Pasolini, la sua poetica, e i ragazzi di vita

par Gian Carlo Zanon
mercoledì 10 novembre 2010

à uscito nelle librerie il libro âscandaloâ di Marco Belpoliti sulla poetica di Pasolini: "Pasolini in salsa piccante".

Questo ottimo lavoro di Belpoliti su Pasolini, ha già suscitato varie reazioni nell’ambito culturale; reazioni e polemiche che, se non faranno crollare l’agiografia politica e poetica sull’intellettuale di Casarsa, probabilmente ne mineranno le fondamenta.

L’autore “attacca”, molto pacatamente, da vari punti di vista, demitizzando la vulgata secondo la quale Pasolini sarebbe stato ucciso per ragioni politiche e non per motivi unicamente legati alla sua “passione” per i ragazzi di vita.

Spiega Belpoliti, che basta leggere le note della curatrice dei Meridiani Mondadori di Pasolini (2005) Silvia De Laude, per rendersi conto di ciò che Pasolini sapeva sul petrolio, su Cefis, su Mattei e su tutti i “misteri” italiani di cui ha parlato, a vanvera, un certo giornalismo d’accatto. 

Questo “materiale segreto” che, secondo questa ennesima panzana politico-giornalistica, fu il “vero” motivo dell’assassinio di Pasolini, era ricavato da articoli di giornali, libri già pubblicati; volumi fotocopiati ecc..; vale a dire lavori già ampiamente citati da giornalisti e studiosi. «Si uccide uno scrittore per questo?» Si chiede, e ci chiede Belpoliti. Certamente no. Per l’autore tutto queste montature furono, né più né meno, che fantasticherie da professionisti del complotto, ai quali non interessano molto i fatti veri ed appurati, ma la prouderie dei lettori.

Quindi l’intellettuale friulano, secondo Belpoliti; non fu un martire delle trame occulte degli anni Settanta, ma solo un individuo che durante un rapporto mercenario, finito in un tragico litigio, fu ucciso da Pelosi, un ragazzo non ancora maggiorenne, il quale, come egli dichiarò in sede di istruttoria, si ribellò alle prepotenze sessuali di Pasolini.

Dice Belpoliti in un’intervista sul Sole 24 Ore: «Pasolini è diventato un martire, una sorta di profeta dei tempi che cambiano. Ma viene rimosso il fatto che il più grande intellettuale italiano, poeta, cineasta, romanziere, giornalista, editorialista, è stato anche, in qualche modo, un pedofilo: un tema tabù. A maggior ragione se questo fatto è la radice stessa del suo poetare».

Dunque la poetica di Pasolini è, secondo Belpoliti, la pedofilia. La poetica di Pasolini è tutta incentrata sulla “sessualità” come la intende lui, e sulla sua visione del mondo; quella visione del mondo che lo portava allo sfruttamento “sessuale” di ragazzi di vita che venivano dal sottoproletariato allo stesso modo in cui ora i “buoni padri di famiglia” hanno rapporti “sessuali” con le minorenni extracomunitarie, che sono costrette a prostituirsi, come se fosse tutto assolutamente “normale”.

E allora si deve dire con forza che questa “normalità” viene legittimata da una cultura connivente che legittima la distruzione psichica dell’identità umana di ragazzi e ragazze minorenni, colpevoli solo di appartenere al Sud del mondo; quel Sud del mondo che non è mai stato un dato geografico ma un fatto economico e soprattutto culturale: storicamente le classi abbienti hanno sempre sfruttato le classi povere distruggendone in primis l’identità umana. E questo vale per le classi economiche meno agiate, per gli extracomunitari e anche per le donne che da Pasolini venivano etichettate come assassine e puttane quando queste erano costrette ad abortire. Sull’inserto Queer di Liberazione, del 30 ottobre 2005, Maria Rosa Cutrufelli scriveva: « … però, però anche Pasolini si macchia di una qualche volgarità quando nomina le “oltranziste dell’aborto” » cioè le femministe che lamentano la solitudine della donna in questo dramma, e lui dice «Capisco». Ma poi aggiunge: «Però quando era a letto non era sola». Frase terrificante.

