Papa Francesco e i social del presenzialismo: la lezione ignorata

par Gianleonardo Latini
mercoledì 7 maggio 2025

Alla scomparsa di Papa Francesco, mentre il mondo cattolico e non solo si stringeva in un sincero cordoglio, non sono mancati gli omaggi sui social: gesti a volte autentici, ma spesso caratterizzati da una smania di visibilità che strideva dolorosamente con l’umiltà e il messaggio del Pontefice.

Dopo le benevoli frasi di rito – e anche quelle meno benevole, senza ipocrisie, degli esagitati reazionari – sulla scomparsa di una figura che ha segnato la vita di molti, restava evidente quanto Bergoglio avesse inciso profondamente nella Chiesa e nella società civile.

I giorni seguenti sono diventati l’occasione per l’inevitabile elenco di ciò che Papa Francesco ha fatto e di ciò che, secondo alcuni, avrebbe potuto o dovuto fare. Tra le critiche più ricorrenti, non è mancato il riferimento al tema femminile, senza però riconoscere che proprio durante il suo pontificato si è registrata una svolta significativa: per la prima volta, diverse donne sono state chiamate a ricoprire incarichi di governo all'interno della Città del Vaticano, segnando un cambiamento storico pur in una realtà complessa e tradizionalmente maschile.

Tuttavia, come ha osservato una sociologa, il Papa guida "un transatlantico che non può cambiare rapidamente rotta": una perfetta fotografia di un'istituzione imponente, refrattaria ai mutamenti repentini, dove persino un leader aperto e dinamico deve confrontarsi con inerzie secolari.

Mentre la Chiesa si interrogava sul futuro, il mondo della rete ha dato il peggio di sé: smartphone in mano, l'importante era esserci, postare, taggare. L'attenzione si è presto spostata su chi ha scelto il palcoscenico social per "presenziare" a questo momento storico, trasformando un evento di raccoglimento in una vetrina personale.

In questo teatrino del "mi si nota di più se vado o se non vado?", sembra che l'insegnamento di Papa Francesco sia stato completamente ignorato. Il Pontefice aveva più volte ammonito contro la "coca-colizzazione" della cultura e della spiritualità, contro quella superficialità effimera che svuota l’umano di significato. Nel suo recente discorso alla Pontificia Università Gregoriana, aveva chiesto con forza di umanizzare il sapere, di coltivare un'istruzione inclusiva, capace di rispettare le differenze e guidata dalla dignità della persona.

Eppure, nella settimana del suo ultimo saluto, il culto dell’apparenza ha prevalso: foto, video, selfie, post a uso e consumo di like e visualizzazioni. È lo stesso spirito contro cui il Papa si era scagliato a Lampedusa, nella sua profetica omelia contro la "globalizzazione dell’indifferenza". Di fronte alla tragedia dei migranti, Francesco aveva denunciato come la cultura del benessere ci abbia resi incapaci di piangere, prigionieri di "bolle di sapone" dorate, indifferenti al dolore del mondo.

Anche tra i politici e i rappresentanti delle istituzioni si è visto il contrasto tra chi ha scelto la discrezione e chi, invece, non ha resistito alla tentazione del selfie o dell'apparizione.

Il funerale di Papa Francesco sarebbe dovuto essere un momento di raccoglimento e di riflessione su quella "cultura della cura" che tanto aveva a cuore. Invece, per molti, si è trasformato in un’occasione di esibizione. Un triste spettacolo che evidenzia quanto ancora sia attuale – e inascoltato – l’invito di Francesco a riscoprire il senso della fraternità e della responsabilità reciproca.

"Non dimenticate il senso dell’umorismo", aveva esortato il Papa, citando Thomas More. Ma di fronte a certe scene, più che sorridere, viene da chiedersi dove, e quando, abbiamo perso la bussola.

 


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