Per Bossi i giudici di Milano graziano Silvio per salvare Mario

par Voltaire
lunedì 27 febbraio 2012

"I giudici non sono ciechi e sordi, vivono anche loro il momento politico. Berlusconi è stato abile, pensavo che fosse condannato, invece i suoi voti sono determinanti per il governo. Magari non aveva commesso niente, come sosteneva lui, però vista da fuori è una brutta impressione".

Con queste parole Umberto Bossi ha commentato le sentenza del Tribunale di Milano che ha dichiarato prescritto il reato di corruzione in atti giudiziari di cui era accusato Silvio Berlusconi nell'ambito del processo Mills.

In Italia si sa le sentenze importanti non vengono accolte (e rispettate) per quelle che sono, dividono e lacerano gli schieramenti, diventano di per sé atti sindacabili in cui ciascuno legge quello che gli fa più comodo riscontrare. Le parole dei magistrati infatti si commentano e si valutano a seconda delle contingenze (e convenienze) del momento.

Per questo l’ennesima sentenza su Silvio Berlusconi può diventare oggetto non solo di discussione ma anche una sorta di lente di ingrandimento per sondare lo stato (preoccupante) della giustizia e più in generale della politica italiana. La prescrizione per il Cavaliere significa tante cose in una. Per i cosiddetti “berluscones” sancisce l’accanimento portato avanti nei confronti del presidente del Pdl da parte della Procura lombarda.

Per i “dialoganti” del PDL, del PD e soprattutto dell’Udc il giudizio di sabato scorso sarebbe una buona occasione per sancire una tregua tra le varie fazioni e continuare proficuamente il periodo di unità nazionale voluto da Giorgio Napolitano. Per gli “intransigenti” accampati in ogni partito dell’attuale opposizione (ma anche in alcuni settori del PD) Berlusconi si sarebbe sottratto per l’ennesima volta al normale corso della giustizia, ricorrendo alle celeberrime leggi ad personam che hanno impedito ai giudici di poter esprimere un giudizio sul merito del processo.

Per “i realisti” presenti soprattutto nel governo, la caduta in prescrizione del caso Mills consacra agli occhi di tutto il mondo i tempi biblici della giustizia italiana che andrebbe riformata il prima possibile. A queste voci si è aggiunta domenica sera quella forse più stonata ed inopportuna del leader della Lega nord secondo il quale Berlusconi si sarebbe salvato per calcolo politico della magistratura che graziandolo avrebbe assicurato il proseguimento del governo. Secondo Bossi infatti anche i giudici di Milano sarebbero parte di quel complotto internazionale, attuato da Giorgio Napolitano e Mario Monti che con l’aiuto dei “poteri forti” ha commissariato l’Italia per attuare quelle misure convenienti soltanto alle banche e alle istituzioni europee a trazione tedesca. Delle interpretazioni arrivate, la chiave di lettura bossiana è la più strampalata e meno credibile, soprattutto perché per le 5 prescrizioni precedeni a favore di Berlusconi, Bossi si era sempre schierato al fianco del suo ex alleato, invocandone l’innocenza.

Una cosa è certa al netto di tutte le esegesi di queste giorni, un politico che ha, ed ha avuto sul groppone 25 processi non può più guidare l’Italia e soprattutto non può essere eletto al Quirinale. Oltre tutte le parole spese vanamente sul tema, la giustizia italiana necessita una profonda ristrutturazione, a cui le forze politiche non possono sottrarsi. Per il resto le sentenze lasciamole scrivere ai giudici e non ai politici che sempre più spesso sconfinano fuori dalle loro funzioni, solo per coprire le loro grandi responsabilità.


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