Belpoliti nella sua intervista a Fahrenehit, su Radio Tre, del 3 novembre ha affermato che Pasolini, negli anni post sessantotto, «… era disperato perché i ragazzi non ci stavano più». Non ci stavano più perché, anche quelli di estrazione sociale meno privilegiata, erano diventati abbastanza ricchi per evitare la prostituzione; non ci stavano più perché la pillola, e la liberazione sessuale del sessantotto, permetteva finalmente ai giovani di avere rapporti sessuali con le ragazze loro coetanee. Dice Belpoliti «Pasolini era contro il rapporto eterosessuale»; questo significa che Pasolini, come il peggior Torquemada, non voleva la libertà sessuale eterosessuale perché, secondo lui, la sessualità doveva essere solo omosessuale e pedofila. Dice Belpoliti che, per Pasolini, non solo il rapporto “sessuale” doveva essere tra un adulto e un minore, ma ci doveva essere una differenza di classe sociale. Belpoliti non lo dice, lo dico io: per Pasolini il rapporto con i ragazzi di vita doveva essere unicamente di dominio; dominio psichico, maestro e allievo o, se preferite, prete chierichetto; dominio fisico, vale a dire una maggior forza fisica per poter sottomettere i ragazzini; dominio economico, nel senso dello sfruttamento dell’altro come oggetto inanimato dove, come dice quell’altro “genio” di Freud, “scaricare” la propria libidine. Pasolini non cercava un omos, un uguale per avere rapporti sessuali, egli cercava un essere umano di una diversità “inferiore”, vale a dire un ”essere” che, per lui, non era nemmeno un essere umano.

Pasolini non voleva neppure essere considerato gay; era contrario al matrimonio tra persone delle stesso sesso. La sessualità, dice sempre Marco Belpoliti, per Pasolini, era fare sesso a pagamento solo con ragazzi eterosessuali, punto.

Infine l’autore di Pasolini in salsa piccante afferma che anche il delitto in cui fu ucciso si può ascrivere nella sua depravazione pedofila: «Ora, questo la chiamerebbero pedofilia». Pasolini, dice l’autore, ripeteva spesso di essere un mostro. Egli stesso sapeva della sua perversione perché scriveva di sé: «Io sono come mister Hide, ho un’altra vita»; e Mister Hide era un sadico che faceva del male, soprattutto alle donne.

Ecco, forse, se si può fare una critica Belpoliti, si potrebbe dire che egli non coniuga mai chiaramente la pedofilia di Pasolini in crimine contro un essere umano; questo è una consuetudine di molti intellettuali: genuflettersi di fronte a questi “maestri del pensiero” cercando di mitigare e rendere meno crudi i loro comportamenti che possono essere anche devastanti per gli esseri umani. Questo comportamento condiscendente viene usato per Pasolini, ma anche per molti altri: da Freud a Jung, da Focault a Heidegger, da Sartre a Frederic Mitterrand ecc.. La cultura dominante, anche quando si trova di fronte a documenti che certificano senza ombra di dubbio la verità, cerca di confondere con parole che opacizzano le immagini che danno senso agli accadimenti. Quando il suono della voce scritta arriva alla mente si dovrebbero produrre immagini che permettano di vedere ciò che vuole intendere quella voce, il contenuto di quelle parole; e invece no, questo accade raramente in questi ambiti culturali. Alla domanda dell’intervistatore che chiedeva se questa prassi di vita di Pasolini fosse ben celata, Belpoliti risponde che non è vero, non era celata, è che nessuno la voleva vedere e, aggiungo io, la vuole vedere.

Penso che però si debba perdonare a Belpoliti questo suo residuo timore reverenziale verso Pasolini, che è ancora considerato dalla cultura dominante un grande intellettuale, con una motivazione importate: egli ha capito che non si deve mai scindere l’opera di un intellettuale dalla sua prassi di vita. L’opera di un intellettuale e la sua poetica debbono essere sempre ricondotti alla sua vita ed ai suoi rapporti interumani; a quanto egli ha dato agli esseri umani in termini di possibilità di realizzazione umana, o a quanto egli ha tolto loro, distruggendone l’identità umana.


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