Pena di morte in USA: sotto esame 27 condanne sospette

par Francesco Finucci
venerdì 19 luglio 2013

Nel 2012 il Washington Post rivelava come il Dipartimento di Giustizia americano avesse scoperto l'occultamento di prove alla difesa da parte dei pubblici ministeri. Ad un anno di distanza, 27 casi giudiziari che si sono conclusi con la pena di morte sono al vaglio, col rischio di riscontrare in essi un errore costato una vita innocente.

Già un anno fa il Washington Post segnalava una opacità da parte dei pubblici ministeri americani nel rivelare alle difese prove indiziarie che avrebbero potuto scagionare i loro assistiti. Ha avuto origine così, nel luglio 2012, l'azione del Dipartimento di Giustizia conclusasi in questi giorni con la revisione di 27 casi di pena di morte, forse comminata nei confronti di innocenti.

In quello che è divenuto un dibattito "se il sistema funziona" dunque, la collaborazione tra FBI, Dipartimento di Giustizia, Innocence Project e National Association of Criminal Defense Lawyers ha permesso di rianalizzare una cifra attorno ai 21700 file di laboratorio. Sebbene infatti l'utilizzo di capelli come prove venga considerata dagli anni '70 come "non determinante", nel tempo la prova dei fatti ha determinato un'interpretazione diversa: quei capelli valsero ai fini della comminazione della pena. Con questa revisione verrebbero dunque a cadere metodi efficaci nell'"assicurare alla giustizia" qualcuno, ma non necessariamente il colpevole.

Non a caso lo stesso Peter J. Neufeld, a capo dell'Innocence Project, ha definito questa iniziativa come "un grande passo in avanti al fine di migliorare il sistema della giustizia criminale e il rigore della scienza forense negli Stati Uniti". Importante proprio perché parte dal Dipartimento di Giustizia e dall'FBI, accusate di coprire i propri agenti anche quando colpevoli, ma soprattutto perché ad alta priorità saranno gli imputati che ancora scontano la propria pena e quelli sottoposti ad esecuzione. Un dato fondamentale se si considera che gli Stati Uniti sono al quinto posto per l'uso della pena di morte, dopo Cina, Iran, Iraq e Arabia Saudita.

Vieni quindi posto a rischio un metodo, un'intera concezione della giustizia americana, proprio nel momento più delicato. Sullo scenario si affacciano infatti già le spaventose incognite sull'uso delle armi da parte dei cittadini e dello spionaggio da parte dell'autorità pubblica. Si vanno quindi a toccare i fili sensibili del senso di sicurezza di un'intera collettività, col rischio di comprometterlo. Se si pensa che già il secondo emendamento, appartenente ai primi anni della storia americana, sancisce il diritto di possedere armi, si può capire quanto pauroso sia il salto verso un metodo più civile di trattare con i criminali.

Tutto questo mentre di fronte all'opinione pubblica si affaccia già un ulteriore caso, quello di Anthony Garcia, l'uomo che per un'accusa di omicidio rischia oggi la pena di morte. Nel momento sbagliato, o forse in quello più giusto: gli Stati Uniti potrebbero trovarsi di fronte ai propri più profondi demoni e liberarsene, finalmente. Demoni di una giustizia brutale che rischia ora di essere smascherata anche nella propria inefficacia, oltre che nella propria barbarie. Con Garcia attendono altri colpevoli degni di equo processo (Gary Watland ad esempio). In attesa di giustizia, non di un pubblico assassinio perché altri possano sentirsi al sicuro.


Foto: Manifestazioni a sostegno di Troy Davis, giustiziato nel settembre del 2011. World Coalition Against the Death Penalty/Flickr


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