Perché è sbagliato proporre un referendum sull’Euro

par Lorenzo C.
lunedì 2 dicembre 2013

Oggi, chiunque vi proponga un referendum sull’Euro, o è un pazzo, oppure si sta consapevolmente prendendo gioco di voi e della vostra giustificata rabbia. Le due cose possono anche verificarsi contemporaneamente. In breve: pur considerando corretta l’analisi che vorrebbe un’Italia fuori dalla moneta unica, urlare alla piazza e al mondo che si vuole fare un referendum su questo argomento è molto pericoloso. 

Visto che se ne tornerà a parlare, è meglio subito chiarire alcune cose sull’ipotetico referendum per uscire dall’Euro che molti imbonitori in perenne campagna elettorale stanno iniziando a rivendere sul mercato delle opinioni.

Sia ben chiaro che non mi trovo qui a difendere l’Euro, l’Unione Europea, e la sua struttura, di cui posso solo che provare ogni male possibile, e a cui riconosco la colpa per parte dei problemi dell’Italia di oggi. Manca però nel dibattito pubblico un po’ di razionalità e di realismo nell’affrontare argomenti difficili ed incerti come possono essere gli argomenti economici. L’Euro finirà, in un modo o nell’altro, prima o poi. Preso atto di questo sarebbe importante capire come limitare i danni.

Oggi, chiunque vi proponga un referendum sull’Euro, o è un pazzo, oppure si sta consapevolmente prendendo gioco di voi e della vostra giustificata rabbia. Le due cose possono anche verificarsi contemporaneamente. In breve: pur considerando corretta l’analisi che vorrebbe un’Italia fuori dalla moneta unica, urlare alla piazza e al mondo che si vuole fare un referendum su questo argomento è molto pericoloso.

Secondo i Trattati europei non esiste nessun modo consensuale per abbandonare l’Euro. Costituzionalmente, inoltre, non si possono indire referendum su ratifiche di trattati internazionali. Va da sé che quindi questa decisione, quando verrà presa, sarà una decisione unilaterale, e come tale dovrà essere gestita in un certo modo. Decisioni di questo tipo, che riguardano non solo la vita di un paese, ma anche il futuro di un continente, devono essere trattate in maniera segreta con tutti i diretti interessati. Lo ripeto: in maniera segreta, così da diminuire l’incertezza, limitare i danni e le peggiori conseguenze.

Roger Bootle, economista del Daily Telegraph e vincitore del premio Wolfson – premio che venne dato nel 2012 alla miglior “exit-strategy” sull’Euro - ne ha spiegato i motivi, anche facendo alcuni esempi storici. L’analisi la potete trovare qui, ed ha l’eloquente titolo di “Leaving the euro: A practical guide“.

Bootle sostiene che per effettuare in maniera efficace una manovra politica di questo tipo, lo Stato che si appresterebbe ad uscire dall’Euro dovrebbe muoversi cautamente tra il diritto internazionale e quello nazionale. Lo Stato in questione dovrebbe tenere conto delle esigenze politiche e pratiche degli altri membri, senza mai dimenticare le proprie. L’Unione Europea è, nei fatti, un’alleanza. Le trattative segrete offrono da questo punto di vista molti vantaggi. Mantenere segrete le trattative consentirebbe in primo luogo di ridurre al minimo – o almeno a ritardare – i dirompenti effetti che questa radicale scelta si porterebbe dietro. Tali effetti possono essere: corsa agli sportelli, deflussi di capitale dal paese verso l’estero, fuga di investitori, interruzioni di concordati economici, crollo del valore delle attività, crollo dei rendimenti obbligazionali (e quindi dei risparmi dei cittadini), si fermerebbero i prestiti alle imprese ed alle famiglie, e ci sarebbero ovviamente effetti negativi sui consumi.

Annunciare anticipatamente l’uscita dall’Euro, magari con un referendum senza avere un piano preciso, renderebbe molto più caotico e disorganizzato proprio fare quello che ci si pone di fare, cioè uscire dall’Euro. Anche avendo un “piano”, rendendo pubblico o annunciando prima del dovuto il “break-up”, quel “piano” andrebbe rivisto. Inoltre servirebbe il giusto tempo per inventarsi una “nuova moneta”, e tra l’annuncio dell’abbandono, e il momento di ingresso in circolo del nuovo conio, quest’ultimo sarebbe vittima di una forte svalutazione e volatilità, che magari non rispetta il vero valore che quella nuova moneta potrebbe avere.

