Per una campagna in difesa del diritto alla casa

par Aldo Giannuli
domenica 19 aprile 2015

 
Qualche anno fa, un autorevole esponente della finanza tedesca dichiarò che gli italiani non avevano ragione di lamentarsi del prelievo fiscale indotto dagli interessi sul debito, o dei salari relativamente più bassi, o dei tassi occupazionali meno favorevoli, perché, a differenza dei cittadini tedeschi, gli italiani stanno bene, vivendo in gran parte in case di proprietà.

Case comperate, manco a dirlo, con i denari dell’evasione fiscale. Insomma: gli italiani per decenni non hanno pagato alla Stato quello che dovevano e con quei soldi si sono comperati casa, lo Stato ha sopperito al mancato gettito indebitandosi ed ora deve pagare gli interessi sull’enorme debito accumulato; ergo: che gli italiani paghino le tasse e, se necessario, si vendano la casa. Una idea che ha trovato non pochi sostenitori negli ambienti di alcune università italiane, a cominciare dalla Bocconi.

In questo ragionamento c’è del vero e ci sono molte falsità.

E’ vero che il patrimonio immobiliare italiano sia la maggiore ricchezza del paese: vale 6579 miliardi di euro (secondo le stime dell’Agenzia delle Entrate), tre volte il nostro debito pubblico. Ed è vero che il 76,6% delle famiglie italiane abita in case di proprietà, mentre l’analoga percentuale in Francia è del 64,3% ed in Germania del 52,6%. Sin qui ci siamo, ma di qui iniziano le bugie per lo meno parziali. In primo luogo, dire che il patrimonio immobiliare ammonta ad oltre 6mila miliardi di euro, non significa che questo patrimonio sia egualmente diviso: c’è una bella fetta di esso che è di proprietà di banche, società immobiliari, assicurazioni ecc. e non tutte italiane.

Ma veniamo al cuore del problema: come si sono comperati la casa gli italiani? Sicuramente una parte viene dall’evasione fiscale, soprattutto dei lavoratori autonomi, ma solo una parte decisamente minoritaria. Infatti, occorre tener presente che, se è vero che in Italia c’è sempre stata un’endemica evasione fiscale, è anche vero che, grazie anche alla coesistenza fra una forte tassazione indiretta ed una non lieve tassazione diretta, in Italia c’è sempre stata una pressione fiscale fra le più alte d’Europa. E per di più, con una dei servizi fra i più scadenti.

In secondo luogo, se l’acquisto fosse dipeso soprattutto dall’evasione fiscale, avremmo dovuto avere tassi molto inferiori di casa di proprietà, perché i lavoratori dipendenti, percettori di reddito fisso e, quindi non evasori, non avrebbero potuto permettersi l’acquisto della casa e, invece più di tre famiglie su quattro sono proprietarie. In terzo luogo, questo è il risultato di decenni di accumulazione di un popolo che, per moltissimo tempo, ha avuto consumi molto più bassi di quelli dell’Europa centro settentrionale. Ad esempio, gli italiani hanno scoperto il turismo vacanziero solo dagli anni settanta, mentre in Francia o Germania questo era abbastanza diffuso già da prima della guerra. Gli italiani sono un popolo risparmiatore ancora oggi e, infatti, il tasso di indebitamento delle famiglie è fra i più bassi d’Europa ed è la ragione per cui, nonostante l’altissimo debito pubblico, l’Italia ha un debito aggregato più basso di molti altri paesi. Per di più, per gli italiani la casa ha un valore culturale decisamente maggiore che in altri paesi, per cui il lavoratore dipendente che va in pensione, nella maggior parte dei casi, investe il suo Tfr nell’acquisto di una casa per se o per i figli, e così il tassista che cessa l’attività e vende taxi e licenza, il barista che cede il suo piccolo Bar eccetera. Peraltro, dentro alla proprietà di molte case (soprattutto quelle acquistate nel sud negli anni sessanta) ci sono le rimesse dei nostri lavoratori emigrati in Germania, Belgio, Francia.

