Oltre la crisi: lettera aperta all’assessore Oliva

par marcovalerio
sabato 3 gennaio 2009

 

Paolo Bertinetti

 

Il prof. Paolo Bertinetti, ha recentemente pubblicato un intervento sul sito www.abicidi.it, ci cui condividiamo totalmente il contenuto e che ci permettiamo di riportare parzialmente, invitandovi a leggere il testo integrale:

La pistola e il portafoglio

E’ diventata quasi proverbiale la sciagurata frase di quello sciagurato gerarca nazista che diceva di portare istintivamente la mano alla pistola tutte le volte che sentiva nominare la parola cultura. Spero non sembri blasfemo trasformarla ironicamente, dicendo che tutte le volte che si sente nominare la parola cultura bisogna mettere la mano al portafoglio.

D’altronde, se è vero che senza il talento di Giotto e Michelangelo non ci sarebbero né la Cappella degli Scrovegni né la Cappella Sistina, è anche vero che senza i rispettivi committenti Giotto e Michelangelo non avrebbero avuto modo di dipingere i loro capolavori. Non solo la storia delle arti figurative, ma anche quella della letteratura (come provano le dediche ai potenti) è accompagnata dal sostegno che i papi, i sovrani, i potenti davano agli artisti.
A partire da fine Ottocento, almeno in alcuni settori, non è più stato così. Ma al tempo stesso, in altrettanti casi, il sostegno del mecenate (vuoi pubblico, vuoi privato) continua ad essere palesemente decisivo. In altri Paesi, grazie anche alla possibilità delle detrazioni fiscali, il privato ha un ruolo di tutto rilievo. In Italia non è così. L’ente pubblico si ritrova quindi a essere quasi l’unico referente. Le retoriche sparate sul «mercato«, che in assenza di sovvenzioni premierebbe chi lo merita e punirebbe i mediocri, sono un monumento all’ipocrisia: non vale neppure la pena di entrare nel merito. Nel nostro Paese c’è ben poco di più sovvenzionato del privato.

(…)

Cosa deve fare, in democrazia, la politica? Il fatto è che può fare moltissimo, in quanto può legittimamente decidere quanti fondi stanziare e a quali settori destinarli. Le decisioni tengono naturalmente conto dei precedenti, vengono discusse sui giornali, vengono usate dall’opposizione come critica alla maggioranza per gli aspetti meno convincenti etc etc. Ma dovrebbero essere, in ogni caso, delle scelte collocate all’interno del programma di politica culturale con cui chi governa si è presentato agli elettori; e di cui si dovrà rispondere. Per esempio: se dici che il finanziamento della ricerca è prioritario e poi non lo fai, non ti voto più.
Le scelte fatte hanno però poi bisogno di «realizzatori«, di persone a cui è affidata la responsabilità di attuarle. Dall’autorità politica bisogna pretendere che le persone siano scelte in base alla competenza. Non sempre succede così; anzi, in qualche caso viene il malizioso sospetto che di proposito venga scelta la persona che non ha competenza specifiche nel settore che gli viene affidato perché sarà una «controparte« senza forti convinzioni da opporre nel caso di eventuali contrasti di vedute. Come per molti altri settori della vita italiana, vale sempre la semplice constatazione che negli altri Paesi europei non succede così.