Bootle dice anche che ci sono degli aspetti negativi nella segretezza delle trattative. Ad esempio ci sarebbe meno dibattito pubblico, e magari meno opinioni che riguardano una scelta così importante. Si limiterebbe la partecipazione dei cittadini alla decisione, e quindi potrebbe venir danneggiato il processo democratico. Bisogna però affrontare la realtà, e il politico cui spetta la decisione di uscita deve poter agire nel migliore dei modi. Il referendum era da fare sull’ingresso nell’Euro, non per la sua uscita. Si potrebbe dire anche che la segretezza precluderebbe anche ai cittadini la possibilitò di fare piani economici di medio-lungo termine, sui loro risparmi e progetti di vita, ma questo è un falso problema: annunciando un’uscita dall’Euro prima dei tempi con un referendum porterebbe le stesse famiglie a fare quelle scelte che poi saranno causa del collasso complessivo di tutto il sistema (come ad esempio la corsa agli sportelli bancari).

Bootle cita molti casi storici di successo, dove si è utilizzata la pianificazione segreta per effettuare importanti cambiamenti della politica economica e monetaria.

Nel 1992 la sterlina uscì dal regime di cambio europeo, e la decisione fu presa in segretezza e annunciata qualche settimana dopo. Un altro caso di “break-up” citato nello studio riguarda quello seguito alla frammentazione della Cecoslovacchia, sempre nel 1992. Il governo Ceco e la banca centrale decisero il “break-up” dal sistema monetario precedente il 19 gennaio del 1993, ma il piano fu tenuto segreto fino al mese successivo, appena sei giorni prima dell’effettiva separazione. Stessa cosa è successa nella divisione del Sudan: il Sudan del Sud nei sei mesi che precedettero l’indipendenza iniziò a stampare in segreto una nuova moneta. Ci sono anche esempi che vanno in senso opposto: quando si disgregò l’Unione Sovietica si dibatté pubblicamente e a lungo riguardo alla creazione delle dodici nuove monete che sarebbero entrate in circolo. Il dibattito e le trattative però non andarono bene, ed i nuovi Stati agirono unilateralmente peggiorando la situazione.

Non essendo uno sprovveduto, Bootle ritiene improbabile che tutto il processo della trattativa possa rimanere segreto a lungo. Sostiene però che questo sia possibile almeno all’inizio. Le prime fasi dell’uscita pianificata potrebbero essere gestite da piccoli gruppi governativi. Man mano che la trattativa e la pianificazione prosegue si può gradualmente allargare lo spettro dei soggetti coinvolti, proprio come accade con le decisioni che vengono prese sui tassi di interesse delle banche centrali. Bootle non si illude, e ritiene comunque necessario preparare un piano di blocco per la fuga dei capitali, almeno nella prima fase in cui l’intenzione di uscire dalla moneta unica viene resa pubblica. Una volta che tutte queste precauzioni e decisioni sono state prese, l’attuazione del piano di uscita dovrà essere il più veloce possibile.

Roger Bootle non è ovviamente l’unico che ha affrontato il problema. Ci sono altri studiosi che considerano la segretezza come essenziale nel dirimere questioni come queste, fondamentali per il futuro di un paese. 

Jacques Sapir, economista francese tutt’altro che favorevole all’Euro, scrive che per essere di “successo”, o per produrre i massimi effetti positivi e minimi effetti collaterali, [l'uscita dall'Euro] dovrebbe essere preparata come un’operazione militare, sia in termini di tattiche che di pianificazione sequenziale, operativa, e strategica

Conoscete operazioni militari di successo rese pubbliche e sottoposte ad un qualche referendum? Ecco.

Ma anche Alberto Bagnai, economista famoso per il suo blog Goofynomics, e per essere uno dei più combattivi e preparati sostenitori dell’uscita dell’Italia dall’Euro, la mette giù negli stessi identici termini.

Si capisce quindi che l’annuncio di un futuro referendum sull’uscita dall’Euro va in senso completamente opposto a quello del buon senso e di una politica responsabile, che abbia a cuore sul serio l’Italia ed i suoi cittadini.

Se si vuole uscire dall’Euro bisogna avere un piano preciso e attuarlo, senza annunci, senza deliri demagogici. Gridare “al referendum!” magari fa ottenere qualche voto in più, fa riempie la piazza, fa godere i rivoluzionari da tastiera, ma è un pessimo modo per affrontare un problema reale.

Non è politica, è spettacolo, uno spettacolo incosciente che potrebbe costarci molto caro.

 


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