Patrimoniale: colpire la ricchezza statica

par Andrea Sironi
venerdì 23 dicembre 2011

Correva l’anno 1986, quando il professor Franco Gallo, ex ministro delle Finanze e attuale vice presidente della Consulta, analizzò le ragioni teoriche, economiche e tributarie riguardo l’introduzione di una tassa patrimoniale nel nostro Paese.

Sono passati ben venticinque anni, e già allora, alcuni studiosi, avevano capito l’impossibilità di mantenere un sistema profondamente sbilanciato sulla tassazione del reddito delle persone fisiche.

Oggi, non si fa altro che continuare nella direzione sbagliata, perché più facile da perseguire, perché salvaguarda quei poteri rappresentati oggi da una folta schiera di ministri banchieri, con interessi che vanno ben oltre quelli del Paese, interessi personali che non si agganciano per nulla alla collettività e ad un percorso comune.

Il professor Gallo scrisse riguardo la patrimoniale: “Trova la ragione d’essere nell’esigenza di colpire la ricchezza statica tenuta “oziosa” non collegata di per sé all’esercizio di un’attività produttiva”. Dunque, l’introduzione di un prelievo sul patrimonio è la stessa esigenza economica di “perseguire obiettivi di discriminazione qualitativa rispetto ai redditi più rischiosi, cui non corrisponde un patrimonio”.

Soffermandosi sulla capacità contributiva richiamata dall’articolo 53 della Costituzione, Franco Gallo rileva che se si accettasse la tesi secondo cui almeno per le imposte reali immobiliari la capacità "è manifestata non tanto e non solo dalla capacità economica in senso stretto ma in termini più propriamente economico-finanziari dalla forza economica qualificata dal godimento dei pubblici servizi da parte del soggetto di imposta, la logica conseguenza giuridica sarebbe che il titolare di un patrimonio gode dei pubblici servizi molto più del reddituario o del consumatore. Egli quindi manifestando maggiore capacità contributiva dovrebbe essere assoggettato prima di ogni altro soggetto ad imposizione”.

Tassare chi oggi gode di privilegi, chi oggi detiene capitali senza investire in lavoro e futuro, semplice.

Già nel 1986 se ne parlava, e non sono certo chiacchiere da bar. Eppure appena si parla di “patrimoniale”, sembrano diventare tutti sordi, come se la tanto corteggiata parola “equità” svanisse nel nulla.

Ma l’equità non passa forse attraverso un carico tributario su una più ampia materia imponibile?

Ma l’equità non passa forse attraverso un assoggettamento delle rendite finanziarie e ad un conseguente minore carico sui bassi redditi e su quelli da lavoro?

Altri interessanti spunti sulla “famigerata” patrimoniale, si possono trovare leggendo l’intero articolo del professor Gallo, cliccando qui.


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