Ottanta e non sentirli, allora cento di questi film Old Buddy Clint Eastwood
par Luca Sacchieri
lunedì 7 giugno 2010
Cinque premi Oscar, cinque Golden Globe e un’infinità di altre candidature. Ma, ad ottant’anni appena compiuti, non parlate a Clint Eastwood di pensione.
Perché, questo è certo, lui ottant’anni addosso non se li sente proprio.
Ad altri ne servirebbero molti più di ottanta per realizzare ciò che ha realizzato lui nella sua carriera di attore, regista, produttore e autore di colonne sonore. Cinque premi Oscar (miglior regia e miglior film per Gli spietati – 1993; premio alla memoria Irving Thalberg – 1995; miglior regista e miglior film per Million Dollar Baby – 2005), cinque Golden Globe (Henrietta Award – 1971; Golden Globe alla carriera – 1988; miglior regia per Bird – 1989; miglior regia per Gli Spietati – 1993; miglior regia per Million Dollar Baby – 2005; miglior film straniero per Lettere da Iwo Jima – 2007) e un’infinità di candidature per entrambi. Tutt’altro che una vita cinematografica in sordina.
Forse sono giusto i segni sul viso a tradirlo un po’, a dare un numero concreto di anni a quell’espressione che sembra in realtà non scalfirsi mai.
Ma anche un baobab ha decine di cerchi concentrici nel suo tronco. E provateci voi ad abbattere un baobab.
Lui, Clint, per un po’ in Africa c’ha messo radici davvero. In Sudafrica, per essere precisi. A Johannesburg ha girato il suo ultimo film, Invictus, e ha celebrato così il 35esimo anniversario di collaborazione con la Warner Bros Pictures. Il figlio Kyle, da parte sua, invece di cantargli il solito “Tanti Auguri”, ha collaborato alla suggestiva colonna sonora.
Ma Invictus, per certi versi, non è altro che l’ennesima perla di una nuova sensibilità del cinema eastwoodiano. L’ultimo Clint, infatti, nel suo combattere in favore dei deboli (esaltandone la loro realizzazione), ha sostituito le proprie cartucce. Ha smesso poncho e pistola dell’Uomo Senza Nome della trilogia western di Sergio Leone degli anni ’60, ha abbandonato la 44 magnum dell’ispettore Callaghan nella fortunata serie degli anni ’70. I suoi film non hanno più nemici in carne ed ossa da far secchi in duelli polverosi o in sparatorie convulse. Mirano a colpire a morte i pregiudizi, i quali, purtroppo, sanno ancora incarnarsi in tanti, troppi uomini.
Che siano le due facce della stessa medaglia in Flags of our fathers e Lettere da Iwo Jima (2006 e 2007), che siano i rapporti interraziali di buon vicinato tra un vedovo e una famiglia hmong di Gran Torino (2008) o che siano le battaglie in un campo da rugby o in una nazione grande come il Sudafrica di Invictus (2010), con l’Apartheid abolita solo sulla carta.
Tanti auguri, Clint. Cento di questi film!