Competenza e libertà artistica sono condizioni indispensabili. Nello stesso interesse della politica. Quando ciò non si verifica è molto improbabile che i risultati siano positivi. Ma che cosa li certifica, che cosa ne dichiara la positività? Di sicuro non le voluminose «rassegne stampa«, che dimostrano soltanto quanto siano abili e ammanicati i responsabili PR dell’iniziativa e che poco dicono sulla bontà dell’iniziativa stessa. La certificazione viene allora dal successo di pubblico? Non necessariamente: ci sono state, anche di recente, mostre/evento di modestissimo valore che tuttavia hanno avuto un fiume di visitatori. L’affollamento non è una misura di valutazione indiscutibile; così come l’insuccesso di pubblico non certifica automaticamente la modestia di un’iniziativa. E tuttavia l’insuccesso è un misuratore importante, che non può essere ignorato. Come non può essere ignorata l’entità della spesa: se la tal mostra poteva essere organizzata, ad esempio, spendendo un 50% in meno, significa che da qualche parte c’è stato un grave errore.
La valutazione di un’iniziativa culturale, comunque, non può che nascere dal giudizio dei suoi fruitori competenti: ha quindi grandi margini di soggettività, che solo il tempo, quando i suoi promotori saranno chissà dove, può avvalorare o smentire.
La cosa più importante viene decisa a priori. Quando la politica opera le sue scelte iniziali (che cosa finanzio e in che misura finanzio), si vede chiamata a decidere se il denaro pubblico deve essere investito a favore di iniziative che si rivolgono a un pubblico più vasto, alla massa dei cittadini, o a proposte che già in partenza si sanno rivolte a un’élite, ma che si ritengono di alto valore culturale. E’ ovvio che si investa nelle une e nelle altre. Ma l’indirizzo di fondo, quale deve essere? Sappiamo bene che nel passato più o meno vicino ci sono stati fenomeni, artisti, proposte, di valore artistico assoluto e capaci al tempo stesso di conquistare un pubblico enorme. Questa è la caratteristica del genio: Chaplin o Buster Keaton, Shakespeare o Goldoni, Kubrick o Fellini. Gassman o Laurence Olivier. Il genio, tuttavia, non è obbligatorio.

(…)

Credo che il principio dovrebbe essere non quello di cercare il consenso di un largo pubblico, ma quello di proporsi di raggiungere un largo pubblico. Questo significa pensare a proposte che, almeno nelle intenzioni, possano interessare la totalità dei potenziali fruitori, significa pensare agli strumenti per promuoverle presso di loro, significa accettare di rapportarsi ai valori «mediani«, seppure per innalzarli; significa riconoscere, se l’ampia risposta positiva non c’è, di avere sbagliato. Magari solo in parte; ma di dover quindi, come minimo, correggere il tiro. Naturalmente sto pensando a grandi investimenti, destinati a enti o iniziative di grande peso (il Teatro Regio, lo Stabile, il Torino Film Festival, la grande mostra). In questi casi mi sembra che la scelta di fondo non possa essere che questa.

Ma se un ipotetico assessore alla cultura della città di Napoli di trent’anni fa avesse rifiutato di dare un sostegno finanziario al gruppo di Leo De Berardinis perché la sua ricerca teatrale non poteva interessare che un ristretto settore di spettatori e di addetti ai lavori, l’ipotetico assessore dovrebbe ora riconoscere di essersi comportato da vero asino. Non necessariamente per non essersi accorto del valore di quel tipo di ricerca teatrale; ma per essersi scelto dei referenti privi di competenza che non erano in grado di accorgersene e di spiegarglielo. Faccio quest’esempio (dopo l’enunciazione del principio generale di cui sopra) non per dare un colpo al cerchio e uno alla botte; ma per sottolineare che, in ultima istanza, la proposta di cultura non può che venire da chi la cultura ce l’ha, da chi può assumersene la responsabilità perché ha gli strumenti culturali per proporla e per sostenerla.

 

L’intervento del prof. Bertinetti è davvero l’introduzione ideale di fronte al pubblico appello che Gianni Oliva, assessore alla cultura della Regione Piemonte ha lanciato a fine dicembre, chiamando a raccolta enti e associazioni che operano in campo culturale per affrontare insieme la situazione di crisi che si sta delineando dopo i pesanti tagli al settore culturale in Italia.

