbero far credere), analizziamo nel concreto quelle che potrebbero essere le conseguenze, dirette e non, di una decisione storica di così ampia portata. Partiamo da un punto in comune su cui gli euro-scettici non hanno tutti i torti: l'Euro ha un valore troppo elevato per l'export italiano

Secondo gli economisti di Morgan Stanley potremmo reggere un cambio con il dollaro a 1,19 ma oltre questa soglia ne soffriremmo. Oggi il rapporto con il biglietto verde viaggia intorno a 1,38, un livello considerato eccessivo. Tornando alla Lira, con la conseguente pesante svalutazione, il nostro export riacquisterebbe terreno e le nostre imprese potrebbero competere meglio nel mondo. Ma una moneta svalutata aumenterebbe il costo dei beni importati, che da noi sono soprattutto le materie prime: i rincari sulle bollette energetiche di aziende e famiglie sarebbero molto elevati. Allora dobbiamo chiederci: il vantaggio che avremo dall'aumento dell'export compenserebbe i maggiori costi per l'import? Se consideriamo che le esportazioni pesano per il 30% sul Pil mentre le importazioni circa il 28% potremmo ottenere un lieve miglioramento ma è difficile fare una valutazione ex ante di cosa accadrebbe con una Lira debole. In Argentina la forte svalutazione a seguito del default del 2001 ha fatto perdere il 4,5% del Pil prima che si innestasse la ripresa. 

Un'altra conseguenza sarebbe l'aumento dell'inflazione causato dal caro-energia, che costringerebbe la Banca d'Italia ad aumentare i tassi d'interesse, restringendo la liquidità alle banche con il rischio di inasprire ancora di più il grave fenomeno del "credit crunch".

Il pericolo principale

Quando in Italia ha fatto il suo ingresso la moneta unica tutti debiti (privati e dello Stato) si sono trasformati senza nessun problema, mentre il cambio inverso sarebbe molto più complicato poichè se prima la Lira era completamente sparita nel secondo caso l'Euro continuerebbe comunque ad esistere negli altri paesi. Questo avrebbe un impatto negativo su imprese, banche ed Enti locali che hanno emesso prestiti obbligazionari sui mercati internazionali, che rimarrebbero denominati in Euro. I bond delle aziende italiane, infatti, sono in gran parte sottoposti alla legge ed alla giurisdizione inglese. Se non si trovasse un accordo consensuale per l'uscita di un Paese dall'euro per questo tipo di obbligazioni la Corte inglese chiederebbe il rimborso con la moneta unica, con una svalutazione di circa il 46%. Immaginiamo la crisi che si potrebbe innestare in un' impresa che detiene un fatturato in Lira, fortemente deprezzata, ma con debiti in Euro, più forte: un aumento insostenibile del debito che rischierebbe di trascinarne la maggioranza in stato di default

Questo riguarderebbe anche la montagna di 1.700 miliardi di euro di Btp, Bot e CCt sottoposti alla legge italiana, che non si potrebbero trasformare all'improvviso in lire, poichè se un emittente di titoli di Stato cambia arbitrariamente le condizioni dei titoli farebbe scattare in automatico il default

Stiamo parlando sempre nel caso di un'uscita unilaterale dell'Italia dall'Euro, una situazione diversa sarebbe se ovviamente l'euro stesso venisse cancellato dalla faccia della terra, allora si potrebbero stipulare accordi internazionali per gestire meglio i pagamenti dei bond dei debitori. Ma un paese da solo si darebbe letteralmente la zappa sui piedi.

L'euro è la causa di tutti i mali?

Per chiuedere il nostro ragionamento poniamoci un'altra domanda, che spesso viene abilmente evitata dagli scettici anti-euro: siamo sicuri che tutti i nostri problemi derivino dall'Euro? Per molti italiani la percezione è che "quando c'era la lira si stava meglio". In realtà con la nascita della moneta unica sono avvenuti in contemporanea almeno altri due cambiamenti di portata storica: la dinamica del debito e la globalizzazione

Facciamo un rapido tuffo nel passato. Nel 1983 l'Italia aveva un debito pubblico pari al 68% del Pil, un livello che farebbe invidia oggi perfino alla Germania. Nei 15 anni successivi il nostro Paese non ha però interrotto questa spirale, anzi: il 31 dicembre 1998, quando è nato l'euro, il nostro debito aveva raggiunto il 114% del Pil. Per 15 anni l'aumento esponenziale della spesa pubblica ha dato una sensazione generale di maggiore benessere. Lo Stato poteva assumere, dare appalti, spendere, e così via. Con l'ingresso della moneta unica l'Italia si è ritrovata di colpo circondata dai problemi che essa stessa aveva creato nel tempo: troppi debiti, troppi sprechi e scarse risorse

Come se non bastasse, la nascita dell'euro e l'abbassamento dei tassi ha favorito la crescita esponenziale del debito privato. Secondo una ricerca elaborata dal Centro Studi di Intesa Sanpaolo, dal 2000 al 2012 la quantità di credito concesso dalle banche alle imprese è raddoppiato. Anche questo ha inevitabilmente creato una percezione di maggiore ricchezza generale: quando si ottengono prestiti si hanno più soldi. Purtroppo anche le imprese si sono comportate male come lo Stato: mentre il loro debito raddoppiava, la produzione industriale calava del 20%, gli investimenti aumentavano solo del 10%. Quando si arrivò al culmine della crisi, con il fallimento di Lehman Brothers, lo stato italiano non aveva più risorse per indebitarsi e le banche hanno smesso di finanziare le aziende. Il caro euro ha di certo contribuito ad aggravare i problemi, ma questi hanno radici più solide e ben lontane. 

L'altro evento storico da non sottovalutare affatto è stato il processo della globalizzazione ed il fenomeno dei paesi emergenti. Negli anni 80 la Cina contava per meno del 2% del totale delle esportazioni internazionali. Quando è nato l'euro, nel 1998, la sua "quota" nel mercato globale era ancora ferma al 3,5%. Oggi il gigante asiatico conta circa il 12%, senza considerare l'arrivo degli altri paesi emergenti. L'Italia, quando è arrivato l'euro, si è trovata rapidamente circondata da una competizione internazionale aggressiva che prima non esisteva. Per superare tutti questi ostacoli e rilanciare l'economia del nostro paese basterà uscire dall'Euro ed affrontare la complessità dei mercati globali con una Lira super svalutata?

Come abbiamo scritto all'inizio di questo articolo, non esistono verità e dogmi assoluti, ma prima di avventurarci in questa nuova impresa a dir poco rischiosa, sarebbe meglio ragionarci sopra per un po' ed analizzare la realtà in modo pragmatico e con strumenti di conoscenza idonei. Magari non faremo vincere le elezioni alla Lega o al Movimento 5 Stelle ma forse l'Italia, e l'Europa intera, ne usciranno meno perdenti.
 


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