P2, cosa fu davvero?

par Aldo Giannuli
sabato 6 febbraio 2016

Da alcuni anni lo spettro della P2 è tornato ad aleggiare sulla politica italiana. Tutto iniziò nel 2010 con lo scandalo Verdini, in occasione del quale si parlò di una P3, continuazione o rinascita della precedente P2, della quale, peraltro, avevano fatto parte alcuni dei partecipanti al nuovo scandalo. Poi nel 2011, scoppiò il caso Bisignani e si parò di una P4.

Poi, l’ascesa di Renzi nel Pd ed a Palazzo Chigi, fu salutata da De Bortoli con un vago accenno ad un “certo odore di massoneria” che l’aveva accompagnata, complice la provenienza toscana del premier o certe sue amicizie a suo tempo non lontane dalla P2.

Poi lo scandalo dell’Etruria ha fatto tornare a galla vecchie storie ed anche lì (ne riparleremo) sono emerse persistenze e approssimazioni che rimettono in gioco quella vecchia radice.

Sembra che non si riesca a liberarcisi di quel vecchio spettro.
Per la maggioranza degli italiani, dire P2 significa evocare il “mistero d’Italia” per eccellenza, l’incrocio fra corruzione, stragismo, eversione grande criminalità, finanza corsara ed ogni nefandezza. Né le pronunce assolutorie della magistratura hanno avuto alcun effetto nel modificare questa immagine. D’altro canto la nostra magistratura, in materia di grandi processi politici, ha una tradizione non troppo gloriosa, per cui le sue pronunce lasciano il tempo che trovano e non spostano di un millimetro le convinzioni dei più.
D’altro canto, anche se in processi diversi da quello sulla loggia in quanto tale, sono emerse valanghe di prove, indizi, testimonianze ecc. che legano il suo nome a vicende quali:

-il golpe Borghese

 il Noto servizio

 i depistaggi per la strage di Bologna

 il caso Sindona e connesso caso Ambrosoli

 il caso Calvi


 il caso Pecorelli

 i depistaggi relativi al caso Moro

 il caso Supersismi

 il caso Bergamelli, i sequestri di persona e l’Onpam

 la morte di Piersanti Mattarella

e sicuramente ne dimentico parecchi altri. E, se si torna a scavare, magari su un altro caso di questo tipo, viene fuori ancora di più. Peraltro va detto che, se il giudicato penale è reticente, ambiguo o assolutorio nei confronti della loggia in quanto tale, però non mancano affatto condanne di suoi singoli aderenti.

Dunque, non c’è ragione di rivedere il giudizio che ormai si è sedimentato nel sentire comune degli italiani. Però una storia della P2 scritta con rigorosi criteri scientifici, non è stata ancora scritta, anche se non mancano numerosi volumi sul tema. Per dirla con il linguaggio degli storici, c’è una vulgata, ma non un canone.

Si è prodotta (come per le stragi ordinoviste ed, in buona parte per il terrorismo “rosso”) una strana situazione per cui c’è un giudicato penale prevalentemente assolutorio sulla loggia nel suo complesso, una vasta pubblicistica prevalentemente colpevolista ed, in mezzo, l’assoluto vuoto della storiografia, che al solito, evita i temi troppo rognosi, preferendo argomenti più “tranquilli”. D’altro canto, che volete? “Se uno il coraggio non ce l’ha non se lo può dare” diceva qualcuno.

Questa strana situazione ha fortemente danneggiato la comprensione del fenomeno e della sua eredità nel prosieguo della storia italiana.

In primo luogo, la vicenda è sempre stata affrontata sul piano penale, più che politico, con il risultato che si è formato un pre-giudizio (nel senso tecnico del termine di giudizio che precede l’analisi di merito) favorevole per alcuni (che si appoggiano alle sentenze) o sfavorevole per i più (che fanno riferimento alla pubblicistica). Ma una ricostruzione storiografica non può avere pre-giudizi di sorta e deve procedere avalutativamente. Lo storico non deve emettere né sentenze penali né condanne morali. Deve analizzare un fenomeno in tutte le sue dimensioni, spiegarne le origini, esaminarne il decorso, individuare il suo lascito e, se crede, esprimere un giudizio politico (non morale) ma solo dopo che l’analisi sia compiuta.

Nel caso della P2, invece, è sempre stato centrale l’aspetto criminologico, che ha finito con mettere in ombra tutto il resto, dalla sua cultura politica al suo ruolo non penale nel mondo finanziario. La P2 ed i suoi uomini, non hanno fatto solo reati, ma anche cose penalmente non rilevanti, ma non per questo ininfluenti sulla storia del paese. Magari il giudizio politico piò essere sempre negativo, ma questo non toglie che si debba esaminare tutto, liberi dalla dimensione penale che non è il mestiere dello storico.

Tutto è stato compresso in un pacchetto unidimensionale che non ha permesso di capire il fenomeno della sua dimensione politica a prescindere dalla natura lecita o illecita dei mezzi scelti e, paradossalmente, questo ha favorito, piuttosto che combattuto, la persistenza di quella cultura nel dibattito politico successivo. D’altro canto, ha prevalso un uso propagandistico del tema P2: una proposta politica o istituzionale, spesso non è stata discussa, ed eventualmente avversata, per il suo merito, ma perché assonante con questa o quella proposta della P2 (e soprattutto del suo famigerato “Programma di Rinascita Democratica”) A lungo andare, questo è diventato un esorcismo che, come tutti gli esorcismi, ha perso efficacia e significatività.

Per di più, la frammentazione in cento casi processuali ha fatto perdere la visione di insieme del fenomeno. Ma forse è venuto il momento di rimettere insieme i pezzi per una storia a tutto tondo della P2 e, forse, diventeranno comprensibili anche molti aspetti del presente ancora troppo opachi.


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