Pasolini, Calvino e il gran peccato di Silvio B.
par Daniel di Schuler
mercoledì 16 novembre 2011
Anche se l'avevo assolutamente prevista, mi impressiona la ferocia, fortunatamente solo verbale, con cui molti italiani si scagliano, ora e solo ora, contro Silvio Berlusconi.
Mi fa sorridere amaramente, facendomi ricordare quel che mio nonno mi disse dell'Italia del 25 aprile, costatare che, a parte pochi fedelissimi, i Berlusconiani sono spariti. Persino molti vocianti leghisti d'un tempo sembrano essere stati colti da amnesia e negano decisamente d'aver mai davvero creduto in Bossi.
Hanno votato Lega, sì, ammettono quelli che non possono proprio negare, ma solo per protesta contro il regime dei partiti. Sul fatto che abbiano continuato a farlo gaudiosamente anche quando proprio le Lega era, più d’ogni altro, un partito di regime, meglio soprassedere.
Gli italiani, insomma, sono tutti uniti nel dir male dell' ex ducetto minimo e del suo barbaro alleato, ma la cosa non mi fa, in questi termini, il minimo piacere.
Dal 1994 ad oggi, sono centinaia le ragioni per cui Silvio Berlusconi (cui non si sarebbe dovuto consentire di far politica in primo luogo, a norma di legge, in quanto titolare di concessioni pubbliche) sarebbe dovuto in cadere in disgrazia presso l'elettorato: sono innumerevoli le occasioni in cui ha mostrato il proprio disprezzo per le Istituzioni, le leggi dello stato e gli avversari politici; sono decine le volte in cui ha mal rappresentato l'Italia nel mondo, arrivando a diventare uno zimbello delle politica e dell'informazione internazionali.
Il fatto che venga allontanato dal potere da una crisi finanziaria che ha certo gestito pessimamente, ma di cui è solo uno dei responsabili (gli altri sono, in ultima analisi, qualche decina di milioni di italiani), trovo che sia l'ennesima prova del totale degrado della nostra civiltà politica; di come ormai il paese si sia ridotto a ragionare solo con la pancia. Si attribuiscono, ora, a Berlusconi, le più diverse colpe, ma proprio questa è la sua più grande.
Una colpa enorme, che poco ha a che vedere con la sua attività d'uomo politico o, per meglio dire, di cui il suo successo politico è prova schiacciante, ma effetto e non causa: quella di aver reso plebei gli italiani. Solo una plebe, una massa senza più valori o riferimenti, può accettare di essere rappresentata, in Parlamento, dai mentecatti che ci ha mostrato anche la prima puntata del nuovo programma di Michele Santoro; solo dei plebei possono aver ammirato, fino a pochissimo fa, dei figuri che nulla avevano d'ammirevole tranne che il denaro, se mai questo può essere ammirevole in sé, e qualche briciola di potere.
Se n'era reso conto Pasolini, del pericolo rappresentato dalla televisione in un’Italia che, con i campi, stava abbandonando le radici contadine delle propria cultura popolare.
Era la tenera mamma Rai d’allora che il poeta, in un celebre “scritto corsaro” del 1973, “Acculturazione ed acculturazione”, accusava di diffondere “un edonismo neo-laico, ciecamente dimentico di ogni valore umanistico e ciecamente estraneo alle scienze umane”; neppure lui poteva immaginare la totale desertificazione etica e morale del paese prodotta da un trentennio di bombardamento televisivo in stile Mediaset.
E’ questo il grande peccato di Silvio Berlusconi; è questo che ha creato un’Italia berlusconiana, destina a sopravvivere a sopravvivergli ed i cui confini sono assai più ampi di quelli rappresentati dall’elettorato del PdL. E’ questa Italia ormai maggioritaria, per ironia della sorte, quella che pare abbia finalmente deciso di cacciarlo dal potere; un' Italia di Pietro Maso pre-morali che si appresta ad uccidere, spero solo politicamente, papà Silvio che non può più promettergli “la Golf”.
Ognuno di noi ha i suoi libri feticcio. Uno dei miei è “Lezioni Americane”, di Italo Calvino; per me il pezzo di prosa più scintillante scritto da un italiano del secolo scorso.
Le prime tre di quelle lezioni, che sottolineano la necessità di affrontare il nuovo millennio (il nostro) con leggerezza, rapidità ed esattezza sono, semplicemente un appello a quella che, nelle arti come nelle scienze, si dice eleganza. Se si dà al termine leggerezza il giusto significato (non v’è nulla di più greve della frivolezza berlusconiana) quei tre termini descrivono l’esatto contrario di quel che è, oggi, la nostra classe politica: individui notevoli solo per grettezza e sciatteria che si sono costituiti in caste dentro il berlusconismo.
Personaggi, non solo nel PdL e nella Lega, che del berlusconismo hanno mutuato i modi finto-popolareschi, il linguaggio sciatto e l’amore per l’aforisma e per lo slogan. Una casta che ha votato assieme ai berlusconiani la maggior parte delle leggi con cui si garantisce i propri privilegi e che, parlo della sua parte “sinistra”, quando ne ha avuto occasione, queste leggi si è ben guardata dall’abrogare.
Sono i politicanti che offrono lo spettacolo della propria rissosa nullità nelle 4 o 5 tele-bettole che intrattengono settimanalmente gli italiani; sono i berlusconiani d’ogni colore che resteranno anche dopo che Berlusconi se ne sarà andato.
Come riconoscerli?
Sono i diseredati morali che, di questi tempi, necessitano di un’auto blu. La miseria arriva in barca, scriveva Riccardo Bacchelli descrivendo l’Italia disperata della tassa sul macinato; la miseria arriva su un Audi 8 con autista, vien da scrivere oggi, parafrasandolo.
La ricostruzione arriverà, se e quando lo farà, in tram o in metropolitana.