La Dc (a differenza della sinistra che non lo ha mai capito) comprese il valore culturale della casa per gli italiani e ne fece uno dei suoi cavalli di battaglia nella raccolta del consenso, con una politica di forte sostegno all’acquisto della casa da parte dei ceti medi, a cominciare dal “piano casa” di Fanfani.

Dunque, sotto le polemiche di facciata c’è un disegno molto chiaro: costringere gli italiani a vendere casa sottocosto per pagare il debito pubblico e per ingrassare banche ed assicurazioni che attendono di banchettare. Come?

L’indice medio dei prezzi nel quarto trimestre del 2014 ha registrato una flessione del 2,9% rispetto al trimestre precedente. Preso come dato 100 l’anno base 2010, a fine 2014 l’indice medio per le abitazioni esistenti ha toccato quota 82,9. Cioè una casa che valeva 100.000 euro, oggi ne vale meno di 83 mila.

Questo calo è da mettere direttamente in relazione all’impennata di tasse sulla casa inaugurata dal governo Monti e proseguita con Letta e con Renzi (sapete, dopo la “sinistra ferroviaria” di cui disse Formica, ora c’è la “sinistra finanziaria”, ben più pericolosa della prima). Fu Monti a reintrodurre l’imposta sulla prima casa che Berlusconi aveva abolito ed a rivalutarla seccamente. Da allora sono cambiate le sigle (Imu, Tasi, Iuc), ma la sostanza è rimasta la stessa: Sommando le varie sigle, si ottiene un gettito di 3,8 miliardi e, se ci aggiungiamo le tasse indirette sul “mattone”, otteniamo che nel 2014 il gettito ha superato i 50 miliardi con un incremento complessivo del 34% su quello del 2010.

Questo, ovviamente ha provocato un brusco colpo di freno nell’edilizia: nel 2012-13 (anche per i tassi da usura praticati dalle banche, i mutui per abitazione sono crollati, e si sono fermati anche i lavori di manutenzione e di ristrutturazione. La sbornia di tasse ha reso antieconomico l’acquisto della casa e la sua ristrutturazione, e questo, a sua volta, ha fatto collassare il valore degli immobili, azionando un circolo vizioso per il quale le tasse salgono ed i valori scendono.

Quando si ferma l’industria edilizia, si ferma il principale motore dell’economia di un paese, perché non si fermano solo l’edilizia ed il settore cementiero: si fermano anche l’industria del tondino, del vetro, del legno e rallentano anche quelle degli elettrodomestici, del mobile e, di riflesso, dei trasporti. Un capolavoro!

Ma sin qui, abbiamo assistito solo all’attuazione della prima parte del piano “Scippa la casa all’italiano”, adesso viene il resto, con la riforma del catasto che aggiornerà i valori delle rendite catastali, con il sicuro effetto di aumentare le tasse sulla casa. Secondo l’Agefis (l’associazione dei geometri fiscalisti) avremo un aumento compreso fra il 150 ed il 178% dell’attuale gettito. Con buona pace della legge delega che (del tutto irrealisticamente) prevede che questo debba avvenire senza aggravio di costi per i contribuenti. A quel punto vendere casa sarà molto più conveniente che tenersela, ma, ovviamente, il forte aumento di offerta provocherà un crollo dei prezzi. Ed a quel punto banche ed assicurazioni potranno iniziare il banchetto gentilmente offerto da Pd e complici.

E nessuno che si stia dando da fare per prevenire il colpo. Come? Un modo ci sarebbe: sancire per costituzione che “La casa di proprietà di chi la abita non è tassabile né pignorabile” Un rigo solo da aggiungere all’art 14 della Costituzione. Perché non iniziamo a far circolare questa idea, prima che sia troppo tardi?

Aldo Giannuli

 


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