 

Gianni Oliva

Scrive Gianni Oliva:

Care amiche, cari amici
nell’incontro del 13 dicembre scorso presso la Fondazione Teatro Ragazzi e Giovani c’è stato un confronto positivo tra oltre quattrocento operatori e fruitori di cultura. Si è trattato di un momento iniziale dal quale sono emerse alcune indicazioni:

l MOBILITAZIONE

Di fronte ai tagli del Governo (quelli diretti sul FUS e quelli indiretti sui bilanci degli enti locali) il mondo della cultura si sta dimostrando afono. Non si riesce ad imporre all’attenzione dell’opinione pubblica né l’idea che la cultura rappresenta un bisogno primario, né la consapevolezza che dietro ogni mostra, ogni spettacolo, ogni museo ci sono posti di lavoro, professionalità, stipendi e nuclei familiari. Attraverso i media sta passando l’idea che “tagli alla cultura” significhino semplicemente un concerto in meno o un museo con orari d’apertura più brevi. Tutti gli intervenuti hanno convenuto sulla necessità di organizzare al più presto una giornata di mobilitazione per sensibilizzare l’opinione pubblica sui problemi veri e sulle conseguenze di tagli indiscriminati.

Per riuscire bisogna “inventare” forme suggestive e clamorose, ben sapendo che la cultura difficilmente potrebbe essere in grado di organizzare le manifestazioni di protesta di decine di migliaia di persone che hanno caratterizzato le lotte degli studenti contro la riforma Gelmini. Per stabilire data e modalità della manifestazione è convocata una riunione l’8 gennaio, alle ore 17, presso la sede della Fondazione Teatro Ragazzi e Giovani, alla quale ognuno dovrà venire con IDEE ORIGINALI.

2 RIORGANIZZAZIONE

La Regione Piemonte per scelta politica, mantiene inalterato nel 2009 il Bilancio del 2008: questo dà la possibilità di mantenere in vita, ad un buon livello, molte iniziative, ma non risolve il problema delle tante alle quali verranno meno (del tutto o in parte) i contributi degli altri Enti e delle Fondazioni. Dunque, bisogna “ripensare” l’organizzazione degli eventi culturali. I tempi della legislatura regionale probabilmente non permettono l’approvazione di una nuova Legge che sostituisca quella esistente (L.R. n.58/1978). La presentazione nel 2009 da parte dell’Assessorato del Piano Triennale di Attività per la Cultura permette però di introdurre elementi nuovi, almeno in via sperimentale.

Nel dibattito sono emersi alcuni spunti:

1. distinguere le “imprese culturali” (cioè «aziende« in grado di operare sulla base di indirizzi manageriali) da associazioni fondate sul volontariato

2. occorre individuare i criteri attraverso i quali si individuano i caratteri di impresa culturale

3. la Regione deve passare da una logica di contributo ad una di contratto stipulando con le «imprese culturali« convenzioni pluriennali in cui si individuino obiettivi da raggiungere (affluenza di pubblico, ritorno di critica, presenza diffusa sul territorio, rapporti sinergici con gli enti locali, capacità di costruire progetti complessi, ecc.).

Il problema è articolato perchè si tratta di coniugare la quantità (quindi la domanda del pubblico) con la qualità ( il livello delle produzioni, la capacità di essere innovativi, la fruibilità dello spettacolo…)

Su questi temi sono arrivati diversi contributi che verranno inseriti sul sito www.abicidi.it: non essendo semplice moltiplicare gli incontri, un allargato confronto on-line ci sembra lo strumento più efficace, in vista di successivi momenti assembleari.

Vi invito pertanto a leggere i contributi già presentati e ad arricchirli con le vostre considerazioni.

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La nostra risposta:

Stimatissimo Assessore,

anzitutto segnaliamo che ci siamo permessi di riprendere l’intervento sul nostro sito, integralmente, rinviando naturalmente con adeguato link al sito originale. Il dibattito aperto (al quale parteciperemo volentieri, come azienda che opera nel settore culturale pur non avendo mai ricevuto in precedenza alcuna notizia che il dibattito fosse stato aperto) è un segnale significativo. Come estremamente significative abbiamo ritenuto le dichiarazioni rilasciate alla stampa all’indomani della conferenza stampa della Fiera del Libro di Torino.

