Patrick Modiano e il tempo perduto
par Alessandro De Caro
sabato 5 febbraio 2011
Einaudi ha pubblicato da poco il romanzo di Patrick Modiano Nel caffè della giovinezza perduta.
I lettori di Modiano conoscono il suo stile, ma la critica è restia e vorrebbe tanto archiviare questo episodio nel nome di un’epoca lontana, quelle in cui Modiano brillava tra le nuove promesse letterarie. Ma un autore come lui, a differenza di certi facili successi editoriali, non è né "attuale" né "inattuale"...Che sia piuttosto già un classico?
Ho letto qualche recensione di questo romanzo di Patrick Modiano, recentemente tradotto da Einaudi, Nel caffè della giovinezza perduta. Non se ne parla tanto bene, ma neppure si tenta di mettere in evidenza quelle che, secondo me, sono delle caratteristiche notevoli di questo romanzo. ll problema con le recensioni, lo sappiamo, è che spesso sono scritte in fretta e sulla scia di una conoscenza sommaria dell'autore (stile Wikipedia, per intenderci), superficiale persino quando si tratta, come in questo caso, di uno dei più importanti scrittori francesi degli ultimi quarant’anni. L'esordio letterario di Modiano, infatti, risale al 1968, dieci anni dopo il romanzo Rue des boutiques obscures gli valse il prestigioso premio Goncourt. Dopo è stata una lunga sequela di romanzi, sceneggiature cinematografiche (collaborazioni con Louis Malle, Patrice Leconte), studi accademici sull’opera, dossier di critica letteraria come quello, bellissimo, che gli ha dedicato il Magazine littéraire nel 2009.
Insomma, non c'è da esagerare: Patrick Modiano è un maestro nell'arte del romanzo - appartato e schivo, si dice, ma nemmeno tanto se appariva nella giuria del festival di Cannes del 2000 -, una figura difficile da eludere nel panorama della letteratura francese contemporanea, e per mille ragioni che qui non posso elencare ma che, d'altra parte, i suoi lettori affezionati conoscono bene. Quanto a Nel caffè della giovinezza perduta è vero che sembra mancare qualcosa, intorno a quel centro fatto di ombre che è forse la firma di Modiano, l'indicibilità o l'enigma del ricordo che sono gli assi del suo discorso, quel certo charme che ha saputo creare e mantenere nel corso degli anni: forse abbiamo qui una trama troppo semplice? Personaggi poco interessanti rispetto ai fantasmi del passato (Dora Bruder, per esempio, o il protagonista adolescente di Viaggio di Nozze)? Non mi sembra che si tratti di un venir meno dello stile, ma Modiano, questa volta, ha fatto delle scelte diverse. Vediamo quali sono.
In primo luogo, la protagonista del romanzo non è tanto l’evanescente e tragica Louki, centro della narrazione per i personaggi che si avvicendano nel caffè indicato nel titolo, quanto la città di Parigi. Niente di nuovo, si sa che se c’è una città-donna, angelo e serpente, quella non può che essere Parigi.
Le sue strade, i celebri boulevards ma anche altri luoghi periferici, nascosti, quelli che Roland, nel romanzo, chiama “le zone neutre”…In questo paesaggio urbano così caro a Modiano (quasi tutte le scene di Viaggio di nozze si svolgono in periferia, specialmente negli alberghi, e lo stesso avviene nel più riuscito La petite Bijou), Louki è una fiamma oscura destinata a spegnersi, attorniata dalla classica “bande à part” da caffetteria parigina – la memoria corre alle scene di certi film di Philippe Garrel, Truffaut o Godard (specialmente di quest’ultimo Il maschio e la femmina, direi, dove i protagonisti sono dei giovani alla deriva, come nel romanzo di Modiano).
Il fatto è che in epigrafe lo scrittore ha scelto una citazione da un film di Guy Debord, In girum nocte et consumimur igni. Questo è uno di quei “segnali forti” che un recensore dovrebbe saper identificare. Se fosse soltanto l’epigrafe, va bene, può sfuggire: ma le citazioni interne al testo sono almeno due: la celebre scritta sul muro NON LAVORARE MAI (non c’è storia del situazionismo che non la citi) e uno dei personaggi che, guarda caso, si chiama Guy De Vere. Insomma, un romanzo “debordiano”, omaggio funebre e sconsolato ad un’epoca perduta, che gioca anche con i prestiti culturali - rarissimi nello stile asciutto di Modiano, quasi sempre ripiegato sui dettagli della propria “perdizione” narrativa di marca proustiana ma, nello stesso tempo, miracolosamente limpida -, quindi qualcosa per cui spendere qualche parola in più non sarebbe fatica sprecata. Ma oggi non c’è tempo per la letteratura, ieri come oggi, basta “una botta e via”.
La terza novità presente in questo romanzo è la voce narrante: mentre negli altri romanzi è singola, qui è molteplice e possiamo trovare la stessa vicenda narrata da più punti di vista. Non è mai la stessa storia, naturalmente. L’effetto è riuscito, Parigi è diventata ancora più labirintica di prima.
E’ una storia di sirene e di silenzi, di svolte brusche e di strade interrotte. Di ricerche e di meticolose assenze, di solitudini che sembrano prendere la consistenza della pietra, a volte, e di incontri sul filo di un indirizzo trovato in un libro o sussurrato in una conversazione. Vagabondaggi, eterna flânerie.
Di porte che si aprono una volta sola, di donne e di uomini che non si vedranno mai più, Modiano ne traccia il passo incerto, si sofferma - si direbbe che ci ha meditato a lungo - senza mai annoiare. Unico punto fermo, un caffè destinato anche lui a scomparire negli anni, colpito dai molti mali della città e dall’urbanesimo globalizzante, ma nel quale per il momento si può ancora incontrare quella strana ragazza, Louki:
“Dei due ingressi del caffè lei sceglieva sempre il più stretto, quello che tutti chiamavano la porta dell’ombra. Occupava lo stesso tavolino in fondo alla saletta. I primi tempi non parlava con nessuno. Poi ha fatto conoscenza con i clienti abituali del Condé, la maggior parte della nostra età, all’incirca tra i diciannove e i venticinque anni. A volte si sedeva al loro tavolo, ma più spesso restava fedele al suo posto, giù nell’angolo. Non veniva mai alla stessa ora. La potevi trovare seduta lì il mattino molto presto. Oppure compariva verso mezzanotte e rimaneva fino alla fine. Con Le Bouquet e La Pergola era il caffè del quartiere che chiudeva più tardi, e che aveva la clientela più singolare. Mi domando, dopo tanto tempo, se non fosse proprio la sua presenza a dare al luogo e alle persone quella loro aria strana, quasi li avesse impregnati del suo profumo”.