Palermo, come se fosse un’ode

par Daniel di Schuler
venerdì 21 dicembre 2012

È luce troppo viva, quasi crudele,
quella che fa socchiudere gli occhi
e sfalda i conci dei palazzi barocchi
in diafani spettri e farina di tufo.

Screpolati da mille mezzogiorni,
tra scheletri e cadaveri gloriosi,
cadono secchi frammenti di storia,
spazzati dal vento e dall’incuria

Sono la rozza barbarie del nuovo
questi grigi cubapolidi di cemento
che la mano inquieta d’un bimbo
sparpaglia affidando alla sorte.

Volti dipinti da secoli pazienti
con infinite ombre e velature
ricordano i cavalieri normanni
e l’aroma dell’Africa vicina.


Vide già i greci e gli americani,
l’intelligenza eterna degli sguardi
che sanno sorridermi con cortesia,
fossi fenicio o turista giapponese.

Lascia un’indolente noncuranza
tumuli di rifiuti lungo le strade:
marcescenti pericolanti piramidi
per rinsecchite mummie di ratto.

Scivola giù dalle colline intorno
una maleducata lebbra di case
che risale a sfigurare Monreale:
dorata epifania e sogno.

Dolce odor di dolce e miseria,
d’interiora appese tra le mosche
e putrefatti scarti di verdura.
Profumo di mare e di zagare.

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