Con tutta franchezza, riteniamo che i tagli al bilancio della cultura siano una vera e propria benedizione, se otterranno il risultato di ripensare completamente la politica degli investimenti culturali che ha caratterizzato in passato (senza distinzioni di orientamento politico dobbiamo dire) la Regione Piemonte.
Da anni ripetiamo, isolati nel dire ma non certo isolati nelle prese di posizione concrete, che si traducono in crescente assenza degli operatori culturali veri, che la Fiera del Libro si è trasformata in una voragine per i bilanci della CIttà di Torino e della Regione Piemonte, senza che ne derivino oggettivi vantaggi per la cultura.
Anzi, la Fiera rappresenta oggi il più devastante danno alla cultura piemontese, così come concepita.

Condividiamo appieno l’intervento del prof. Paolo Bertinetti, dal titolo «La pistola e il portafoglio«, pubblicato sul sito www.abicidi.it, così come condividiamo molte delle scelte recenti operate, compresa quella sobrietà di spesa che pure si è tradotta in un taglio dei contributi di sostegno alla produzione libraria piemontese, di cui anche la nostra casa editrice ha subito le conseguenze.
Con tutta onestà, se il taglio dei contributi avrà come risultato la scomparsa di operatori che di puri contributi vivono, e sono troppi sul territorio, proclamiamo a gran voce il desiderio di non ricevere più alcun contributo.

La cultura non vive di mercato o di solo mercato, lo sappiamo tutti. Pensare ad essa come prodotto industriale rischia di confondere la ricerca universitaria con la divulgazione sensazionalistica, il teatro o la musica con le performance popolari. D’altro canto, non ci troveremmo affatto d’accordo su un approccio elitario alle politiche culturali, poiché esso finisce per incorrere nel rischio dello sperimentalismo fine a se stesso. Ci pare sia superfluo insistere su questo punto.

Ci permetta di citare una piccola inziativa di cui siamo orgogliosi: il sostegno al Festival e alle Edizioni Torino Poesia. Il sito www.torinopoesia.org e il catalogo delle pubblicazioni prodotte in questi due anni di lavoro, anzitutto per merito dell’Associazione Mondi Liberi e dell’Associazione Punto txt, ma anche un pochino per questa casa editrice, che ha di fatto anticipato tutti gli oneri finanziari, testimoniano di come si possa fare molto con poco. Anzi, se si considerano i contributi ricevuti dalla Regione Piemonte, che ha patrocinato l’iniziativa senza oneri, con NULLA.
Torino Poesia è sbarcata in pochi mesi in Svizzera, Francia,
Portogallo e, all’inizio di dicembre, Stati Uniti. Nel 2009 arriverà a Singapore. Una promozione culturale, seppure limitata al settore di nicchia della poesia, che non ha precedenti per il Piemonte. A costo zero per l’ente regionale, come è giusto che sia.

Pensi un po’ cosa sarebbero riusciti a fare questi ragazzi se, invece del miserrimo sostegno di una piccola casa editrice quasi underground, avessero ricevuto un poco di spazio nei, ci perdoni il termine, noiosissimi padiglioni della Regione alla Fiera del Libro. Oppure qualche ripresa televisiva. Oppure una sua presenza istituzionale quando, a Vercelli, hanno riempito il Salone Dugentesco di spettatori.

Conclude il prof. Bertinetti nell’intervento pubblicato su www.abicidi.it: «La proposta di cultura non può che venire da chi la cultura ce l’ha, da chi può assumersene la responsabilità perché ha gli strumenti culturali per proporla e per sostenerla.«

Cosa ci aspettiamo dunque da un assessore? Tagli tagli e ancora tagli. E se non basta, anche qualche bordata sui tanti, troppi barconi che galleggiano miseramente nelle paludi della cultura nostrana e divorano risorse per fingere di risalire stagni che non portano da nessuna parte.
Per vedere navigare tante piccole canoe bastano entusiasti rematori e, al massimo, un piccolo aiuto quando devono superare qualche rapida, una borraccia e uno zaino. Chi sa pagaiare, starà a galla. Gli altri affondino in fretta. Così, quando scommetterà e deciderà di salire su una barca con il carico prezioso dell’intervento economico pubblico, avrà la certezza di trovarci sopra un equipaggio capace, affidabile e coraggioso.


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